Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27005 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. II, 26/11/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 26/11/2020), n.27005

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25981/2019 proposto da:

O.L., rappresentato e difeso dall’avvocato TIZIANA ARESI,

MASSIMO CARLO SEREGNI, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 6299/2019 del TRIBUNALE di

MILANO, depositato il 17/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.L. – cittadino della (OMISSIS) – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Milano avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano sez. Monza, che aveva rigettato la sua istanza di protezione in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’essersi dovuto allontanare dal suo Paese poichè si era rifiutato d’aderire a culti segreti – di uno dei quali era stato adepto il padre e l’altro di cui era adepto un amico – sicchè lui e la sua famiglia erano perseguitati anche con violenze fisiche.

Per sottrarsi a tale persecuzione il richiedente asilo era espatriato ed, arrivato in Libia, aveva dovuto lavorare per pagare debito ed il passaggio verso l’Italia, dove finalmente giunse nel 2015.

Il Collegio ambrosiano ha rigettato il ricorso ritenendo non credibile il racconto del richiedente asilo; valutando che la situazione socio-politica dell’Edo State nigeriano, zona in cui l’ O. viveva, non consentiva di ritenere concorrenti le specifiche situazioni per la protezione internazionale e che non concorreva condizione di vulnerabilità ovvero elementi lumeggianti significativo inserimento sociale in Italia ai fini della protezione umanitaria.

L’ O. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale lombardo articolato su due motivi.

Il Ministero degli Interni, ritualmente, evocato, è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto dall’ O. risulta inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c. – siccome la norma ricostruita ex Cass. SU n. 7155/17.

In limine va rilevato come il ricorrente abbia deposito documentazione unitamente al ricorso, documenti che tuttavia non risultano conformi a quanto consentito ex art. 372 c.p.c., sicchè ne va dichiarata l’inammissibilità.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce violazione della norma D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 8, poichè i Giudici di prime cure hanno omesso di approfondire e valutare le vicissitudini da lui sofferte durante il periodo di permanenza in Libia.

La censura articolata risulta generica poichè non si confronta in concreto con la puntuale argomentazione esposta dal Collegio ambrosiano, che ha posto in evidenza come la Libia era esclusivamente Paese di transito, nel quale sarebbe stato sfruttato e si sarebbe sottratto a detto sfruttamento con la fuga verso l’Italia, e come nemmeno era ipotizzabile un rimpatrio verso detto Paese.

Dunque il Collegio lombardo ha puntualmente esaminato il dato fattuale rappresentato dalle vicissitudini – asseritamente – sofferte in Libia e ne ha posto in evidenza l’irrilevanza ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale in relazione a tutti gli istituti previsti.

Con la seconda ragione di doglianza il ricorrente deduce violazione delle norme D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 3,5 e 14, poichè il Collegio milanese non ebbe ad osservare i criteri legali dettati per la valutazione della credibilità del suo racconto ed, inoltre, aveva omesso d’assumere le richieste informazioni sulla situazione socio-politica della Nigeria, che appaiono peggiorate a tenor di numerosi arresti di merito in relazione ad altri richiedenti asilo nigeriani.

La censura s’appalesa generica in quanto l’argomento critico esposto si limita a ribadire la tesi, già sottoposta al Tribunale e motivatamente disattesa, senza un effettivo confronto con gli argomenti esposti dal Collegio ambrosiano.

Difatti i Giudici milanesi hanno puntualmente esaminato il racconto dell’ O. partitamente indicando le incongruità ed i punti di inverosimilianza, anche con relazione alle informazioni assunte mediante l’esame di appositi rapporti redatti da Enti internazionali circa il fenomeno del cultismo in Nigeria.

Quindi hanno esaminato la relazione del servizio di etnopsichiatria dell’Ospedale (OMISSIS) osservando come alla base di detta relazione vi sia sempre la medesima narrazione, resa dall’ O. in causa e motivatamente ritenuta non credibile, sicchè l’averla ripetuta ai sanitari non per ciò le assegna un crisma di veridicità.

Il Tribunale poi – sempre con riguardo alla relazione medica – ha puntualmente rilevato come la conclusione cui sono pervenuti i sanitari ad esito dell’osservazione clinica non evidenzia alcuna patologia in atto ed anzi questi abbiano riscontrato una sostanziale stabilità psicologica e morale del ricorrente. Il Collegio lombardo, poi, ha puntualmente esaminata la situazione socio-politica attualmente esistente nello stato nigeriano d’origine dell’ O. così escludendo che la stessa sia connotata da violenza diffusa nell’accezione individuata dalla Corte Europea.

Infine il Tribunale ha partitamente esaminata la documentazione – riprodotta in questa sede – afferente l’attività lavorativa espletata dall’ O. sottolineando come lumeggi l’attività svolta nel circuito dell’accoglienza e come il reddito mensile tratto sia insufficiente a consentire vita dignitosa al di fuori di detto circuito, mentre in Nigeria il ricorrente poteva contare su precisi riferimenti familiari.

A fronte di detta completa ed analitica disamina dei fatti di causa il ricorrente si limita a dissentire, in modo apodittico, dalla conclusione circa la non credibilità; a lamentare mancato approfondimento della situazione socio-politica senza indicare alcun rapporto, redatto da Organismi internazionali all’uopo preposti, non esaminati dal Collegio lombardo portanti informazioni sui culti nigeriani e sulla situazione dell’Edo State diversi da quanto ritenuto dal Collegio ambrosiano – Cass. sez. 1 n. 26728/19.

Inoltre il ricorrente si limita ad enfatizzare, solo parzialmente, la documentazione medica, invece valutata dai Giudici di prime cure nella sua integralità e riproporre la documentazione afferente l’attività lavorativa senza una specifica argomentazione critica contrapposta alle osservazioni fatte dal Tribunale al riguardo.

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione poichè non costituita. Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

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