Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2701 del 05/02/2010

Cassazione civile sez. I, 05/02/2010, (ud. 18/11/2009, dep. 05/02/2010), n.2701

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8358-2004 proposto da:

S.L., S.N., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA PREMUDA 6, presso l’avvocato MARRAPODI IVAN, rappresentati

e difesi dall’avvocato SIRACUSANO NICOLA, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrenti-

contro

SNAM RETE GAS S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in persona del Presidente

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAVOUR 108,

presso lo STUDIO AVV. DI TORRICE ANDREINA, rappresentata e difesa

dagli avvocati COLLINA TOMMASO, PARISE ACHILLE, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 71/2003 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 13/02/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/11/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE SALVAGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Messina con sentenza del 2 novembre 2 000 condannò S.L. a restituire alla SNAM progetti,che aveva occupato un fondo di sua proprietà per la costruzione di un metanodotto e poi conseguito decreto di asservimento,la somma di L. 15.827.760, risultante dalla differenza tra l’importo di L. 17.930.000 che la società aveva dovuto versare per l’occupazione abusiva dell’immobile per effetto della sentenza 20 maggio 1985 della Corte di appello di Messina,cassata dalla Suprema Corte con sentenza 23 marzo 1992 n. 3573 e l’ammontare dell’indennità di occupazione temporanea dovuta al proprietario. Respinse le domande riconvenzionali del S. di condanna della controparte al risarcimento del danno per il periodo in cui l’occupazione era divenuta senza titolo,nonchè di determinazione dell’indennità di asservimento.

L’impugnazione di quest’ultimo è stata rigettata dalla Corte di appello di Messina che, con sentenza del 13 febbraio 2003,ha osservato: a) la richiesta risarcitoria si era prescritta, essendo l’occupazione cessata il 20 giugno 1984 (data del decreto di asservimento) e la citazione introduttiva del giudizio notificata soltanto il 27 settembre 1993: perciò a nulla rilevando il precedente giudizio che si era estinto non essendo stato riassunto in seguito alla pronuncia della Cassazione da alcuna delle parti; b) l’opposizione alla stima dell’indennità era intempestiva perchè proposta dopo lo spirare del termine di decadenza stabilito dalla L. n. 2359 del 1865, art. 51 e/o dalla L. n. 865 del 1971, art. 19.

Per la cassazione della sentenza, il S. ha proposto ricorso per due motivi cui resiste con controricorso la SNAM Rete Gas s.p.a., cessionaria del ramo di azienda relativo al gasdotto già appartenuto alla SNAM.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Collegio deve,anzitutto disattendere l’eccezione di inesistenza della notifica del ricorso alla SNAM s.p.a. perchè non più esistente, in quanto incorporata nell’ENI s.p.a. con atto in notar Castellini del 30 gennaio 2002. Questa Corte,infatti, con riferimento ai processi pendenti alla data del 30 aprile 1995 – quale è quello in esame iniziato con citazione del 27 settembre 1993 – ha ripetutamente affermato che il dovere di indirizzare l’impugnazione nei confronti del nuovo soggetto effettivamente legittimato resta subordinato alla conoscenza o alla conoscibilità dell’evento, secondo criteri di normale diligenza,da parte del soggetto che propone l’impugnazione (Cass. 18615/2008); e che l’errore del ricorrente nella individuazione del soggetto suddetto passivamente legittimato all’impugnazione propiziato dal difetto di ogni indicazione in tali sensi in occasione (della fusione, nonchè) della notificazione del ricorso deve ritenersi incolpevole, dovendo il suo onere di diligenza essere bilanciato con quello della società che ha dato causa all’evento, anche perchè la stessa è necessariamente consapevole dei rapporti pendenti della società incorporata. E, d’altra parte, non rilevando in contrario il disposto dell’art. 2193 c.c., comma 2 poichè la regola della inopponibilità dell’ignoranza dei fatti soggetti ad iscrizione nel registro delle imprese – come appunto la fusione societaria – una volta che l’iscrizione sia stata eseguita,vale con salvezza delle disposizioni particolari della legge (comma 3) nel senso che la presunzione di conoscenza posta da detta norma non opera in campo processuale (Cass. 15234/2007; 19132/2004;

16754/2003; 12210/2003).

