Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27011 del 27/12/2016


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Cassazione civile, sez. III, 27/12/2016, (ud. 20/05/2016, dep.27/12/2016),  n. 27011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 816/2014 proposto da:

C.M., C.G., M.L., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA G FERRARI 11, presso lo studio

dell’avvocato ERIKA GIOVANNETTI, rappresentate e difese

dall’avvocato GIULIANO MILIA, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TEULADA 52,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO GABRIELLI, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 198/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 30/04/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/05/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato MAURIZIO GABRIELLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 30/4/2013 la Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla sig. S.C. nei confronti dei sigg. M.L. ed altri e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Pescara n. 190/12, ha dichiarato la risoluzione del contratto di locazione avente ad oggetto un complesso immobiliare costituito da una palazzina poi adibita a ristorante, con annessi spazi scoperti e giardini situati in (OMISSIS), per mancato pagamento di 2 mensilità del canone (agosto e settembre 2008).

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i sigg. M.L. ed altri propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso la S., che ha depositato anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo i ricorrenti denunziano “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 1590 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si dolgono essersi dalla corte di merito erroneamente “escluso che il parcheggio di proprietà della S. sia stato rilasciato unitamente al complesso ricettivo alberghiero… per il semplice fatto che non sarebbe di per sè ammissibile il rilascio di un bene ad un soggetto non proprietario, quale era la Conti & Figli s.r.l., proprietaria solo del complesso ricettivo, non anche del parcheggio appartenente alla S.”.

Lamentano che “l’obbligo di restituzione del bene necessariamente alla presenza del locatore che lo accetta, non risulta prescritto dall’ordinamento, ovvero dal disposto di cui all’art. 1590 c.c.. Nè la pretesa formalità di restituzione del parcheggio alla presenza della S. sembra essere stata richiesta da quest’ultima nelle lettere di disdetta e/o di recesso dal contratto (cfr. doc. 15 fascicolo di primo grado dell’odierna parte ricorrente), nelle quali è stata manifestata la volontà di recedere dal contratto alla sua scadenza”, sicchè è invero “evidente” che il “rilascio” del “piazzale esterno con classificazione catastale agricola e destinato a parcheggio pertinenziale e funzionale al fabbricato adibito a ristorante” sia stato nel caso “correttamente eseguito unitariamente al rilascio dell’intero complesso immobiliare alberghiero”.

Il motivo è inammissibile.

Alla stregua di quanto indicato nell’impugnata sentenza, è rimasto nel giudizio di merito accertato che con contratto di locazione dell’1/7/1989 la società Val di Turri s.r.l. ha concesso in locazione al sig. C.A. un complesso immobiliare formato da una palazzina poi adibita a ristorante, con annessi spazi coperti e giardino situati in (OMISSIS), e che poco dopo, in data (OMISSIS), è stata stipulata tra le parti una scrittura integrativa con la quale la società locatrice ha concesso al conduttore una ulteriore area limitrofa da adibire a parcheggio del ristorante.

Solo il “complesso immobiliare formato da una palazzina poi adibita a ristorante, con annessi spazi coperti e giardino” è stato successivamente oggetto di espropriazione coattiva, venendo infine trasferito con decreto del Tribunale di Pescara del 13/4/2005 alla società Conti & Figli s.r.l., mentre l’ “ulteriore area limitrofa da adibire a parcheggio del ristorante” oggetto della “scrittura integrativa” d.d. 13/11/1989 è stata dalla società Val di Turri s.r.l. venduta alla sig. S.C..

Giusta declaratoria Trib. Pescara 29/11/2009 il contratto di locazione del “complesso immobiliare formato da una palazzina poi adibita a ristorante, con annessi spazi coperti e giardino” oggetto del “contratto di locazione dell’1/7/1989” è cessato il 30/6/2010, ed è stato quindi rilasciato in data 3/11/2011.

In riforma sul punto della sentenza del giudice di prime cure, la corte di merito ha accertato che il “fondo di proprietà della S. e limitrofo al primo compendio immobiliare di cui fa parte il fabbricato” non è stato “oggetto di rilascio unitamente a quest’ultimo”.

