Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27005 del 27/12/2016


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Cassazione civile, sez. III, 27/12/2016, (ud. 05/05/2016, dep.27/12/2016),  n. 27005

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9028/2013 proposto da:

S.I.I., in qualità di titolare della S. INFISSI DI

S.I.I. & C. SAS, domiciliata ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONIO GRILLO, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

M.A., F.F., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

ATTILIO REGOLO 12/D, presso lo studio dell’avvocato ITALO CASTALDI,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato DOMENICO

PIZZILLO, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

V.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3615/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 06/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/05/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato GRILLO;

udito l’Avvocato CASTALDI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 6/11/2012 la Corte d’Appello di Napoli ha dichiarato inammissibile il gravame interposto dai sigg. V.M. e C. in relazione alla pronunzia Trib. Benevento 18/1/2007, di accoglimento della domanda nei loro confronti proposta dai sigg. M.A. e F.F. di accertamento del loro diritto di prelazione agraria e inefficacia nei loro confronti della vendita di fondo agricolo sito in (OMISSIS) da parte dei predetti alla sig. S.I.I..

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la S., nella “qualità di titolare della S. Infissi di S.I.I. & C. s.a.s.”, propone ora ricorso per cassazione, affidato a 6 motivi.

Resistono con controricorso il M. e la F..

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Con atto denominato “comparsa di costituzione” depositato in Cancelleria i sigg. F.F., Ma.An., An. e M. si costituiscono quali eredi del defunto M.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo la ricorrente denunzia violazione della L. n. 817 del 1981, art. 7 (rectius, 1971), L. n. 590 del 1965, art. 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa pronuncia su diversi punti decisivi della controversia”.

Con il 2 motivo denunzia “falsa applicazione” della L. n. 590 del 1965, art. 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonchè “omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia”.

Con il 3 motivo denunzia “falsa applicazione” della L. n. 590 del 1965, art. 31, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “errata, omessa pronuncia”.

Con il 4 motivo denunzia “falsa applicazione” della L. n. 590 del 1965, art. 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa pronuncia”.

Con il 5 motivo denunzia “insufficiente ed errata applicazione” della L. n. 590 del 1965, art. 31, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “mancata pronuncia-omessa motivazione”.

Con il 6 motivo denunzia ” violazione, insufficiente ed errata applicazione” della L. n. 590 del 1965, art. 8, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “mancata pronuncia-omessa motivazione”.

Il ricorso è inammissibile.

Va anzitutto osservato che esso risulta formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., alla “difesa S. (avv. D’Agostino)”, all’atto d’appello, ai “motivi di appello”, alla “concessione edilizia”, allo “strumento urbanistico approvato”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

Va per altro verso posto in rilievo che le affermazioni contenute nell’impugnata sentenza secondo cui la “argomentata motivazione del Tribunale” in ordine alla mancanza di “prova che, al momento dell’invio della raccomandata, era stato concluso un preliminare di vendita o che vi erano concrete trattative in corso, ed anzi, il tempo trascorso fra la detta missiva e l’atto di vendita (quasi 1 anno e mezzo) faceva ritenere che l’atto notarile era stato posto in essere in attuazione di un diverso regolamento negoziale” nonchè relativamente alla ravvisata inidoneità della denuntiatio della vendita, non fossero state idoneamente censurate in sede di gravame sono rimaste senza idonea censura in sede di ricorso per cassazione, essendosi la ricorrente limitata a sostenere che ” F.F. non è proprietaria nè titolare di alcun diritto validamente invocabile sul terreno confinante, salvo una coltivazione quale coniuge del M. che non contempla alcun particolare diritto per il riscatto, erroneamente riconosciuto anche in suo favore senza titolo”.

Del pari non idoneamente censurata risulta altresì la statuizione del giudice di prime cure circa l’irrilevanza della richiesta prova testimoniale per non essere “valida la denuntiatio”, sicchè “i confinanti non potevano rinunziare ad un diritto di prelazione non ancora venuto in essere”; come pure quella relativa all’irrilevanza dell'”invito della S.” al M. “in occasione della stipula della vendita” in quanto “priva di un termine congruo per decidere se avvalersi della prelazione e procurarsi la necessaria provvista economica”.

Ancora, della conseguentemente ravvisata insuscettibilità del “comportamento del M.” a poter “ritenersi rinunzia”, atteso che, avendo “la rinunzia ad oggetto l’acquisto di un diritto reale su un bene immobile, essa doveva essere compiuta per iscritto”, sicchè “non poteva essere ritenuta equipollente alla denuntiatio, e per altro verso “il comportamento del M. non poteva neppure ritenersi rinunzia”. Come pure dell’ulteriore rilievo che d’altro canto “ancora una volta nessuna argomentazione” risulta dalla ricorrente “formulata nell’atto di appello in relazione alla necessità della forma scritta della rinunzia”.

Non può infine sottacersi, con particolare riferimento al 10 motivo, che laddove la ricorrente lamenta avere la “Corte d’appello miscelato le norme ritenendo la sussistenza dei requisiti a seconda del “diritto” in capo al M. o al F. non rilevando l’unicità dei requisiti rispetto al soggetto singolo che può esercitare il riscatto (non alla famiglia)”, e si duole dell’erroneità dell’impugnata pronunzia in ragione della mancanza di “qualsiasi prova che la moglie avesse la qualifica di coltivatrice diretta pur non essendo proprietaria confinante” e “il marito quella di proprietario confinate, pur non essendo coltivatore diretto”, avendo i giudici ritenuto che “i due requisiti potevano essere fusi e formare un unicum”, laddove la “norma richiede in maniera inderogabile che debbano coincidere sulla stessa persona fisica i requisiti”, la ricorrente prospetta una questione di cui si appalesa invero la novità giacchè (stante anche la sopra indicata violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, con particolare riferimento alla “difesa S. (avv. D’Agostino)”, all’atto d’appello, ai “motivi di appello”) non è dato evincere che la medesima sia stata già sottoposta al vaglio del giudice del gravame.

Ne consegue, a tale stregua, la violazione da parte dell’odierna ricorrente del consolidato principio secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio, sicchè al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, il ricorrente ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte Suprema di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (v. Cass., 31/1/2006, n. 2140, e, da ultimo, Cass., 9/7/2013, n. 17041).

Con particolare riferimento al 3 e al 5 motivo, va per altro verso sottolineato che non risultano invero sviluppati idonei argomenti a sostegno delle mosse censure, sicchè essi si prospettano nulli per inidoneità al raggiungimento dello scopo, e quanto dedotto dalla ricorrente si risolve nella proposizione in realtà di “non motivi” (cfr. Cass., 11/7/2014, n. 15882; Cass., 1/10/2012, n. 17318; Cass., 17/1/2012, n. 537).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore dei controricorrenti M. e F., seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2016

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