Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 270 del 05/01/2022

Cassazione civile sez. I, 05/01/2022, (ud. 10/12/2021, dep. 05/01/2022), n.270

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35928/18 proposto da:

S.B., rappresentato e difeso dall’avvocato Nicoletta Masuelli,

in forza di procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Torino, depositato il 23/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/12/2021 da Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Torino, con decreto n. cronol.5359/2018 depositato il 23/10/2018, ha respinto la richiesta di S.B., cittadino del (OMISSIS), di riconoscimento, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria o umanitaria.

In particolare, i giudici di merito hanno sostenuto che la vicenda narrata dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese d’origine per ragioni sanitarie) non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. a) e b), non emergendo significative patologie dalla documentazione medica allegata; neppure ricorrevano le condizioni per l’accoglimento della richiesta di protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c), non essendo il Paese d’origine interessato da una situazione di violenza generalizzata, sulla base delle fonti consultate ((OMISSIS) 2016); non sussistevano i presupposti per la protezione per ragioni umanitarie, in difetto di ragioni di vulnerabilità, soggettive o oggettive, non essendo sufficiente la sola integrazione sociale in Italia, per come documentata.

Avverso la suddetta pronuncia, S.B. propone ricorso per cassazione, notificato il 22/11/2018, affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge difese). Con ordinanza interlocutoria n. 18230/2020, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in relazione alla questione posta nel primo motivo, in attesa della decisione in prossima pubblica udienza di altre cause involgenti analoga doglianza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2006, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11, in relazione alla mancata audizione, malgrado richiesta, a fronte della necessità di chiarire le sofferenze patite a causa dell’infezione alle vie urinarie di cui il medesimo richiedente è affetto ed alla necessità di cure, troppo costose nel Paese d’origine che lo avevano costretto ad indebitarsi; b) con il secondo motivo, sia la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 2, lett. g), art. 3, art. 14, lett. c) sia l’omesso esame di fatto decisivo sulla situazione socio-politica nel Paese d’origine; c) con il terzo motivo, sempre ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, sia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, e D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, sia l’omesso esame di fatto decisivo, in relazione al diniego di protezione umanitaria, malgrado l’integrazione in Italia (documentata dai lavori di pubblica utilità svolti e dalla frequentazione di corsi di apprendimento della lingua italiana).

2. La prima censura, in relazione alla mancata nuova audizione in sede giurisdizionale, è inammissibile.

Al riguardo, questa Corte ha affermato (Cass. 5973/2019) che “nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, ancorché non obbligatoria in base alla normativa vigente “ratione temporis” (anteriore alle modifiche intervenute con il D.L. n. 13 del 2017 conv. con modif. dalla L. n. 46 del 2017), all’obbligo del giudice di fissare l’udienza, non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purché sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale che risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero”. Questa Corte ancora (Cass. 21584/20; conf. 22409/2020) ha chiarito che “nei giudizi in materia di protezione internazionale il giudice, in assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinnanzi alla Commissione territoriale, ha l’obbligo di fissare l’udienza di comparizione, ma non anche quello di disporre l’audizione del richiedente, a meno che: a) nel ricorso vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria l’acquisizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo nel ricorso non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile “.

Si è poi, da ultimo, precisato (Cass. 25312/2020) che il ricorso per cassazione con il quale sia dedotta, in mancanza di videoregistrazione, l’omessa audizione del richiedente che ne abbia fatto espressa istanza, deve contenere l’indicazione puntuale dei fatti che erano stati dedotti avanti al giudice del merito a sostegno di tale richiesta, avendo il ricorrente un preciso onere di specificità della censura (conf. Cass. 25439/2020), successivamente chiarendosi che, pur essendo il giudice tenuto a valutare l’opportunità di dar corso all’audizione, pur in assenza di una iniziativa della parte, il mancato espletamento dell’incombente è suscettibile di essere censurato in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, fermo restando che l’assenza di un’istanza della parte stessa può di per sé giustificare, a seconda dei casi, il mancato espletamento dell’incombente (Cass. 18311/2021).

Nella specie, il Tribunale effettivamente nulla ha rilevato in ordine alla non necessità di nuova audizione ed emerge dal ricorso che il richiedente ne avesse fatto richiesta.