Con il primo motivo, S.L., deducendo violazione dell’art. 2953 cod. civ. e art. 393 cod. proc. civ., censura la sentenza impugnata per avere confermato la prescrizione del risarcimento del danno dovutogli dalla controparte per l’abusiva occupazione del fondo,senza considerare la ricordata decisione 3573/1992 di questa Corte che lo aveva riconosciuto ed attribuito cassando la decisione di appello e rinviando per la sua liquidazione al giudice di merito;con la conseguenza che t in applicazione del disposto dell’art. 2953 cod. civ. il termine di prescrizione del credito era decennale e decorreva dalla menzionata pronuncia, perciò restando definitivamente interrotto per effetto dell’atto introduttivo del giudizio.

Il motivo è infondato.

La ricordata decisione 3573/1992 di questa Corte ha accertato: a) che a seguito di Decreto Assessore Industria Regione Siciliana 3 ottobre 1979 la S.p.A. SNAM aveva occupato parte di un terreno di proprietà del ricorrente in (OMISSIS) per l’installazione di un metanodotto;

b) che, eseguita l’opera e scaduto in data 3 ottobre 1981 il biennio di occupazione legittima (per il quale il proprietario aveva ricevuto la relativa indennità), non era stato emanato il decreto di espropriazione, sopravvenuto soltanto il 20 giugno 1984. Ha quindi cassato la decisione della Corte di appello che erroneamente aveva ravvisato nella installazione delle tubazioni per il metanodotto “gli schemi della cosiddetta occupazione appropriati iva, ritenendo (illecitamente) costituita la servitù al momento della scadenza dell’occupazione legittima ed irrilevante il successivo decreto di asservimento,e liquidando di conseguenza, oltre all’indennità per il biennio di occupazione, il risarcimento del danno per l’illecita definitiva costituzione della servitù”; ed ha enunciato il principio di diritto ex art. 384 cod. proc. civ. che al proprietario, rimasto tale, spetta invece, per il periodo successivo al biennio, il risarcimento del danno per la protrazione abusiva dell’occupazione a mezzo delle tubazioni interrate, fino al momento in cui la servitù si è regolarmente ed effettivamente costituita con il decreto di asservimento.

Pertanto; siccome entrambe le parti hanno confermato quanto accertato dalla sentenza di appello, che nessuna di esse dopo la decisione della Cassazione ha riassunto il processo provocando per il disposto dell’art. 393 cod. proc. civ. l’estinzione dell’intero processo,detta estinzione comportava ai sensi dell’art. 2945 c.c., comma 3, come correttamente affermato dalla Corte di merito, il permanere soltanto all’effetto interruttivo della prescrizione provocato dalla domanda giudiziale; dalla quale comincia a decorrere il nuovo periodo di prescrizione, restando escluso l’effetto permanente dell’interruzione previsto dal comma 2 dello stesso articolo (Cass. 5104/2006;

986/1993).

E siccome la domanda giudiziale era stata proposta il 13 dicembre 1982 e l’occupazione illegittima del fondo si era protratta fino al 19 giugno 1984,anche il termine quinquennale di cui all’art. 2947 cod. civ. per richiedere il danno relativo all’ultimo periodo dell’occupazione è inutilmente scaduto il 19 giugno 1989,posto che lo stesso S. non ha contestato di non averlo mai interrotto e di avere formulato la richiesta soltanto con la citazione introduttiva di questo giudizio notificata il 27 settembre 1993;

perciò consentendo il maturare della prescrizione dichiarata dalla sentenza impugnata. Siffatto risultato non è smentito dalla seconda delle due disposizioni che sono contenute nell’art. 393 c.p.c., la quale, dopo la comminatoria di estinzione del processo per mancata riassunzione, stabilisce: “ma la sentenza della Corte di Cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda”. Invero, come già questa Corte ha ripetutamente osservato, la conservazione dell’effetto vincolante non può essere una pretesa deroga agli effetti dell’estinzione del processo, per inattività delle parti, sul regime della prescrizione del diritto. L’unica conservazione possibile di effetti vincolanti della sentenza della Corte di Cassazione è quella che si attaglia alla peculiarità del processo di cassazione e di quello successivo ed eventuale di rinvio, agevolmente individuabile nell’art. 384 c.p.c., comma 1 per cui “La Corte, quando accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, enuncia il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi”.

Questo e non altro è l’effetto conservativo voluto dalla speciale disposizione, attraverso la quale riceve attuazione la funzione istituzionale cui la Corte presiede.

