Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26998 del 27/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 27/12/2016, (ud. 24/11/2016, dep.27/12/2016),  n. 26998

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16013-2015 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA rappresentato e

difeso dagli avvocati EMANUELA CAPANNOLO, MAURO RICCI CLEMENTINA

PULLI,giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.E., erede di G.A., MINISTERO DELL’ECONOMIA E

DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 834/2014 della CORI E D’APPELLO di MESSINA del

15/05/2015, depositata il 19/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato CAPANNOLO EMANUELA, difensore del ricorrente, la

quale si riporta agli scritti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 19.6.2014, la Corte di appello di Messina, all’esito di nuova CTU medico legale, in parziale riforma della decisione di primo grado, pur confermando il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento a far data dal mese di aprile 2006, con condanna dell’INPS al pagamento dei relativi ratei sino al decesso dell’assistita (4.10.2006) oltre accessori di legge, condannava l’INPS al pagamento delle spese di lite del primo grado (spese per le quali era stato dichiarato dal Tribunale l’esonero dal relativo pagamento da parte della ricorrente). Il giudice del gravame disponeva la condanna dell’istituto al pagamento anche delle spese del secondo grado di giudizio.

Per la cassazione della detta decisione ricorre l’INPS, affidando l’impugnazione a due motivi. La G. ed il MEF sono rimasti intimati.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

Con il primo motivo, si censura la sentenza della Corte di Messina per violazione dell’art. 112 c.p.c, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, sulla base del rilievo che, non avendo l’appellante impugnato il capo della sentenza di primo grado relativo alle spese ed avendo la sentenza di appello confermato nel merito quella del Tribunale, intervenendo sul capo relativo alle spese, la Corte era incorsa in ultrapetizione.

Con il secondo motivo, si denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 336, 342, 346 e 91 c.p.c., tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, sostenendosi che non poteva essere riformato d’ufficio il capo sulle spese di primo grado, in presenza di una conferma nel merito della decisione di primo grado ed osservandosi, quale ulteriore profilo di erroneità, che, essendo stato l’appello dell’assistita rigettato, la Corte non avrebbe potuto condannare l’appellato al pagamento delle spese di lite.

Le censure, da trattarsi congiuntamente per l’evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto, sono manifestamente fondate.

Va premesso che il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, sicchè viola il principio di cui all’art. 91 c.p.c., il giudice di merito che ritenga la parte soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado (Cass. 6259 del 18/03/2014).

Nella specie il giudice di appello ha, tuttavia, confermato la statuizione relativa al riconoscimento del beneficio assistenziale anche quanto alla decorrenza indicata dal Tribunale, ciò che precludeva, in assenza di uno specifico motivo di impugnazione del capo sulle spese, di procedere a nuova regolamentazione delle stesse, in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Il potere del giudice d’ appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il corrispondente onere deve essere attribuito e ripartito in ragione dell’esito complessivo della lite, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (cfr., da ultimo Cass. 14.102013 n. 23226, e tra le altre, Cass. 3.5.2010 n. 10622, Cass. 19.11.2009 n. 24422, con riferimento alla violazione del giudicato).

E’, poi, evidente l’erroneità della decisione anche con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 91 c.p.c., che, nel collegare l’onere delle spese giudiziali alla soccombenza, vieta che esse possano essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.

Essendo stato, per quanto detto, l’istituto vittorioso in sede di gravame, per essere stato respinto nel merito il gravame della G., la decisione della Corte di appello nella parte in cui ha condannato l’istituto al pagamento delle spese di secondo grado contravviene alla regola suddetta.

Pertanto, si propone l’accoglimento del ricorso, cui consegue la cassazione dell’impugnata sentenza nella parte in cui statuisce sulle spese di primo grado e su quelle di secondo grado. Si ritiene che la causa possa essere decisa nel merito, nel senso della conferma della statuizione del primo giudice sulle spese di primo grado.

Quanto alla statuizione su quelle del gravame, alla stregua del principio della soccombenza, disatteso nella pronuncia impugnata, si provvede, con decisione nel merito, come da dispositivo.

Le spese del presente giudizio di legittimità sono compensate tra le parti, in considerazione del comportamento processuale della G., che non si è costituita per contrastare le ragioni di ricorso dell’INPS. Nulla va statuito nei riguardi del MIT, rimasto intimato.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata con riguardo al capo sulle spese e, decidendo nel merito, conferma la statuizione del primo giudice sulle spese e pone quelle di secondo grado a carico della G. nella stessa misura posta a carico dell’INPS (1750,00 Euro).

Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Nulla nei confronti del MEF.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2016

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