Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 270 del 09/01/2020

Cassazione civile sez. I, 09/01/2020, (ud. 30/09/2019, dep. 09/01/2020), n.270

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19849/2017 proposto da:

D.M., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Gianfranco Schirone, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Prefettura della Provincia Bari;

– intimato –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di BARI, depositata il

12/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

30/09/2019 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il provvedimento del Giudice di pace di Bari con cui è stato respinto il ricorso proposto da D.M. avverso il decreto di espulsione pronunciato dal Prefetto della Provincia di Bari il 27 marzo 2017 e notificato in pari data.

2. – Il ricorso per cassazione si compone di cinque motivi ed è illustrato da memoria. L’autorità intimata non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 702 bis, 702 ter e 115 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, comma 6. Assume il ricorrente che quei fatti dedotti con la domanda di annullamento del decreto prefettizio che non erano stati specificamente contestati da parte resistente andavano posti a fondamento della decisione; rileva, inoltre, che il Giudice di pace non avrebbe potuto basare la propria decisione su argomentazioni difensive formulate dopo che la causa era stata trattenuta in decisione e su documenti prodotti successivamente a tale momento.

Il motivo è inammissibile.

Esso denota una assoluta carenza di specificità, avendo l’istante mancato di indicare i fatti, oggetto di allegazione, che avrebbero dovuto essere ritenuti pacifici dal Giudice di pace, nonchè le deduzioni difensive tardivamente dedotte e i documenti la cui produzione sarebbe stata intempestiva. Per un verso, infatti, ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata pacifica tra le parti, si impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata ritenuta pacifica (Cass. 12 ottobre 2017, n. 24062; Cass. 18 luglio 2007, n. 15961); per altro verso, la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181): la denuncia di tali vizi, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude, per vero, che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (così Cass. 13 marzo 2018, n. 6014: cfr. pure: Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 8 giugno 2016, n. 11738; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410).

2. – Col secondo motivo è lamentata la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b). Osserva l’istante che non poteva essere considerato un soggiornante irregolare dal momento che era mancato l’elemento della volontarietà nel trattenersi in Italia: elemento che assumeva rilievo nel quadro della previsione delle norma sopra indicata: infatti egli aveva fatto ingresso in Italia in esecuzione di un mandato di arresto Europeo ed era stato sottoposto a detenzione fino al 27 marzo 2017, allorquando era stata emanato il provvedimento impugnato.

Il motivo appare fondato.

Si legge nell’ordinanza impugnata che il ricorrente ha fatto effettivamente ingresso nel territorio dello Stato italiano in esecuzione di un mandato di arresto Europeo ed è restato detenuto in Italia fino al giorno 27 marzo 2017 (giorno in cui è stato emesso il provvedimento espulsivo).

Come questa Corte ha già avuto modo di osservare, l’ipotesi che legittima l’espulsione dello straniero ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. b), consiste nell’essersi lo stesso trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto: comportamento, questo, che presuppone un atto volontario del soggetto interessato, il quale, pur conscio dei suoi doveri, rimane sul territorio nazionale senza formulare tempestiva richiesta di permesso di soggiorno; l’esistenza di un tale atto volontario di trattenimento in Italia è tuttavia da escludere se lo straniero vi sia forzosamente trattenuto a seguito dei provvedimenti restrittivi emessi nei suoi confronti (così Cass. 1 aprile 2003, n. 4922).

3. – L’accoglimento del secondo motivo importa l’assorbimento del terzo, del quarto e del quinto, che hanno il seguente tenore.

Il terzo mezzo oppone l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonchè la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.. La censura verte su di una duplice circostanza: il ricorrente non era cittadino georgiano e ad esso era stata revocata la cittadinanza russa. Si rileva, in proposito, che lo status di apolide, seppure di fatto, in uno con la mancanza di una valido documento di riconoscimento, rendeva ineseguibile il decreto di espulsione prefettizio.

Col quarto motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 296 del 1998, art. 13, comma 7. L’istante si duole del fatto che il decreto di espulsione sia stato tradotto in lingua georgiana, che egli non sapeva leggere. Osserva che dal verbale di notifica del decreto di espulsione si evinceva che in quel momento non era presente alcun interprete, sicchè non poteva aversi certezza del fatto che esso ricorrente fosse in grado di comprendere il contenuto dell’atto che aveva poi sottoscritto.

Il quinto mezzo lamenta la violazione o falsa applicazione della dir. 2008/115/CE. La doglianza concerne la mancata concessione di un termine per l’allontanamento volontario. Rileva l’istante che, essendo stata disposta l’esecuzione coattiva del provvedimento espulsivo, l’autorità procedente era tenuta a dar conto delle ragioni che giustificavano la decisione assunta. Aggiunge che l’esistenza in concreto del pericolo di fuga doveva essere vagliata dall’autorità giudiziaria, la quale avrebbe dovuto inoltre rilasciare il nulla osta di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 3 e che esso ricorrente era inoltre interessato a un procedimento di estradizione.

4. – L’ordinanza impugnata è dunque cassata in relazione al secondo motivo, mentre il primo è dichiarato inammissibile e i restanti rimangono assorbiti. Decidendosi nel merito, stante l’insussistenza della necessità di ulteriori accertamenti di fatto (art. 384 c.p.c., comma 2), il provvedimento espulsivo è annullato; le spese del giudizio di merito e di quello di legittimità sono poste a carico dell’Amministrazione soccombente.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il secondo motivo, dichiara inammissibile il primo e dichiara assorbiti il terzo, il quarto e il quinto; cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, annulla il decreto di espulsione del Prefetto della Provincia di Bari del 27 marzo 2017, notificato in pari data; condanna l’Amministrazione intimata al pagamento delle spese dell’intero giudizio, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, quanto al giudizio di legittimità, e in Euro 2.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, quanto al giudizio di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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