Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 27001 del 15/12/2011

Cassazione civile sez. III, 15/12/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 15/12/2011), n.27001

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24434-2009 proposto da:

M.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEL BABUINO 51, presso lo studio dell’avvocato BIOLATO

GIUSEPPE VITTORIO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato MASSARI HILDEGARD giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato

ANTONINI MARIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

VISENTIN ANTONIO giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2456/2008 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 16/09/2008; R.G.N. 4814/2005.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/11/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI CARLEO;

udito l’Avvocato HILDEGARD MASSARI;

udito l’Avvocato MARIO ANTONINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 15 marzo 2004 D.R. conveniva in giudizio M.F. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a cagione delle reiterate offese alla sua reputazione contenute in una relazione ed in una memoria peritali, redatte nell’ambito di un procedimento giudiziario in cui il D. aveva espletato l’incarico di CTU ed il M. quello di ct di parte.

In esito al giudizio in cui si costituiva il M. sostenendo che il suo operato era giustificato dal diritto di critica il Tribunale di Milano condannava il convenuto al risarcimento dei danni.

Avverso tale decisione proponeva appello il M. ed in esito al giudizio, la Corte di Appello di Milano con sentenza depositata in data 16 settembre 2008 rigettava l’impugnazione.

Avverso la detta sentenza il M. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi, illustrato da memoria. Resiste con controricorso il D., il quale ha depositato a sua volta memoria difensiva a norma dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima doglianza, deducendo il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 89 c.p.c. e art. 598 c.p. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per non aver la Corte di Appello applicato la causa di giustificazione/scriminante prevista dalle predette norme al consulente di parte motivandone la ragione sulla base del rilievo che tale figura professionale non sarebbe espressamente contemplata da tali norme e che queste ultime non sarebbero estensibili oltre i casi espressamente previsti. In tal modo, i giudici di seconde cure – così conclude il ricorrente – avrebbero trascurato che la stessa Corte Costituzionale ha sistematicamente equiparato l’opera del consulente di parte a quella del difensore.

La censura è infondata. A riguardo, vale la pena di premettere che sia la norma di cui all’art. 89 c.p.c., norma che comunque non individua alcuna causa di non punibilità essendo finalizzata esclusivamente a regolare la correttezza formale del contraddittorio contemperando le esigenze di difesa con il necessario rispetto verso tutti i protagonisti del processo, sia la norma prevista dall’art. 598 cod. pen., che prevede la non punibilità delle offese contenute negli scritti presentati dinanzi all’autorità giudiziaria quando le offese concernono l’oggetto della causa, si riferiscono espressamente ed esclusivamente alle parti ed ai loro difensori/patrocinatori. La premessa torna opportuna sia nella misura in cui evidenzia l’assoluta irrilevanza del richiamo al citato art. 89 c.p.c., che esaurendo la propria efficacia nell’ambito del processo in cui sono state usate le espressioni sconvenienti ed offensive, non svolge alcuna utile funzione nel successivo giudizio risarcitorio promosso dalla parte, che sia stata lesa nel primo giudizio, sia nella misura in cui richiama l’attenzione sulla chiarissima lettera dell’art. 598 c.p., che ne preclude l’applicabilità al consulente tecnico di parte nel giudizio civile, in quanto lo stesso, come ha già avuto modo di precisare questa Corte (così Cass. n. 13791/07) non è equiparabile nè alle parti, nè ai loro patrocinatori, ai quali espressamente ed esclusivamente si riferisce la citata disposizione. (V. Corte cost., 14 novembre 1979 n. 128).

Nè appare plausibile il ricorso ad un’interpretazione estensiva dell’art. 598 c.p., in modo da comprendervi anche i consulenti di parte, così come richiede il ricorrente. Ed invero, deve osservarsi a riguardo che per interpretazione estensiva di una norma si intende l’accoglimento di un significato che si estenda fino ai limiti massimi della portata dell’espressione da interpretare, senza però travalicarne i confini imposti dal dato letterale, in relazione a determinati oggetti ed attività, secondo l’uso linguistico comunemente dato. Ed è appena il caso di sottolineare a riguardo come e quanto siano assolutamente diverse, tra loro, l’attività svolta dal consulente tecnico di parte in un procedimento civile, che si esaurisce nell’ambito di valutazioni meramente tecniche a supporto delle ragioni di una parte, e quella del patrocinatore, la quale mirando ad assicurare una piena esplicazione del diritto di difesa della parte assistita in un procedimento penale, non può essere limitata dal rischio di un’incriminazione per le espressioni, eventualmente offensive di altri soggetti, utilizzate nel contesto difensivo. A tal fine, vale la pena di ribadire che “la Corte Costituzionale ha avuto modo di dichiarare l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 598 c.p., comma 1, nella parte in cui non prevede la non punibilità delle offese contenute negli scritti e nei discorsi dei consulenti tecnici di parte in procedimenti davanti all’autorità giudiziaria, sul presupposto che la garanzia dell’art. 24 Cost., comma 2, non è estensibile al consulente tecnico, il quale non è legittimato all’esercizio del patrocinio e svolge attività di consulenza concernente cognizioni tecniche. Dunque, un’attività obiettivamente diversa da quella tecnicogiuridica alla quale sono chiamati i patrocinatori nell’esercizio professionale in favore dei loro assistiti, nella dinamica del procedimento relativo all’oggetto della controversia.” (così Cass. n. 13791/07 in motivazione). Passando all’esame della seconda doglianza, definita eventuale ed aggiuntiva, si deve rilevare che il ricorrente ha censurato l’erronea qualificazione delle note di parte depositate nel procedimento penale (volto ad indagare sul reato di cui all’art. 373 c.p.) quali atti propriamente di un ct di parte. Inoltre – e tale rilievo sostanzia la terza ed ultima doglianza, anch’essa subordinata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la sentenza sarebbe nulla per l’erroneo rigetto dell’istanza di consulenza tecnica d’ufficio avanzata dall’appellante per la valutazione dei fatti attributi all’appellato. Tale prova sarebbe stata rilevante ai fini del giudizio relativo sull’operatività del diritto di legittima critica.

Sia l’una che l’altra censura non possono essere prese in considerazione, sia pure per ragioni diverse. Quanto alla prima, la censura è inammissibile per difetto di “autosufficienza del ricorso”. Ed invero, il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione al contenuto di un atto, non può limitarsi a specificare la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione e soprattutto deve assolvere l’onere di riportare – mediante l’integrale trascrizione – il contenuto dell’atto medesimo – nella specie, le note di parte depositate nel procedimento penale – in quanto il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza impugnata ed a consentire l’apprezzamento da parte del giudice di legittimità della fondatezza di tali ragioni. Il controllo deve essere infatti svolto sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, mediante l’accesso a fonti esterne e l’esame diretto degli atti di causa, che resta precluso alla Corte di cassazione. Ugualmente inammissibile la seconda doglianza in quanto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, spetta al giudice del merito individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, (cfr. Cass. n. 3161/02). Ne deriva che il giudice del merito non è tenuto, anche a fronte di un’esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova consulenza d’ufficio (Cass. 167/02) nè a disporne l’integrazione (Cass. 19199/04). Tanto più che, nella specie, la responsabilità per le espressioni offensive non sarebbe stata elisa dall’ipotetica fondatezza delle critiche mosse dal ctp all’operato del ctu. Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2011

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