Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27011 del 15/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 15/12/2011, (ud. 18/11/2011, dep. 15/12/2011), n.27011

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.C. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa

dall’Avv. Mendicini Mario in virtù di procura speciale a margine del

ricorso e domiciliata “ex lege” in Roma presso la Cancelleria della

Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

F.N. e F.F.;

– intimati –

per la cassazione della sentenza n. 3859 del 2009 della Corte di

appello di Roma, depositata il 7 ottobre 2009 (e non notificata).

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18 novembre 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

sentito l’Avv. Mario Mendicini per la ricorrente;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che il consigliere designato dr. Lucio Mazziotti di Celso ha depositato, in data 9 dicembre 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c: “1) Con sentenza 20/10/2004 il Tribunale di Viterbo, in parziale accoglimento della domanda proposta da S.C., condannava F.F. e F.N. all’eliminazione o arretramento a distanza non inferiore a sei metri dal confine di un locale legnaia-cantina presente sul confine. Il tribunale rigettava l’altra domanda dell’attrice relativa ad un locale per ricovero animali. 2) Avverso la detta sentenza proponevano appello principale le F. e incidentale la S.. 3) Con sentenza 7/10/2009 la Corte di appello di Roma, in riforma dell’impugnata decisione, dichiarava improponibile o rigettava le domande proposte dalla S. osservando: che l’oggetto principale dell’azione proposta in giudizio atteneva al mancato rispetto delle distanze legali; che tale azione rientrava tra quelle reali ed era qualificabile come negatoria servitutis sicchè la legittimazione attiva e passiva spettava ai proprietari dei due fondi in questione; che nella specie i detti due fondi non risultavano di proprietà delle parti in causa; che il terreno non solo risultava ancora di proprietà di un terzo soggetto, ma era anche indiviso; che pertanto la domanda di demolizione o arretramento andava dichiarata improponibile come quella di eliminazione della veduta che postulava anch’essa la legittimazione ad agire del proprietario. 4) La cassazione della sentenza della Corte di appello di Roma è stata chiesta da S.C. con ricorso affidato ai seguenti cinque motivi: a) violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la Corte di appello dichiarato l’improponibilità della domanda pur se la controversia, secondo la prospettazione delle parti, concerneva l’esistenza o meno di un diritto di servitù tra i proprietari di fondi confinanti per cui unico compito del giudice era quello di pronunciare una sentenza di merito in ordine alla fondatezza o meno della domanda; b) violazione dell’art. 342 c.p.c. per aver la Corte di appello considerato che nessuna censura era stata mossa avverso la sentenza di primo grado con riferimento alla proprietà dei fondi in questione; c) violazione degli artt. 101, 127 e 183 c.p.c. per aver la Corte di appello deciso la lite in base ad una questione rilevata di ufficio senza averla prima sottoposta alle parti; d) vizi di motivazione per aver la Corte di appello apoditticamente escluso il diritto reale; e) erronea interpretazione degli atti di causa. Le intimate F.F. e F.N. non hanno svolto attività difensiva in sede di legittimità. 5) Il relatore ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per la manifesta fondatezza del primo motivo risultando palese l’errore commesso dal giudice di secondo grado nel dichiarare improponibile la domanda di demolizione o arretramento e quella di eliminazione di veduta per difetto di legittimazione ad agire non essendo i due fondi in questione di proprietà delle parti in causa.

Al riguardo è sufficiente il richiamo ai principi pacifici nella giurisprudenza di legittimità secondo cui: – non attiene alla “legitimatio ad causam”, ma al merito della lite la questione relativa alla titolarità, attiva e passiva,del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, risolvendosi nell’accertamento di una situazione di fatto favorevole all’accoglimento o al rigetto della pretesa azionata; tale questione (a differenza della “legitimatio ad causam” che è rilevabile d’ ufficio in ogni stato e grado del giudizio) è affidata alla disponibilità delle parti e può essere prospettata in sede di appello con specifico motivo di gravame e, comunque, non oltre la precisazione delle conclusioni che delimitano e fissano definitivamente l’ambito del “thema decidendum” (sentenza 21/6/2001 n. 8476 relativa ad una azione di “negatoria servitutis” con la quale, gli attori, nella qualità di proprietari del fondo, avevano convenuto l’Enel per la rimozione di una linea elettrica. L’Enel aveva eccepito l’insussistenza di detta qualità e la S.C., enunciando il su riportato principio, ha statuito che tale eccezione attiene al merito della causa e non all’interesse ad agire o alla legittimazione attiva, ritenendola, pertanto, tardiva per essere stata prospettata la prima volta nella seconda comparsa conclusionale relativa al giudizio d’appello); – la cosiddetta “legitimatio ad causam” è espressione del principio dettato dall’art. 81 cod. proc. civ., secondo il quale nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, e comporta – trattandosi di materia attinente al contraddittorio ed al fine di prevenire una sentenza “inutiliter” data – la verifica anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo (con il solo limite della formazione del giudicato interno sulla questione), ed in via preliminare al merito, dell’astratta coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta. Tale accertamento nettamente si distingue dall’accertamento in concreto che l’attore e il convenuto siano, dal lato attivo e passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio, che è questione diversa, concernente il merito della causa (sentenza 3/7/2003 n. 10551); – la legittimazione ad agire ed a contraddire si risolve nell’accertare se, secondo la prospettazione dell’attore, quest’ultimo ed il convenuto assumano la veste di – rispettivamente – soggetto che ha il potere di chiedere la pronunzia giurisdizionale e di soggetto tenuto a subirla; mentre attiene al merito della lite la questione relativa alla reale titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, che si risolve nell’accertamento di una situazione di fatto favorevole all’accoglimento o al rigetto della pretesa azionata. Ne consegue che trattasi di questione di “legitimatio ad causam” nel (solo) caso in cui si faccia valere in via giurisdizionale un diritto rappresentato come altrui od oggetto della propria sfera di azione e di tutela, al di fuori del relativo modello legale tipico; laddove attiene viceversa al merito della causa la controversia concernente la reale titolarità del diritto sostanziale del diritto fatto valere in giudizio, in ordine al quale trovano applicazione le regole in tema di preclusioni dettate per ciascun grado di giudizio (sentenza 14/6/2006 n. 13756). 6) In applicazione dei suindicati principi è evidente la fondatezza del primo motivo di ricorso avendo la Corte di appello rilevato di ufficio il difetto di legittimazione sia attiva che passiva delle parti in causa in quanto non proprietari dei fondi in questione. La rilevata manifesta fondatezza del primo motivo – di carattere logicamente preliminare – consente l’accoglimento del ricorso con conseguente logico assorbimento degli altri motivi. 7) Considerato quindi che il ricorso può essere deciso in camera di consiglio”.

Rilevato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, nei riguardi della quale non sono state sollevate critiche ad opera delle parti (non essendo risultate depositate memorie a tal fine ed avendo il difensore della ricorrente, comparso all’adunanza camerale, aderito alla richiamata relazione);

ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere accolto in relazione al primo motivo (di carattere preliminare) proposto con conseguente assorbimento degli altri e rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma, che si atterrà ai principi di diritto precedentemente enunciati e provvederà anche sulle spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6^ Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2011

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