Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26996 del 02/12/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 26996 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA
sul ricorso 26416-2012 proposto da:
COSENTINO CALOGERO CSNCGR55S18B419E) elettivamente
L domiciliato in ROMA, presso la CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avv. CANNATA GIORGIO, giusta
procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587) in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

Data pubblicazione: 02/12/2013

- controricorrente avverso il decreto nel procedimento R.G. 460/2011 della CORTE
D’APPELLO di CATANIA del 9.3.2012, depositato il 05/04/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
03/05/2013 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ROSARIA SAN

udito per il ricorrente l’Avvocato Giorgio Cannata che si riporta agli
scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARMELO
SGROI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Catania, con decreto depositato in data 5 aprile
2012, ha rigettato il ricorso per equa riparazione, depositato il 5
ottobre 2011, proposto, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, da
Cosentino Calogero per l’eccessiva durata di una procedura
fallimentare, ancora pendente dinanzi al Tribunale di Caltanissetta, nel
corso della quale il ricorrente aveva presentato, in data 7 novembre
2000, domanda di ammissione allo stato passivo per un credito da
lavoro dipendente, accolta all’udienza tenutasi il 28 novembre 2001.
La Corte territoriale ha premesso, in linea di principio, che la durata del
processo fallimentare non può ragionevolmente superare i cinque anni
e che un ritardo di oltre dieci anni nella relativa definizione è
indennizzabile.

Tuttavia, essa ha rilevato che, nel chiedere il

risarcimento del danno non patrimoniale, l’istante si era limitato a
dedurre l’incomprensibilità della lungaggine giudiziaria, venendo meno
all’onere di allegazione, non essendo stato neppure in grado di
enucleare stasi della procedura da attribuire a inerzia degli organi

Ric. 2012 n. 26416 sez. M2 – ud. 03-05-2013
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GIORGIO;

concorsuali, né di dedurre in quali segmenti temporali non sarebbe
stata effettuata alcuna attività da parte dei predetti organi. Inoltre,
l’istante, nell’assumere che il protrarsi della procedura fosse dipeso
dalla condotta dei suoi organi, era venuto meno anche all’onere di
provarne la inerzia ingiustificata nello svolgimento delle varie attività di

di assumere informazioni d’ufficio ex art. 738 cod.proc.civ., non
avendo il ricorrente ottemperato al fondamentale e preliminare onere
di allegazione.
Per la cassazione del decreto della Corte d’appello ha proposto ricorso,
sulla base di due motivi illustrati anche da successiva memoria, il
Calogero. Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il Collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella
redazione della sentenza.
Con il primo motivo (violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, commi
2 e 3, e dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali) ci si duole che la Corte
d’appello – addossando alla parte istante l’onere di allegazione sulle
cause specifiche del ritardo – non abbia riconosciuto l’indennizzo a
titolo di danno non patrimoniale, pur essendosi la procedura
concorsuale protratta per circa dieci anni.
Il secondo mezzo lamenta che il decreto impugnato, nel presupporre
che il ricorrente non abbia assolto al proprio onere di allegazione,
abbia omesso di valutare positivamente la richiesta, dallo stesso
formulata in seno al ricorso introduttivo, di acquisizione di tutti gli atti
del procedimento fallimentare.
I due motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere
esaminati congiuntamente – sono fondati.
Ric. 2012 n. 26416 sez. M2 – ud. 03-05-2013
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rispettiva pertinenza. Né valeva il richiamo al potere-dovere del giudice

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La Corte d’appello si è discostata dal principio secondo cui, in tema di
equa riparazione per la violazione del termine ragionevole di durata del
processo, ove la parte si sia avvalsa della facoltà – prevista dalla L. n. 89
del 2001, art. 3, comma 5 – di richiedere alla Corte di appello di
disporre l’acquisizione degli atti del processo presupposto, il giudice

dell’istante, di quegli atti la causa del mancato accertamento della
addotta violazione della ragionevole durata del processo. Infatti, è ben
vero che la parte ha un onere di allegazione e di dimostrazione, che
però riguarda la sua posizione nel processo, la data iniziale di questo e
la data della sua definizione, mentre (in coerenza con il modello
procedimentale, di cui agli artt. 737 e s. cod. proc. civ., prescelto dal
legislatore) spetta al giudice – sulla base dei dati suddetti, di quelli
eventualmente addotti dalla parte resistente e di quelli acquisiti dagli
atti del processo presupposto – verificare, in concreto e con riguardo
alla singola fattispecie, se vi sia stata violazione del termine ragionevole
di durata, tenuto anche conto che nel modello processuale della L. n.
89 del 2001 sussiste un potere d’iniziativa del giudice, che gli impedisce
di rigettare la domanda per eventuali carenze probatorie superabili con
l’esercizio di tale potere (Cass., sentt. n. 19164 del 2012; n. 16367 del
2011).
Inoltre, il decreto impugnato non ha considerato che il danno non
patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e
necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del
processo, di cui all’art. 6 della Convenzione Europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sicché,
pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale
in re ipsa – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito
nell’accertamento della violazione -, il giudice, una volta accertata e
Ric. 2012 n. 26416 sez. M2 – ud. 03-05-2013
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non può addebitare alla mancata produzione documentale, da parte

determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del
processo secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere
sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel
caso concreto, circostanze particolari le quali facciano positivamente
escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente.

deve essere cassato, e la causa va rinviata ad altro giudice — che viene
individuato nella Corte d’appello di Catania in diversa composizione,
cui è demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio
— che la riesaminerà alla luce dei principi di diritto dianzi enunciati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la
causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Catania in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta —
Sottosezione Seconda – della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio
2013.

Conclusivamente, il ricorso deve essere accolto, il decreto impugnato

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