Orbene, va anzitutto osservato che a fronte del suindicato accertamento la censura dei ricorrenti, volta all’affermazione della diversa tesi sostenuta sin dal 1^ grado di giudizio dell’avvenuto rilascio non solo “dell’intero complesso immobiliare alberghiero” ma anche dell’attiguo “piazzale esterno con classificazione catastale agricola e destinato a parcheggio pertinenziale e funzionale al fabbricato adibito a ristorante” acquistato dalla S., non coglie invero la ratio decidendi.

In particolare, l’assunto in base al quale “la Corte Aquilana ha sostanzialmente ritenuto che il parcheggio si potesse e/o dovesse liberare solo ed esclusivamente alla presenza e/o nelle mani della S.”, si appalesa (non ben comprensibile e comunque) del tutto ultroneo rispetto agli argomenti posti dalla corte di merito a sostegno della raggiunta conclusione dell’avvenuto rilascio solo del complesso compendio immobiliare unico oggetto del 1^ contratto, e non anche il fondo agricolo oggetto del 2^ contratto.

Argomenti sostanziantisi: a) nel rilievo che i conduttori non potevano rilasciare alla società Conti & Figli s.r.l. un immobile di cui quest’ultima non era divenuta proprietaria, e che non era stata dalla medesima concessa loro in locazione, non avendone la disponibilità; b) nella circostanza che quanto sopra si evince dal decreto di trasferimento, “proprio perchè il fondo in questione non era stato oggetto del pignoramento ai danni della originaria proprietaria Val di Turri s.r.l. ed era rimasto perciò escluso dalla procedura esecutiva”; c) dalla considerazione che la detta circostanza si evince altresì dal “verbale di rilascio redatto il 3/11/2010 dall’ufficiale giudiziario”, invero “relativo soltanto al primo compendio immobiliare oggetto del primo contratto di locazione del luglio 1989”, in tal senso deponendo anche il “suo tenore”, atteso che, “nonostante la meticolosità della descrizione del compendio oggetto del rilascio”, esso “non contiene alcuna menzione del fondo confinante, di oltre 2000 mq, con piante e strutture di proprietà della S.”.

Emerge allora evidente come la corte di merito non abbia in realtà affermato quanto diversamente indicato dagli odierni ricorrenti, essendosi invero limitata a porre in rilievo come i conduttori non avrebbero potuto rilasciare l’immobile de quo a soggetto diverso dal proprietario o dal locatore (la società Conti & Figli s.r.l. non rivestendo invero alcuna di tale qualità), e che il mancato rilascio (anche) del medesimo si evince sia dal decreto di trasferimento che dal verbale di rilascio del compendio immobiliare “oggetto del primo contratto di locazione del luglio 1989”.

Va per altro verso sottolineata l’inammissibilità della censura nella parte in cui la legittimità della “pretesa formalità di restituzione del parcheggio alla presenza della S.” risulta dai ricorrenti dedotta in ragione dell’asserito tenore di “lettere di disdetta e/o di recesso dal contratto (cfr. doc. 15 fascicolo di primo grado dell’odierna parte ricorrente)” senza peraltro osservare il requisito prescritto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Essi si limitano infatti a meramente richiamare tali atti, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede -riprodurli nel ricorso nè fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 6/11/2012, n. 19157; Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deducono le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento, le loro affermazioni pertanto sostanziandosi come mere apodittiche affermazioni volte ad inammissibilmente contrapporre una ricostruzione e valutazione dei fatti diversa da quella dalla corte di merito accertata nell’impugnata sentenza.

Con il 2 e il 4 motivo denunziano “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 1362 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Lamentano che la corte di merito ha erroneamente interpretato “il contratto di locazione 01.07.1989, nell’integrazione del 13.11.1989 (cfr. doc. 1 e 2 fascicolo di primo grado dell’odierna parte ricorrente)”, atteso che “alla luce del disposto di cui all’art. 1362” si evince “con immediatezza” che “l’intero complesso immobiliare era stato concesso in locazione nella sua unitarietà, e che il parcheggio era stato concesso in locazione proprio per il suo vincolo di pertinenzialità con il fabbricato, tanto da prevedersi espressamente la medesima durata della locazione per i due beni”.

Come invero confermato dall'”illuminante tenore della scrittura integrativa del 13.11.1989″.

