Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27014 del 06/10/2021

Cassazione civile sez. VI, 06/10/2021, (ud. 11/05/2021, dep. 06/10/2021), n.27014

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30695-2019 proposto da:

INPS, – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore

della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (SCCI) SPA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO, ANTONINO

SGROI;

– ricorrente –

contro

P.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 251/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 09/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’appello di Catanzaro ha confermato, con diversa motivazione, la pronuncia di primo grado con cui era stata accolta la domanda dell’avv. P.S. e dichiarata l’insussistenza dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26,in relazione all’attività libero professionale svolta nell’anno 2009 quale avvocato iscritto all’Albo Forense ma non alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense, in ragione del mancato conseguimento del reddito nella misura utile per l’insorgenza del relativo obbligo e di quello contributivo conseguente.

2. La Corte d’appello ha ritenuto che ha l’obbligo di iscrizione chi percepisce un reddito perché esercita abitualmente l’attività professionale per cui è iscritto all’albo e che nel caso di specie l’INPS non avesse assolto all’onere di dimostrare che la professionista nell’anno 2009 avesse esercitato abitualmente l’attività di avvocato.

3. Avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo; la controparte non ha svolto difese.

4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. Con l’unico motivo di ricorso l’INPS ha dedotto violazione e/o falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 2, commi 26-31, del D.L. n. 98 del 2011, art. 18, commi 1 e 2, conv. con mod. dalla L. n. 111 de 2011, della L. n. 247 del 2012, art. 21, comma 8, del D.L. 269 del 2003, art. 44, comma 2, conv. con mod. dalla L. n. 326 del 2003, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

6. Ha sostenuto che, i dati pacifici secondo cui l’avv. P. era iscritta all’albo professionale e “inserita in una attività autonomamente organizzata” costituissero “indici rivelatori di un’attività lavorativa espletata con abitualità”.

7. Il ricorso non può trovare accoglimento.

8. Questa Corte ha affermato che l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento; la produzione di un reddito superiore alla soglia di Euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità (Cass. n. 4419 del 2021; n. 12419 del 2021; n. 12358 del 2021).

9. Dirimente, ai fini dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, deve considerarsi, secondo le sentenze richiamate, il modo in cui è svolta l’attività libero-professionale, se in forma abituale o meno; con la precisazione che nell’accertamento in fatto del requisito di abitualità possono rilevare “le presunzioni ricavabili, ad es., dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività” oppure, in senso contrario, “la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore ad Euro 5.000,00”, senza che nessuno di tali elementi possa di per sé imporsi all’interprete come univocamente significativo.

10. Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha valorizzato, quale indice negativo di abitualità, la percezione da parte dell’avvocato nell’anno in contestazione di un reddito inferiore al limite dei 5.000,00 Euro, nonché l’assenza di elementi probatori di segno diverso della cui deduzione e prova era onerato l’INPS.

11. Il motivo di ricorso dell’INPS è inammissibile perché denuncia un errore di diritto, con specifico riferimento alle disposizioni che disciplinano l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, là dove l’accertamento della abitualità pone una questione di fatto, veicolabile nei ristretti limiti tracciati da questa S.C. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., S.U. n. 5083 del 2014); le censure mosse investono invece la valutazione degli indici di abitualità come eseguita dalla Corte di merito, anche attraverso riferimenti a dati fattuali ulteriori rispetto a quelli riportati nella sentenza impugnata (inserimento in una “attività autonoma organizzata”), e così come formulate non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità.

12. Le considerazioni esposte conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

13. Non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità poiché la controparte non ha svolto difese.

14. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2021

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