Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2701 del 30/01/2019

Cassazione civile sez. II, 30/01/2019, (ud. 16/10/2018, dep. 30/01/2019), n.2701

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2453-2014 proposto da:

L.P.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA NIZZA 53, presso lo studio dell’avvocato CARLA VIRGILIA

EFRATI, rappresentato e difeso dall’avvocato VITO NARRACCI;

– ricorrente –

contro

V.F., N.G., V.M.L.,

elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio

dell’avvocato MARZIA ROSITANI, rappresentati e difesi dagli avvocati

AURELIO AUGUSTO METTA, MARIA SERENA METTA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1371/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 29/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/10/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati Narracci ed Aurelio Metta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.P.G. ha proposto ricorso articolato in nove motivi avverso la sentenza n. 1371/2013 della Corte d’Appello di Bari, depositata il 29 ottobre 2013.

V.M.L., V.F. e No.Gi. resistono con controricorso ed hanno altresì presentato memoria in data 11 ottobre 2018 ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

La Corte d’Appello di Bari, in riforma della pronuncia resa in primo grado il 20 ottobre 2006 dal Tribunale di Bari, ha accolto le domande proposte da V.M.L., V.F. e No.Gi. con la citazione del 15 settembre 1995, dichiarando senza titolo la detenzione dell’immobile di via (OMISSIS), in capo a L.P.G., e perciò condannando quest’ultimo al rilascio del bene entro quattro mesi dalla notifica della sentenza. La sentenza d’appello ha rigettato altresì la domanda di usucapione dell’immobile, come anche quella di declaratoria di nullità della donazione intercorsa il 13 luglio 1995 fra V.F., V.M.L. ed il figlio di quest’ultima No.Gi., avanzate in via riconvenzionale da L.P.G..

L’appartamento di via (OMISSIS) era stato oggetto di contratto preliminare in data 1 ottobre 1972 stipulato fra V.M.L. e L.P.G., cui, per quanto dedotto da quest’ultimo, erano conseguiti l’anticipato pagamento di gran parte del prezzo e l’immediata consegna del bene al promissario acquirente. Fra le parti, secondo quanto invece allegato dagli attori, erano intercorsi altresì contratti di locazione sempre inerenti all’appartamento di via (OMISSIS).

La Corte d’Appello di Bari ha evidenziato in premessa la “estrema confusione della vicenda”, connotata da quattro atti negoziali allegati dagli stessi originari attori, considerando come L.P.G. fosse “entrato nella casa in contestazione attraverso un tira-e-molla di due contratti di locazione stipulati a distanza di pochi mesi di tempo (1/10/72 e 1/7/73), i quali peraltro a loro volta si sovrapposero a un primo contratto preliminare di acquisto stipulato coevamente al contratto di locazione (1/10/72) e a un secondo contratto definitivo di acquisto (30/9/75), entrambi stipulati con la sola V.M.L.”. A ciò fece seguito la donazione del 13 luglio 1995. Ravvisato l’unico atto di interversione nella cessazione del pagamento dei canoni locativi dal gennaio 1977 da parte del conduttore e promissario acquirente L.P., la Corte di Bari ha negato la sussistenza del possesso ventennale ad usucapionem, essendo stata la relativa domanda proposta il 20 novembre 1995. La sentenza impugnata ha altresì escluso che le risultanze di causa dimostrassero l’animus di possessore del L.P. prima del gennaio 1977 e così respinto la pretesa di usucapione di quest’ultimo; ha accolto la domanda di rivendicazione di V.M.L., V.F. e No.Gi., essendo la detenzione dell’appartamento proseguita senza titolo dal 1977; ed ha quindi anche revocato la statuizione di nullità della donazione del 13 luglio 1995.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso di L.P.G. denuncia la violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo, quanto all’affermazione contenuta nella sentenza impugnata della prova del pagamento dei canoni locativi fino al gennaio 1977.

Il secondo motivo di ricorso di L.P.G. denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo e la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, in quanto la sentenza impugnata non tiene conto del fatto obiettivo del pagamento del prezzo dell’appartamento, per l’importo di Lire 16.000.000, mediante contanti ed effetti cambiari, come documentato dal contratto definitivo di vendita del 30 settembre 1975.

Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1158,1140 e 1362 c.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo, in quanto la Corte d’Appello di Bari, dopo aver correttamente interpretato e qualificato come “contratto definitivo” la scrittura privata del 30 settembre 1975 tra V.M.L. e L.P.G., avrebbe errato nel non individuare in tale stessa data l’inizio del possesso utile all’usucapione. Deduce il ricorrente che, se avesse acquistato la “titolarità” dell’appartamento in virtù della scrittura del 30 settembre 1975, divenendone così immediatamente proprietario, egli neppure avrebbe avuto bisogno di far valere una seconda volta tale titolarità in virtù dell’usucapione. Il terzo motivo sostiene che il contratto definitivo del 30 settembre 1975, del quale viene riprodotto il testo, trasferiva a L.P.G. la proprietà dell’appartamento, considerato come un unicum inscindibile, senza indicare che il bene fosse in comunione nè differire l’effetto traslativo fino alla divisione della comunione corrente tra la venditrice V.M.L. e la comproprietaria V.F. (come invece si era previsto nel preliminare del 1 ottobre 1972), rinviandosi soltanto la stipula dell’atto pubblico al “compimento ed adempimento di tutte le pratiche e formalità all’uopo occorrenti”.

Il quarto motivo di ricorso deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1158,1165 e 2943 c.c. e dell’art. 164c.p.c., art. 329c.p.c., comma 2, e art. 112 c.p.c., nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo, dovendosi negare valore interruttivo dell’usucapione all’atto di citazione notificato il 15 settembre 1995, in quanto lo stesso atto era stato dichiarato nullo dal Tribunale di Bari, come da ordinanza del 12/2/97 – 14/4/99.

Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 329c.p.c., comma 2 e art. 112 c.p.c., nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo, in quanto la Corte d’Appello di Bari ha deciso la causa come se il “preliminare 1/10/72 e il definitivo di acquisto 30.9.75 non esistessero”, fondando le proprie argomentazioni unicamente sui due contratti di locazione.

Il sesto motivo di ricorso di L.P.G. denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia e per ultrapetizione, quanto all’eccezione di prescrizione decennale del diritto alla restituzione, condivisa dal Tribunale e riproposta in appello, avendo peraltro la Corte di Bari sostituito l’azione contrattuale basata sul rapporto di locazione, proposta dagli attori, con la diversa azione di rivendica.

Il settimo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, e l’omesso esame circa un fatto decisivo, sempre per la qualificazione della domanda degli attori in termini di azione di rivendicazione operata nella sentenza impugnata, in luogo di quella di azione personale di rilascio, ritenuta dal primo giudice.

L’ottavo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 1141 c.c., comma 1, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, assumendo che la sentenza impugnata, ammettendo la coesistenza di quattro contratti inconciliabili tra loro, non abbia poi esplicitato il percorso logico-giuridico posto a base della decisione, con conseguente mancanza o contraddittorietà della motivazione.

Il nono motivo di ricorso di L.P.G. denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sull’appello incidentale condizionato in ordine alla domanda di nullità della donazione del 13 luglio 1995.

2. I controricorrenti, che eccepiscono l’inammissibilità dei motivi di ricorso, espongono, tra l’altro, di aver diffusamente dedotto “sulla tacita risoluzione del contratto preliminare del 1.01.1972 e di quello del 30.9.1975”.

3. Possono esaminarsi in via preliminare congiuntamente, per la loro connessione, il secondo, il terzo e l’ottavo motivo di ricorso, i quali si rivelano fondati nei limiti di seguito precisati, rimanendo così assorbite le restanti censure.

Va premesso come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Non di meno, pur dopo tale riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rimane denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

La sentenza della Corte d’Appello di Bari risulta allora strutturata su una motivazione apparente, o comunque obiettivamente incomprensibile: essa ha accolto la domanda di rivendicazione di V.M.L., V.F. e No.Gi., con riferimento all’immobile di via (OMISSIS), ed ha respinto la contrapposta domanda di accertamento dell’usucapione avanzata da L.P.G., sul presupposto che quest’ultimo non avesse fornito prova dell’esercizio ultraventennale di un possesso idoneo ad usucapire, in quanto originariamente conduttore (e perciò detentore dell’immobile) in forza di due contratti di locazione del 1972 e 1973. La Corte d’Appello ha, invero, ravvisato un possibile inizio di possesso animo domini solo a far tempo dal gennaio 1977, quando il L.P. cessò di pagare i canoni, primo atto che così manifestava alle proprietarie il mutamento dell’animus.

Non ha rilievo decisivo rimarcare che L.P.G. fosse altresì promissario acquirente dell’appartamento di via (OMISSIS), in forza di preliminare del 1 ottobre 1972, giacchè, secondo consolidato orientamento di questa Corte, nella promessa di vendita la disponibilità del bene conseguita dal promissario acquirente, pur quando ne sia stata convenuta la consegna prima della stipula del contratto definitivo, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem, ove non sia dimostrata una interversio possessionis nei modi previsti dall’art. 1141 c.c.(Cass. Sez. U, 27/03/2008, n. 7930; Cass. Sez. 2, 16/03/2016, n. 5211).