Tutto il resto resta vanificato dall’estinzione del processo, di cui si salva solo il principio di diritto enunciato dalla Corte nella sentenza ablativa, non seguita da riassunzione. La locuzione “l’intero processo si estingue” non può avere altro significato, proprio come è confermato dall’impiego della particella avversativa “ma”, per rappresentare ciò che invece resta in ogni caso efficace, indipendentemente dall’evento riassuntivo; sicchè ciò che non poteva più rimettersi in discussione anche in questo processo era il diritto del proprietario di percepire il risarcimento del danno da illecito permanente (fino al 1984) piuttosto che quello da illecito istantaneo con effetti permanenti, nel cui ambito rientra la cd.

occupazione espropriativa. E non potevano del pari essere più posti in dubbio i necessari presupposti di fatto che il principio di diritto affermato presupponeva come pacifici o come già accertati definitivamente in sede di merito, quali la non avvenuta irreversibile trasformazione del fondo,rimasto quindi in proprietà del S., ed il suo asservimento di mero fatto per l’abusiva collocazione delle condutture del metanodotto (Cass. 15952/2006;

5137/2004; 11144/2001).

Ma la sentenza della Cassazione (prima della nuova formulazione dell’art. 384 c.p.c.) non aveva per tale fatto attribuito – nè avrebbe potuto attribuire – alcun bene della vita al proprietario, nè aveva condannato la SNAM al pagamento di alcuna somma di denaro a titolo di risarcimento del danno; e neppure aveva accertato la potenziale idoneità della sua occupazione illegittima a produrre conseguenze dannose; ed ha cassato per converso la sentenza di appello con rinvio proprio per consentire detti accertamenti al giudice del secondo appello, perciò tenuto ad apprezzare anche i fatti estintivi o modificativi che si frapponevano in concreto alla liquidazione del danno permanente: con la sola preclusione, conclusivamente, di non poter applicare il criterio peculiare dell’occupazione acquisitiva irrevocabilmente esclusa dalla sentenza della Cassazione.

Per tale ragione all’obbligazione risarcitoria fatta valere dal ricorrente non era applicabile, come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata, neppure il termine decennale di prescrizione stabilito dall’art. 2953 cod. civ. (cd. actio iudicati): posto che lo stesso si riferisce alle sole sentenze di condanna anche se generiche, contenendo pur esse una vera e propria statuizione autoritativa, la quale, pur mancando della attitudine all’esecuzione forzata, contiene tuttavia, a differenza della sentenza 3753/1992 di questa Corte – di cui si sono già evidenziati il diverso contenuto e la portata dell’effetto vincolante – l’accertamento dell’obbligo in via strumentale, rispetto alla futura determinazione del “quantum”, ed impone all’obbligato di adempiere una prestazione anche se tale determinazione quantitativa è rinviata ad un momento successivo (Cass. 8154/2003; 6757/1996; 9771/1995).

E d’altra parte(pur se il precedente giudizio fosse stato riassunto e proseguito fino alla statuizione di merito, il credito del S. sarebbe sfuggito alla prescrizione non certamente per l’equiparabilità della sentenza della Cassazione ad una decisione di condanna non definitiva, ma per il disposto dell’art. 2945 c.c., comma 2, per cui “Se l’interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dall’art. 2943 c.c., commi 1 e 2 la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio”.

Con il secondo motivo, il ricorrente,deducendo violazione dell’art. 2697 c.c., nonchè art. 2966 e segg. cod. civ. censura la sentenza impugnata per avere dichiarato inammissibile l’opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione per inosservanza del termine di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 51 senza considerare: a) che detta regola vale allorquando il giudizio viene proposto nelle forme dell’opposizione ordinaria, ma non certamente quando viene richiesto il risarcimento del danno per illegittima occupazione ed il giudizio si trasforma in quello di opposizione alla stima dell’indennità perchè sopravviene nel corso di esso il decreto di esproprio; b) che la decadenza non era nel caso rilevabile di ufficio e che d’altra parte essa era stata già definitivamente impedita dalla proposizione della precedente azione, sicchè non abbisognava di essere rinnovata successivamente; c) che in ogni caso il termine di decadenza decorreva dalla notifica della stima dell’indennità da parte dell’UTE o del decreto di esproprio;di cui invece non vi era prova alcuna.

Questo motivo è fondato.

Nel precedente giudizio Cass. 3573/1992,essendo nel corso del giudizio sopravvenuto il decreto di espropriazione, aveva altresì incaricato il giudice di rinvio di esaminare se “l’azione risarcitoria per l’illecita costituzione della servitù possa ritenersi convertita in azione di opposizione alla stima” e di procedere in caso affermativo “alla determinazione dell’indennità di asservimento secondo i criteri stabiliti dalla legge in base alla quale la servitù stessa è stata autoritativamente costituita”.

