Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27002 del 23/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/10/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 23/10/2019), n.27002

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21671-2018 proposto da:

E. D.C. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO DEI COLLI ALBANI 14, presso

lo studio dell’avvocato NATALE PERRI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ANTONIO PRINCIPATO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 567/22/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 23/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 29/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

FRANCESCO ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 23 gennaio 2018 la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dalla Soc. E. D.C. s.r.l. avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di (OMISSIS) che aveva respinto il ricorso proposto dalla società contribuente contro l’avviso di accertamento con il quale veniva rideterminato il reddito della società ai fini IRPEG, IRAP ed IVA in relazione all’anno 2011. Osservava la CTR che l’avviso di accertamento era motivato per relationem con riferimento al processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, allegato all’atto impugnato, relativo ad una più ampia attività di indagine che aveva coinvolto altra società ( T. s.r.l.), nella parte in cui era fatto riferimento anche alla contribuente. Nel merito rilevava che l’attività di indagine svolta nei confronti della società T. aveva consentito di accertare che vi era una sistematica differenza tra gli ordini di acquisto e le fatture che indicavano un minor numero di articoli (cucine componibili) ed importi inferiori, il che dimostrava che la cedente non fatturava tutta la merce, ma solo una parte, mentre l’altra parte era venduta in nero in evasione d’imposta. Ciò trovava riscontro nelle dichiarazioni rese da un dipendente della società T. e, soprattutto, nel “report analitico fatturato Agente per codice cliente”, che costituiva contabilità parallela dalla quale emergevano gli importi fatturati e quelli reali delle operazioni commerciali, dove erano riportate anche le cessioni effettuate in favore della società contribuente.

Avverso la suddetta sentenza, con atto del 20 luglio 2018, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, deducendo la nullità dell’avviso di accertamento per mancata allegazione del processo verbale di constatazione. La censura è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, non avendo il ricorrente riprodotto in ricorso o allegato allo stesso l’avviso di accertamento con i relativi allegati, precludendo in tal modo alla Corte di verificare la fondatezza della doglianza.

Ed invero, posto che nella sentenza impugnata è detto e ribadito che il PVC della Guardia di Finanza è allegato all’atto impugnato e sostenendo il ricorrente che a detto atto è stato invece allegato altro verbale, concernente “segnalazione d’iniziativa” della Guardia di Finanza, l’omessa riproduzione o allegazione dell’avviso di accertamento non consente a questa Corte di verificare se l’atto allegato all’avviso di accertamento impugnato soddisfi l’obbligo motivazionale richiesto dalla legge, in relazione alla posizione della società contribuente.

Con il secondo motivo si deduce la “infondatezza delle contestazioni sollevate dall’agenzia delle entrate nonchè del recupero a tassazione di somme da parte della stessa”. Sostiene la ricorrente che nel verbale della Guardia di Finanza allegato all’atto impugnato manca la prova della sussistenza degli elementi (specificati in ricorso) rilevanti ai fini della fondatezza dell’accertamento.

Il motivo è inammissibile.

La ricorrente, senza peraltro indicare a quale delle ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., si riferisca la doglianza, prospetta una diversa valutazione delle risultanze fattuali, il cui apprezzamento è tuttavia riservato al giudice di merito. Ed invero, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (tra le tante, Cass. n. 9097 del 2017).

Nella specie la CTR, con apprezzamento in fatto insindacabile in sede di legittimità, ha accertato la fondatezza della pretesa tributaria sulla base delle risultante processuali – sopra richiamate – specificamente indicate in motivazione.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2019

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