Lamentano che “la proroga del rilascio” del fabbricato “ha comportato anche l’automatica proroga del rilascio del parcheggio”, al quale “la conduttrice ha provveduto come documentato dal verbale allegato 18 del fascicolo di primo grado parte ricorrente”.

Si dolgono che la “questione dell’unitarietà del contratto di locazione era stata già affrontata e risolta – senza perciò poter essere sottoposta in questa sede ad una nuova disamina, in ragione del divieto del ne bis in idem – dalla stessa Corte d’Appello de L’Aquila con precedente sentenza n. 1801 depositata il 02.03.2011 pronunciata tra le stesse parti”.

Lamentano essere “frutto di una falsa applicazione delle norme del contratto di locazione” il rilievo della corte di merito secondo cui, essendo “il complesso alberghiero già di per sè dotato di pertinenze destinate a parcheggio, alle quali si riferirebbe il verbale del 03.11.2010”, sarebbe rimasto da questo “escluso” il fondo a destinazione agricola de quo, giacchè la contraria ipotesi “avrebbe meritato una descrizione diversa e maggiormente legata alla sua destinazione agricola”.

Con il 3 motivo denunziano “violazione e/o falsa applicazione della scrittura privata ricognitiva e/o di rilascio dell’immobile del 03.11.2010”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Lamentano che dalla “lettura” del “verbale di rilascio asseritamente redatto dall’Ufficiale Giudiziario il 03.11.2010 (cfr. doc. 18 fascicolo di primo grado dell’odierna parte ricorrente)” si evince essere stato il medesimo “redatto non già dall’Ufficiale Giudiziario in sede di rilascio coattivo del complesso immobiliare, bensì dalle parti private, ossia dalla sig.ra M.L., amministratore della società conduttrice e dal sig. C.D. amministratore della Conti & Figli in esecuzione di un accordo privato, volto a disciplinare le complesse modalità operative della liberazione dell’intero complesso immobiliare”.

Si dolgono non essersi dalla corte di merito considerato che “la data della liberazione del complesso immobiliare locato, fissata per il 30.10.2010” è stata nel caso “concordata tra le parti”, come si evince “dall’ordinanza resa dal Tribunale di Pescara il 29.09.2009 (cfr. doc. 17 allegato al fascicolo di primo grado di parte resistente)”; e che “il procedimento di licenza per finita locazione non abbia fatto altro che attestare il termine di finita locazione del tutto conforme e coincidente a quello fissato stragiudizialmente dalla S.” con le “missive del 29.12.2005 e 15.06.2006 (cfr. doc. 15 fascicolo di primo grado della odierna parte ricorrente)”, sicchè l'”unitarietà” rileva “anche in sede di liberazione del complesso immobiliare locato”.

Lamentano essere “priva di pregio” la “missiva allegata alla memoria integrativa di controparte, asseritamente pervenuta alla S. nelle more del presente giudizio da parte del legale della Conti & Figli Avv. Ricciuti (cfr. doc. 17 fascicolo di primo grado di controparte), con la quale sarebbe stato confermato che il rilascio di cui al verbale 03.11.2010 avrebbe riguardato il solo fabbricato, non anche il parcheggio”, trattandosi di “corrispondenza intercorsa tra i locatori e volta a disciplinare i loro rapporti interni notoriamente conflittuali”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che, al fine di pervenire a decisione diversa da quella raggiunta dalla corte di merito nell’impugnata sentenza i ricorrenti fanno richiamo ad atti e documenti E es., la “scrittura ricognitiva del 03.11.2010”, il “verbale di rilascio asseritamente redatto dall’Ufficiale Giudiziario il 03.11.2010 cfr. doc. 18 fascicolo di primo grado dell’odierna parte ricorrente)”, 1′ “ordinanza resa dal Tribunale di Pescara il 29.09.2009 (cfr. doc. 17 allegato al fascicolo di primo grado di parte resistente)”, le “missive del 29.12.2005 e 15.06.2006 (cfr. doc. 15 fascicolo di primo grado della odierna parte ricorrente)”, la “missiva allegata alla memoria integrativa di controparte, asseritamente pervenuta alla S. nelle more del presente giudizio da parte del legale della Conti & Figli Avv. Ricciuti (cfr. doc. 17 fascicolo di primo grado di controparte), con la quale sarebbe stato confermato che il rilascio di cui al verbale 03.11.2010 avrebbe riguardato del solo fabbricato, non anche il parcheggio”) in violazione delle sopra richiamate prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Avuto riguardo alla sollevata eccezione giudicato esterno asseritamente formatosi relativamente all’evocata “sentenza n. 1801 depositata il 02.03.2011” della corte d’Appello di L’Aquila, deve quindi porsi in rilievo che non risulta dai ricorrenti osservato il consolidato principio in base al quale il giudicato esterno (che è rilevabile d’ufficio) può far stato nel processo solamente laddove vi sia certezza in ordine alla relativa formazione, incombendo pertanto a colui il quale ne invochi l’autorità fornire la relativa prova, mediante la produzione della sentenza munita dell’attestazione di cancelleria ex art. 124 disp. att. c.p.c., in ordine all’intervenuto relativo passaggio in giudicato (v. Cass., Sez. Un., 14/3/2016, n. 4909).