Se dunque in quel giudizio si fosse verificata siffatta ipotesi, è evidente che (essendo stata dal S. proposta l’azione prima (anno 1982) dell’adozione del decreto di asservimento (anno 1984), nessuna decadenza poteva essere maturata in suo danno neppure se la relativa indennità fosse stata già determinata dalla Commissione provinciale perchè la fattispecie si era completata soltanto il 20 giugno 1984: data alla quale la domanda risultava già avanzata.

Ma il giudizio in questione non è stato riassunto, e l’estinzione ha travolto l’intero processo rendendo inefficace l’originaria domanda (Cass. 6717/1991; 3505/1994), e costringendo il proprietario a proporre nuova ed autonoma richiesta di determinazione dell’indennità di asservimento notificata alla controparte il 27 settembre 1993: perciò soggetta alle disposizioni della L. n. 865 del 1971, art. 19 applicabili per il fatto che l’Amministrazione,come ammesso dalla stessa SNAM (pag. 10 controric.) aveva disposto l’asservimento e fissato l’indennità stessa in base alla normativa di quest’ultima legge (Cass. sez. un. 7703/1993; 5898/1997; nonchè 1158/2000) ed in forza della L. n. 247 del 1974, art. 4 estese “a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o di interventi da parte dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico anche non territoriali”; fra le quali rientrava dunque la costruzione del metanodotto di (OMISSIS).

Sennonchè la Corte di appello non ha considerato che la nota sentenza 67/1990 della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 19 suddetto nella parte in cui, pur dopo l’avvenuta espropriazione non consentiva agli aventi diritto di agire in giudizio per la determinazione dell’indennità finchè mancava la relazione di stima prevista dai ricordati artt. 15 e 16. Ed ha in tal modo introdotto un’autonoma e generale azione, che si è affiancata all’opposizione originaria e che consente all’espropriato, allorchè è stato pronunciato il decreto di espropriazione (o di asservimento) che gli ha sottratto la proprietà dell’immobile (o vi ha costituito una servitù), di adire la Corte di appello per l’accertamento e la determinazione del giusto indennizzo di cui alla norma costituzionale, pur quando tardi o non venga emesso il provvedimento di stima da parte della Commissione.

Nel caso concreto nè la sentenza impugnata nè la SNAM hanno mai menzionato una indennità di asservimento determinata dalla Commissione di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 15 e 16 e notificata al proprietario del fondo (da non confondere,quindi, con quella provvisoria che ai sensi dell’art. 12 della Legge l’espropriante ha l’obbligo di offrire all’espropriando); per cui l’azione del S. doveva essere configurata,in tal caso, non come opposizione ad una determinazione definitiva dell’indennità che manca, ma come domanda di accertamento, diretta sin dall’origine alla fissazione della giusta indennità ex art. 42 Cost. (con condanna dell’espropriante al deposito del suo importo presso la Cassa depositi e prestiti (Cass. 7400/2003; 11064/2001; 11370/1999).

E’ d’altra parte significativo che tanto la Corte territoriale,quanto la SNAM,pur avendo più volte invocato la decadenza prevista dalla norma in esame (o dalla L. n. 2359 del 1865, art. 51), non abbiano mai indicato da quale data doveva iniziare a decorrere il termine di 30 giorni ivi stabilito; nè in alternativa quella della notifica al proprietario della determinazione, nonchè del completamento del procedimento amministrativo introdotto dal menzionato art. 19.

Per cui non essendovi nel caso (o comunque non essendo stata mai dedotta la sussistenza di) un provvedimento di stima definitiva dell’indennità, l’azione del S. non poteva essere soggetta alla decadenza prevista dalla norma, ma soltanto alla ordinaria prescrizione decennale (Cass. 9098/2003; 11064/2001; 9652/ 1994;

18/1991), che nella specie la stessa Corte di appello ha escluso riferendo che la citazione introduttiva del giudizio era stata notificata il 27 settembre 1993,e non avendo mai messo in dubbio che il decreto di asservimento sia stato pronunciato il 20 giugno 1984.

La sentenza impugnata che non si è attenuta a questi p principi va pertanto cassata con rinvio alla stessa Corte di appello di Messina, che provvedere alla liquidazione dell’indennità di asservimento spettante al S., nonchè alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il primo motivo del ricorso,accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla stessa Corte di appello di Messina,in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2010

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