Tuttavia, premesso che la valutazione in ordine alla natura circostanziata o solo generica dell’istanza di audizione del richiedente, eventualmente contenuta nel ricorso, è demandata in via esclusiva al giudice di merito, la cui motivazione deve essere strettamente correlata alla specificità dell’istanza ed è sindacabile in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 10, n. 5 (Cass. SU n. 8053/2014), ove il giudice di merito ometta del tutto di pronunciarsi sull’istanza di audizione formulata dal richiedente, tale omissione è parimenti censurabile sotto il profilo del vizio di motivazione, rilevando, successivamente alla modifica dell’l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel giudizio di cassazione, solo l’omesso esame di un fatto storico decisivo, non di una questione di diritto anche processuale (come l’omessa audizione), ovvero l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. SU nn. 8053 e 8054 del 2014).

Di fronte dunque ad un provvedimento del giudice di merito del tutto carente di motivazione in ordine alle ragioni della mancata audizione, il ricorrente per cassazione deve quindi far valere in sede di legittimità, non un error in iudicando ma, un error in procedendo, in relazione al vizio di motivazione apparente, con riguardo alla carente indicazione delle ragioni per le quali la decisione può essere adottata allo stato degli atti, salva sempre la deduzione del vizio di omesso esame di un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, e la doglianza deve essere comunque “vestita con la precisa rappresentazione, da parte del ricorrente, dei fatti che il giudice avrebbe dovuto prendere in considerazione nel vagliare la richiesta di audizione”, ai fini della specificità ed autosufficienza del motivo (Cass. 18311/2021).

Ora, nella specie, il racconto non è stato ritenuto dal giudice di merito inattendibile, cosicché non vi erano necessità di chiarire incongruenze delle dichiarazioni, e la richiesta di nuova audizione, per quanto esposto nel motivo, era solo rivolta a chiarire meglio “la vicenda personale”. Quanto poi alla documentazione medica, non viene invocato un vizio motivazionale specifico, in relazione al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 o ad error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4. In ogni caso, i documenti sullo stato di salute allegati risultano tutti motivatamente esaminati dal Tribunale.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

In ordine alla violazione del dovere di cooperazione istruttoria del giudice, in rapporto alla situazione esistente nel Paese d’origine, vero che nella materia in oggetto il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534). Nella specie, tuttavia, a fronte di una motivazione che ha ritenuto di escludere la ricorrenza in (OMISSIS) di una situazione di “violenza generalizzata” sulla base fonti specifiche consultate, il ricorrente si limita a lamentare che non si sia tenuto conto della situazione aggiornata del Paese né di fonti attendibili, affermando che nel (OMISSIS) perdurano gravi violazioni dei diritti umani, malgrado l’insediamento del nuovo Presidente.

Il ricorrente manca di indicare quali siano i fatti alternativi desumibili da fonti informative successive (Cass. 30105/2018).

La doglianza è inammissibile anche perché mira a sostituire le proprie valutazioni con quella, svolta, sulla base di informazioni tratte da fonti attuali, insindacabilmente (al di fuori dei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).

4. Il terzo motivo è inammissibile, anche alla luce della recente pronuncia delle Sezioni Unite n. 24413/2021 sulla protezione per ragioni umanitarie, ante Novella 2020, risolvendosi nella richiesta di un nuovo giudizio di fatto in ordine alla ricorrenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

In ricorso, si reitera il mancato rilievo della necessità di godere di cure gratuite per la patologia sofferta (l’asserita infezione), essendo stato costretto il richiedente, in (OMISSIS), ad indebitarsi per sopperire al costo delle cure mediche, e si indica, come elementi allegati di integrazione sociale in Italia (ove egli è giunto tra il 2016, epoca in cui ha lasciato il (OMISSIS), ed il 2017), di avere frequentato corsi di lingua italiana, di avere svolto lavori di pubblica utilità, di avere trovato ospitalità nei centri di accoglienza e di continuare ad adoperarsi “attivamente per la ricerca di un lavoro”.

Ora, va rilevato che il Tribunale ha effettuato il giudizio di comparazione tra situazione soggettiva e oggettiva del ricorrente con riferimento al Paese di origine, ritenendo, in particolare, non sussistente una vulnerabilità per patologie necessitanti di cure adeguate (risultando il richiedente affetto da mera infezione alle vie urinarie trattabile con blando antibiotico per via orale), e la condizione da lui raggiunta in Italia, ritenendo quest’ultima, per come documentata, inidonea a provare la sua integrazione, e il motivo non chiarisce quali siano le diverse circostanze decisive, allegate in ordine all’uno o all’altro profilo, di cui il giudice avrebbe omesso l’esame e che, ove considerate, avrebbero condotto all’accoglimento della domanda.

5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2022

 

 

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