Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27002 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. II, 26/11/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 26/11/2020), n.27002

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27006/2019 proposto da:

O.O., rappresentato e difeso dall’Avvocato CRISTINA PEROZZI,

presso il cui studio a San Benedetto del Tronto, piazza Pericle

Fazzini 8, elettivamente domicilia, per procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la SENTENZA n. 439/2019 della CORTE D’APPELLO DI ANCONA,

depositata il 19/2/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/10/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE

DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’appello che O.O., nato in (OMISSIS), aveva proposto avverso l’ordinanza con la quale il tribunale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale da lui presentata.

O.O., con ricorso notificato il 19/9/2019, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza.

Il ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando l’errata e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione sussidiaria.

1.1 La corte, infatti, ha osservato il ricorrente, ha ritenuto che il richiedente aveva rappresentato un conflitto di carattere privato che non è in alcuno modo riconducibile alle ipotesi previste dall’art. 14, lett. a) e b), senza, tuttavia, considerare che, come risulta da fonti qualificate, i territori del sud della Nigeria, regione di provenienza del richiedente, sono interessati da violenza generalizzata.

1.2 Il richiedente, del resto, è stato ritenuto non credibile pur avendo compiuto ogni ragionevole sforzo per convalidare il suo racconto. Tale racconto, peraltro, trova riscontro nella situazione generale del Paese d’origine per cui, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, i fatti narrati devono essere considerati veritieri.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando l’errata e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria.

2.2. La corte, infatti, ha osservato il ricorrente, ha limitato la sua attenzione sull’attività lavorativa senza, tuttavia, considerare, per le oggettive condizioni del suo Paese d’origine ed il percorso d’integrazione intrapreso un Italia, la condizione di estrema vulnerabilità in cui verserebbe il richiedente in caso di rimpatrio.

3.1. Il primo motivo è infondato.

3.2. La corte d’appello, infatti, alla luce dei fatti esposti dal richiedente (così come incontestatamente riprodotti in sentenza, a p. 3), ha ritenuto, innanzitutto, che la vicenda che lo stesso ha narrato avesse natura esclusivamente “privata” (v. la sentenza impugnata, p. 5), avendo dedotto l’esistenza di un potenziale danno alla sua persona per le possibili violenze che il padre della sua ragazza potrebbe esercitare, in caso di ritorno in patria, nei suoi confronti, e che, per tale ragione, a fronte dell’estraneità ai fatti lamentati del potere dello Stato, il pregiudizio lamentato dallo stesso non fosse in alcun modo ricollegabile alla fattispecie prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), (v. la sentenza impugnata, p. 6).

Si tratta, com’è evidente, di un apprezzamento fattuale, non censurato dal ricorrente, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame circa uno o più fatti decisivi specificamente indicati, a fronte del quale la decisione conseguentemente assunta dal giudice di merito, certamente non illogica e contraddittoria rispetto ai dati accertati, si sottrae alle censure svolte in ricorso.

3.3. Le conclusioni che, in forza del suddetto accertamento fattuale, la corte ha esposto sono, del resto, conformi alla consolidata giurisprudenza di questa Corte.

Intanto, le liti tra privati non possono essere addotte come causa di danno grave, nell’accezione offerta dal D.Lgs. n. 251 del 2007. Si tratta, in effetti, di “vicende private”, estranee al sistema della protezione internazionale, non rientrando nè nelle forme dello status di rifugiato, (art. 2, lett. e), nè nei casi di protezione sussidiaria (art. 2, lett. g), atteso che i cd. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave nel caso in cui lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi, ma con riferimento, evidentemente, ad atti persecutori o danno grave non imputabili ai medesimi soggetti non statuali ma da ricondurre pur sempre allo Stato o alle organizzazioni collettive di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5, lett. b), (Cass. n. 9043 del 2019). La stessa nozione di “trattamento inumano o degradante” rimanda, del resto, all’applicazione di metodi o di procedimenti predeterminati (legali, paralegali o etno-culturali): e dunque ad un fattore efficiente di regola incompatibile con l’azione personale di singoli, mossi da motivazioni estranee a qualsivoglia dimensione superindividuale e privi della forza oppressiva propria delle aggregazioni di soggetti.

