Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27014 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud. 05/11/2020, dep. 26/11/2020), n.27014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29691-2019 proposto da:

B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SALARIA 400,

presso lo studio dell’avvocato UGO COLONNA, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA MAZZINI

27, presso lo studio dell’avvocato EGIDIO MARULLO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALDO TURCONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3981/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI

MARCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 24/8/2018, la Corte d’appello di Milano, decidendo quale giudice del rinvio a seguito di cassazione in sede di legittimità, per quel che ancora rileva in questa sede, ha pronunciato la condanna di B.C. al risarcimento, in favore di C.M., dei danni non patrimoniali subiti da quest’ultimo a seguito del fatto lesivo dell’onorabilità e della reputazione professionale del C., consistito nell’affissione, da parte del B., di una comunicazione nella bacheca del Casinò del Comune di Campione d’Italia;

a fondamento della decisione assunta, il giudice del rinvio, nel conformarsi al principio di diritto stabilito dalla corte di legittimità, ha determinato l’entità dei danni non patrimoniali subiti dal C. sulla base dei dati (ritenuti comprovati) consistiti nell’atteggiamento doloso del diffamante, nella natura pubblica della sua funzione e nella potenziale incontrollabilità della trasmissione del messaggio diffamatorio;

avverso la sentenza del giudice di rinvio, B.C. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;

C.M. resiste con controricorso;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa, carente e manifesta illogicità della motivazione, per avere il giudice a quo omesso di tener conto, nella determinazione dell’entità del danno non patrimoniale subito dalla controparte, dei parametri di controllo dettati dall’art. 185 c.p., e dagli artt. 2059,2043 e 2697 c.c., essendosi detto giudice sottratto al dovere di indicare i dati probatori esistenti e certi idonei a legittimare quanto affermato sul piano della dimensione diffusiva della comunicazione lesiva attribuita all’odierno ricorrente, tenuto conto della limitata utilizzazione, della sala in cui fu esposta detta comunicazione, dai soli ispettori del Casinò di Campione d’Italia, senza alcuna prova della potenziale esposizione del contenuto della pubblicazione a un numero indeterminato di persone;

con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, per avere il giudice a quo trascurato di evidenziare da quali dati probatori avesse desunto i parametri per la quantificazione del danno non patrimoniale equitativamente determinato, attesa l’inesistenza, nella motivazione della sentenza, di dati oggettivi suscettibili di consentire la verifica della congruità della determinazione del danno liquidato;

entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per motivi di connessione – sono inammissibili;

osserva il Collegio come, nella determinazione dell’entità del danno non patrimoniale liquidato in favore dell’odierno resistente, la corte territoriale si sia correttamente allineata ai principi di diritto sanciti dal giudice di legittimità nel corso dell’odierno giudizio;

in particolare, il giudice a quo, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte – là dove sottolinea il carattere inevitabilmente inferenziale del ragionamento probatorio condotto in relazione alla dimostrazione dei danni connessi ai patemi d’animo o dalla sofferenza interiore conseguente alla percezione dell’offesa subita e delle sue ripercussioni sociali -, ha opportunamente sottolineato il carattere probatoriamente certo dei dati di fatto (ritenuti comprovati dagli elementi espressamente richiamati in motivazione) consistiti: 1) nell’atteggiamento doloso del diffamante (ricavato dagli specifici contenuti della comunicazione espressamente richiamati in sentenza); 2) nella natura pubblica della funzione svolta dal B. (e dalla conseguente particolare credibilità e autorevolezza connessi al ruolo dello stesso rivestito) (fatto incontestato tra le parti); nonchè 3) nella potenziale incontrollabilità del messaggio diffuso in relazione alla sua collocazione nella bacheca del Casinò di Campione d’Italia (ricavata dalla natura della stanza, inserita all’interno di un luogo notoriamente aperto al pubblico), quali estremi significativi della concreta entità della presumibile sofferenza patita dal danneggiato;

ciò posto, la contestazione, da parte dell’odierno ricorrente, del carattere effettivamente certo dei dati di fatto così individuati dal giudice del merito, lungi dall’integrare gli estremi di una possibile violazione di parametri normativi, appare tale da limitarsi a una mera censura in fatto (non consentita in questa sede di legittimità) circa la condivisibilità della valutazione di idoneità, della (certa) affissione della comunicazione lesiva nella bacheca di una stanza del Comune di Campione d’Italia, a rendere controllabile (o meno) la sua diffusione oltre i limiti dei singoli frequentanti detta stanza o, più in generale, l’idoneità dei fatti certi selezionati a consentire le inferenze probatorie raggiunte;

osserva sul punto il Collegio come, con le censure qui proposte, il ricorrente si sia inammissibilmente spinto a prospettare la rinnovazione, in questa sede di legittimità, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, come tale sottratto alle prerogative della Corte di cassazione;

deve qui, infatti, ribadirsi il principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della congruità della coerenza logica, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 331 del 13/01/2020, Rv. 656802 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 27197 del 16/12/2011, Rv. 620709);

nella specie, la Corte d’appello ha espressamente evidenziato come dall’esame dei fatti sopra indicatirfosse emersa con sufficiente certezza e inequivocità (non solo l’esistenza, ma anche) la determinabilità delle specifiche conseguenze dannose di carattere non patrimoniale (nella loro concreta entità) a carico del C.;

al riguardo – si ribadisce – la corte d’appello ha avuto modo di evidenziare il carattere decisivo, in tal senso; dell’atteggiamento doloso del diffamante (ricavato dagli specifici contenuti della comunicazione espressamente richiamati in sentenza); della natura pubblica della funzione svolta dal B. (e della conseguente particolare credibilità e autorevolezza connessi al ruolo dello stesso rivestito) (fatto incontestato tra le parti); nonchè della potenziale incontrollabilità del messaggio diffuso in relazione alla sua collocazione nella bacheca del Casinò di Campione d’Italia (ricavata dalla natura della stanza, inserita all’interno di un luogo notoriamente aperto al pubblico), quali estremi significativi della concreta entità della presumibile sofferenza patita dal danneggiato;

si tratta di considerazioni che il giudice del rinvio ha elaborato, nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di congruità dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente, atteso che la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza, con la conseguente oggettiva inidoneità della censura in esame a dedurre la violazione dell’art. 2729 c.c. nei termini analiticamente indicati da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018 (v. in motivazione sub par. 4. e segg.);

sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;

dev’essere, infine, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

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