La stessa sentenza della Corte d’Appello di Bari dà, tuttavia, per accertata anche la conclusione di un “contratto definitivo di acquisto” sempre relativo all’immobile di via (OMISSIS), stipulato in data 30 settembre 1975 tra V.M.L. e L.P.G.. E’ agevole considerare subito che non può discutersi di risoluzione tacita di un contratto di vendita immobiliare, come dedotto dai controricorrenti, in quanto la risoluzione di un negozio per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam deve necessariamente risultare da un accordo esplicito delle parti diretto a sciogliere il contratto, e non può ricavarsi da un comportamento tacito concludente (Cass. Sez. 3, 04/07/2006, n. 15264).

La presenza di un contratto definitivo di acquisto dell’immobile in favore L.P.G. sin dal 30 settembre 1975 rende allora incomprensibili le valutazioni che la Corte d’Appello svolge circa la natura di mero detentore dello stesso quanto meno fino al gennaio 1977, come pure l’approfondimento delle argomentazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi che, unitamente al decorso del tempo, legittimano l’acquisto della proprietà per usucapione. La sentenza della Corte di Bari non rende percepibile il fondamento della decisione, ricorrendo ad argomentazioni inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento. Chi è già proprietario non può, infatti, divenire tale per usucapione una seconda volta, non potendosi acquistare, neppure a titolo originario, un diritto che già si ha, nè tanto meno un diritto su cosa propria. Soltanto nelle particolari ipotesi di acquisto da chi non è proprietario, di cui agli artt. 1159 e 1160 c.c., può concepirsi che il possessore usucapisca contro il suo stesso dante causa.

La stessa qualificazione della domanda degli attori, prescelta in sentenza dalla Corte d’Appello di Bari, come azione di rivendicazione, e non come azione personale per la restituzione dell’immobile in precedenza volontariamente trasmesso al convenuto, suppone che la pretesa fosse rivolta a recuperare il possesso del bene contro chi di fatto ne disponeva.

Se poi si tratti, secondo quanto allegato dal ricorrente, di vendita di un bene in comunione stipulata da uno solo dei comproprietari, nel quale venditore e compratore abbiano tuttavia considerato l’immobile come un unicum inscindibile, operano i principi generali che regolano il regime giuridico della comunione pro indiviso, sicchè il contratto è comunque valido, risultando l’alienazione meramente inopponibile al comproprietario che non ha preso parte all’atto (cfr. Cass. Sez. 2, 11/03/2004, n. 4965; cfr. Cass. Sez. 2, 15/05/1998, n. 4902). Qualora il bene faccia parte di una comunione ereditaria, la vendita da parte di uno solo dei coeredi ha solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia subordinata all’assegnazione del bene al coerede – venditore attraverso la divisione; ma se il bene compravenduto costituisce l’intera massa ereditaria, l’effetto traslativo dell’alienazione stipulata da un coerede è immediato, essendo quest’ultimo proprietario esclusivo della quota ideale di comproprietà (Cass. Sez. 3, 01/07/2002, n. 9543; Cass. Sez. 2, 10/12/2014, n. 26051). La Corte d’Appello di Bari non ha proprio verificato se l’intento degli stipulanti del contratto definitivo del 30 settembre 1975 fosse quello di una vendita unitaria dell’intero appartamento, o di una sua quota, nè se alla stessa vendita dovessero riconoscersi effetti obbligatori o traslativi. Neppure la sentenza impugnata ha considerato come la relazione di fatto esistente tra la res e colui che ne abbia conseguito la disponibilità a seguito di contratto di compravendita inopponibile, o affetto da inefficacia relativa (come voglia qualificarsi, nella specie, la vendita dell’immobile in comunione stipulata tra le parti), è comunque configurabile in termini di possesso e non di detenzione qualificata come per la promessa di vendita, giacchè in tal caso il negozio è comunque volto a trasferire la proprietà del bene ed è, pertanto, idoneo a far ritenere sussistente, in capo all’accipiens, l’animus rem sibi habendi ai fini dell’usucapione ordinaria (arg. anche da Cass. Sez. 2, 14/03/2016, n. 4945).

In conclusione, in accoglimento del secondo, del terzo e dell’ottavo motivo di ricorso, rimanendo assorbite le restanti censure, la sentenza impugnata deve essere cassata, con conseguente rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di Bari per una nuova delibazione che tenga conto dei rilievi svolti. Al giudice di rinvio viene rimessa anche la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il secondo, il terzo e l’ottavo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Bari anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019

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