Va ulteriormente sottolineato che, al fine di sovvertire l’impugnata decisione sul punto, i ricorrenti si limitano ad inammissibilmnete riproporre in termini di mera contrapposizione la tesi dell’avvenuto rilascio anche del fondo a destinazione agricola de quo, invero già sottoposta al vaglio del giudice del gravame e dal medesimo motivatamente non accolta.

In particolare, assumono doversi assegnare decisivo rilievo alla disdetta della locazione di tale fondo a destinazione agricola per la medesima data di cessazione di quella avente ad oggetto il suindicato complesso immobiliare alberghiero.

Circostanza peraltro ben conosciuta da tale giudice, e dal medesimo motivatamente posta a base dell’impugnata decisione (“Il contratto di locazione relativo al fondo in questione, stipulato il (OMISSIS), deve ritenersi risolto alla data di scadenza dello stesso, ossia al 30/6/2010, a seguito della disdetta inviata alla parte appellata dalla S. il 15/6/2006 e tanto trova conferma nella circostanza che la stessa appellante, per il periodo successivo, richiede le somme dovute a titolo di indennità di occupazione”).

Con il 5 motivo denunziano “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 1591 c.c., art. 115 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si dolgono che la corte di merito abbia “riconosciuto il diritto della S. a percepire l’indennità di occupazione anche dopo l’instaurazione del presente giudizio, per tutta la durata dello stesso e sino “al momento della effettiva liberazione dell’immobile nonostante la dichiarazione in giudizio di avvenuto rilascio del bene ed il difetto di prova della perduranza dell’occupazione”.

Lamentano che “controparte non ha alligato alcuna prova della perduranza dell’occupazione del parcheggio oltre il termine di finita locazione”, e “anzi la rassegna fotografica prodotta persuade della insussistenza di beni in loco riferibili alla locazione del complesso alberghiero”.

Il motivo è inammissibile.

A parte il rilievo che esso risulta fondato su atti e documenti (es., la “rassegna fotografica prodotta”) richiamati in violazione delle sopra richiamate prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, va osservato che, laddove sostengono essere “la conclusione cui è pervenuta la Corte Territoriale di ritenere dovuto a tutt’oggi l’indennizzo di cui all’art. 1591 c.c.” violativa dell'”art. 115 c.p.c., che impone a carico della parte che fa valere in giudizio il diritto l’onere della prova, ovvero l’onere di provare l’effettiva e perdurante occupazione del bene, nonostante la finita locazione”, i ricorrenti in realtà inammissibilmente deducono la violazione del riparto degli oneri probatori posto all’art. 2697 c.c., obliterando la distinzione posta da questa Corte secondo cui gli artt. 115 e 116 c.p.c., disciplinano la valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, la cui erroneità ridonda quale vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità; mentre le norme (art. 2697 ss.) poste dal Libro 6, Titolo 2 del Codice civile regolano: a) l’onere della prova; b) l’astratta idoneità di ciascuno dei mezzi in esse presi in considerazione all’assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze; c) la forma che ciascuno di essi deve assumere (v. Cass., n. 24755 del 2007; Cass., 20/6/2006, n. 14267; Cass., 12/2/2004, n. 2707).

Emerge dunque evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dei ricorrenti, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., i ricorrenti in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese a generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2016

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