In definitiva, per poter integrare i presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), pur non essendo necessario che lo straniero fornisca la prova di essere esposto ad una persecuzione diretta, grave e personale, poichè tale requisito è richiesto solo ai fini del conseguimento dello status di rifugiato politico, è comunque necessario (e sufficiente) che risulti provato, con un certo grado di individualizzazione, che il richiedente, ove la tutela gli fosse negata, rimarrebbe esposto a rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti (Cass. n. 16275 del 2018) ad opera, però, non di un gruppo familiare e, tanto meno, di un singolo, come denunciato dal richiedente, ma dello Stato o di un’organizzazione collettiva che ne surroghi il potere.

3.4. Il riconoscimento della protezione internazionale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), dal suo canto, presuppone una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, la quale dev’essere accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C285/12), secondo cui il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria: il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306 del 2019).

La sussistenza di tale presupposto, peraltro, dev’essere accertata dal giudice di merito tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione (cfr. Cass. 9230 del 2020), indicando la fonte a tal fine utilizzata nonchè il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente (Cass. n. 13449 del 2019, Cass. n. 13450 del 2019, Cass. n. 13451 del 2019, Cass. n. 13452 del 2019).

3.5. La decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti. Nel caso in esame, infatti, la corte d’appello, con apprezzamento in fatto che (corretto o meno che sia) non è stato specificamente impugnato per omesso esame di fatti decisivi a suo tempo dedotti nel giudizio di merito, ha ritenuto che, nei territori dell’Edo State, i conflitti ivi riscontrati non avessero generato una situazione di violenza tale che la sola presenza di civili nell’area in questione costituisse per gli stessi un pericolo per la vita o la loro incolumità, facendo, a tal fine, riferimento alle informazioni raccolte da fonti, come il rapporto EASO 2017.

3.6. Il ricorrente, d’altra parte, non ha adempiuto all’onere di indicare in modo specifico gli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, con il preciso richiamo, anche testuale, alle fonti di prova proposte, alternative o successive rispetto a quelle utilizzate dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 26728 del 2019), e tali da far ritenere che, nella zona di provenienza del richiedente, per un conflitto armato interno tra le forze governative e uno o più gruppi armati ovvero tra due o più gruppi armati, sussista un grado di violenza indiscriminata di livello talmente elevato che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, il rischio effettivo di subirne la conseguente minaccia.

4.1. Il secondo motivo è parimenti infondato.

4.2. La protezione umanitaria, in effetti, è una misura atipica e residuale nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. 5358 del 2019; Cass. n. 23604 del 2017).

I seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, subordina il riconoscimento allo straniero del diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pur non essendo definiti dal legislatore, prima dell’intervento attuato con il D.L. 113 del 2018, erano accomunati dal fine di tutelare situazioni di vulnerabilità personale dello straniero derivanti dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (Cass. n. 4455 del 2018).

4.3. Nel caso di specie, la corte d’appello ha rigettato la domanda di protezione umanitaria proposta dal ricorrente rilevando, in sostanza, l’insussistenza di una situazione di personale vulnerabilità del richiedente (p. 8).

Si tratta di un apprezzamento in fatto che può essere denunciato, in sede di legittimità, solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè per omesso esame di una o più di circostanze decisive a suo tempo dedotte innanzi al giudice di merito: che, però, il ricorrente, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, non ha specificamente indicato.

4.4. D’altra parte, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (applicabile ratione temporis: cfr. Cass. SU n. 29459 del 2019), al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su un’effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018).

Tale comparazione presuppone, pertanto, un livello d’integrazione sociale nel Paese di accoglienza che, però, la corte d’appello, con apprezzamento in fatto rimasto incensurato, ha, in sostanza, escluso, non potendo derivare dal mero svolgimento di un’attività lavorativa, in difetto di qualsiasi altro elemento di valutazione, che il ricorrente non dimostra di aver dedotto nel giudizio di merito (Cass. n. 8367 del 2020).

5. I motivi articolati in ricorso si rivelano, quindi, del tutto infondati. Peraltro, poichè il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

6. Nulla per le spese di lite, in difetto di controricorso del ministero.

7. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA