Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26993 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. II, 26/11/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 26/11/2020), n.26993

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 11807/2016 R.G. proposto da:

L.A., c.f. (OMISSIS), C.T., c.f. (OMISSIS)

(in proprio e quale erede di U.A.P.), LO.RE.,

c.f. (OMISSIS), rappresentati e difesi disgiuntamente e

congiuntamente in virtù di procura speciale in calce al ricorso

dall’avvocato Antonio Contessa, e dall’avvocato Rolando Salusest, ed

elettivamente domiciliati in Roma, al viale del Vignola, n. 5,

presso lo studio dell’avvocato Livia Ranuzzi;

– ricorrenti –

contro

CURATORE del fallimento della “(OMISSIS)” s.a.s., p.i.v.a. (OMISSIS),

in persona del Dottor T.L., rappresentato e difeso in

virtù di procura speciale a margine del controricorso dall’avvocato

Gianluca Tarquini, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via

Ugo De Carolis, n. 101, presso lo studio dell’avvocato Fulvio

Francucci.

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 616 dei 7.4/6.5.2015 della Corte d’Appello de

L’Aquila;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 9

settembre 2020 dal Consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

Generale Dott. MUCCI Roberto, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’avvocato Antonio Contessa per i ricorrenti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con distinti ricorsi al Tribunale di Avezzano il curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.a.s. – dichiarato dal Tribunale di Avezzano con sentenza del 15.9.1992 – chiedeva ingiungersi ad L.A. il pagamento della somma di Euro 15.943,71, oltre interessi legali dal 29.7.1986 al soddisfo e spese, ad U.A.P. il pagamento della somma di Euro 12.911,42, oltre interessi legali dal 29.8.1986 al soddisfo e spese, a C.T. il pagamento della somma di Euro 15.943,71, oltre interessi legali dal 28.8.1986 al soddisfo e spese, a Lo.Re. il pagamento della somma di Euro 12.911,42, oltre interessi legali dal 2.9.1986 al soddisfo e spese.

Esponeva che gli importi erano dovuti a titolo di saldo del prezzo, in virtù dei preliminari di compravendita stipulati dalle controparti con la “(OMISSIS)” in bonis nel corso dell’anno 1984 ed aventi ad oggetto appartamenti – nel cui possesso i promissari acquirenti erano stati immessi con atti di consegna del 1986 – in località (OMISSIS).

Esponeva altresì che il Tribunale di Avezzano, con sentenza n. 441 dei 27.6/10.10.1990 – confermata dalla Corte d’Appello de L’Aquila con sentenza del 14.5.1996 e passata in giudicato – aveva qualificato i verbali di immissione in possesso di ciascun promissario acquirente in guisa di atti definitivi di vendita e aveva dichiarato i promissari acquirenti proprietari degli immobili compromessi.

2. Il Tribunale di Avezzano con decreti n. 679/2006, n. 684/2006, n. 677/2006 e n. 240/2007 pronunciava le ingiunzioni così come richieste.

3. Con separate citazioni, notificate il 2.2.2007 ed il 23.5.2007, L.A., U.A.P., C.T. e Lo.Re. proponevano opposizione.

Deducevano che il Tribunale di Avezzano, con la sentenza n. 441/1990, aveva dichiarato che i gravi inadempimenti ascrivibili alla società venditrice – tra cui l’omesso frazionamento del mutuo e l’assenza dei certificati di abitabilità relativi agli appartamenti promessi in vendita – erano valsi a giustificare la mancata corresponsione delle residue somme.

Deducevano inoltre che il curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.a.s. non aveva provveduto a rimuovere le inadempienze ascrivibili alla società in bonis, sicchè, anche ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1460 c.c., il curatore non aveva titolo per pretendere gli importi ingiunti, viepiù che il Tribunale di Avezzano aveva autorizzato gli acquirenti al versamento del residuo prezzo direttamente alla Sezione del Credito Fondiario della “B.N.L.”, erogatrice del mutuo.

Chiedevano, tra l’altro, revocarsi le opposte ingiunzioni ed, in via riconvenzionale, condannarsi il curatore opposto al risarcimento dei danni tutti, anche morali, sofferti, da compensarsi con quanto preteso ex adverso.

4. Si costituiva, in ciascun giudizio di opposizione, il curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.a.s..

Instava per il rigetto delle avverse opposizioni.

Chiedeva altresì che gli interessi sugli importi ingiunti fossero corrisposti al tasso convenzionale annuo dell’11,75%.

5. Riuniti i giudizi di opposizione, con sentenza n. 983/2009 il Tribunale di Avezzano revocava le opposte ingiunzioni e condannava ciascun opponente al pagamento del residuo prezzo nella misura indicata in dispositivo, con gli interessi al tasso convenzionale annuo dell’11,75%; condannava gli opponenti alle spese di lite.

6. Proponevano appello L.A., U.A.P., C.T. e Lo.Re..

Resisteva il curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.a.s..

7. Con sentenza n. 616 dei 7.4/6.5.2016 la Corte d’Appello de L’Aquila riformava la gravata statuizione solo e limitatamente alla liquidazione delle spese di prime cure e la confermava in ogni altra sua parte; condannava in solido gli appellanti alle spese del grado.

Evidenziava la corte – in ordine al primo ed al secondo motivo d’appello – che con la sentenza del Tribunale di Avezzano n. 441/1990 gli appellanti avevano conseguito la declaratoria di proprietà degli immobili compromessi, sicchè non avevano più ragione per sottrarsi, mercè l’eccezione ex art. 1460 c.c., all’integrale adempimento della propria obbligazione.

Evidenziava la corte – ulteriormente in ordine al secondo motivo d’appello – che gli appellanti, onde estinguere l’ipoteca, avevano dato corso a lunghe trattative con il Credito Fondiario della “B.N.L.” e non erano addivenuti alla definizione del contenzioso per ragioni di certo non ascrivibili alla società venditrice ed al curatore fallimentare; che al contempo la “B.N.L.”, Sezione del Credito Fondiario, si era per il proprio credito insinuata al passivo fallimentare, il che del pari induceva ad escludere comportamenti inadempienti del curatore.

Evidenziava la corte – in ordine al terzo motivo d’appello, con cui era stato censurato il primo dictum nella parte in cui il tribunale aveva riconosciuto gli interessi al tasso convenzionale annuo dell’11,75%, benchè il tasso convenzionale fosse stato invocato con la comparsa di costituzione e risposta a modifica, integrante domanda nuova, del tasso legale invocato con gli iniziali ricorsi per ingiunzione – che la richiesta degli interessi al tasso convenzionale costituiva mera emendatio libelli, sicuramente consentita alla stregua della disciplina ex art. 183 c.p.c., applicabile ratione temporis.

Evidenziava la corte – in ordine al quarto motivo d’appello, con cui era stato censurato il primo dictum siccome il tribunale aveva omesso qualsivoglia pronuncia in ordine alla domanda di risarcimento dei danni subiti dagli appellanti – che le conseguenze pregiudizievoli di natura patrimoniale asseritamente sofferte erano da ricondurre eziologicamente alla condotta degli stessi appellanti, giacchè costoro, conseguita la declaratoria di proprietà degli immobili, erano appieno legittimati a richiedere in proprio il certificato di abitabilità e l’estinzione dell’ipoteca, viepiù che i presunti danni patrimoniali non erano stati per nulla dimostrati; che in pari tempo gli appellanti neppure avevano allegato in cosa fossero consistite le conseguenze pregiudizievoli di natura non patrimoniale asseritamente sofferte, sicchè la domanda in parte qua era del tutto generica.

8. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso L.A., C.T., in proprio e quale erede di U.A.P. e Lo.Re.; ne hanno chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni susseguente pronuncia anche in ordine alle spese.

Il curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.a.s. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

9. I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

10. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.,relativamente al giudicato costituito dalla sentenza n. 441 dei 27.6/10.10.1990 del Tribunale di Avezzano.

Deducono che la corte di merito ha erroneamente interpretato il giudicato di cui alla sentenza n. 441/1990 del Tribunale di Avezzano.

Deducono che con la sentenza n. 441/1990 il Tribunale di Avezzano aveva qualificato il rapporto tra essi ricorrenti e la “(OMISSIS)” s.a.s. in guisa di rapporto definitivo di compravendita alla stregua della valenza attribuita ai verbali di immissione in possesso; aveva accertato che la “(OMISSIS)” era incorsa negli inadempimenti da essi ricorrenti eccepiti ai sensi dell’art. 1460 c.c., ed aveva respinto la domanda dell’accomandita alienante di risoluzione dei contratti per inadempimento degli acquirenti; aveva autorizzato essi ricorrenti, a fronte della loro domanda, a versare il residuo prezzo direttamente alla Sezione del Credito Fondiario della “B.N.L.”, modificando in tal modo il soggetto attivo dell’obbligazione; aveva dichiarato la “(OMISSIS)” obbligata a dotare gli immobili del certificato di abitabilità.

Deducono quindi che, a fronte della persistenza degli inadempimenti acclarati con la sentenza – passata in giudicato – n. 441/1990 del Tribunale di Avezzano, il curatore del fallimento non ha diritto ai saldi dei prezzi, viepiù giacchè privo della legittimazione a pretendere alcunchè in dipendenza dell’autorizzazione al pagamento liberatorio direttamente in favore della Sezione del Credito Fondiario della “B.N.L.”.

11. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1460,1482 e 2909 c.c..

Deducono che la corte distrettuale, allorchè ha ritenuto che gli inadempimenti ascrivibili alla società venditrice non valevano ad escludere l’obbligo degli acquirenti di far luogo al versamento del saldo dei prezzi, è incorsa in numerosi errori.

Deducono che la corte distrettuale non si è avveduta che l’omesso versamento del saldo dei prezzi era giustificato dall’aver, la venditrice, “abbandonato a se stessi gli acquirenti senza provvedere a quanto necessario al fine di frazionare i mutui, (…) (al) versamento all’ente erogatore degli importi (…) versati dagli acquirenti, (…) (alla) dotazione degli appartamenti venduti (…) dei certificati di abitabilità”; che la corte distrettuale non si è avveduta che il curatore è subentrato negli obblighi facenti capo alla società fallita.

Deducono quindi che la corte distrettuale non ha correttamente applicato il giudicato di cui alla sentenza n. 441/1990 del Tribunale di Avezzano.

12. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deducono che la corte territoriale non ha tenuto conto che il Tribunale di Avezzano con la sentenza n. 441/1990 aveva dichiarato che la “(OMISSIS)” s.a.s., benchè non più proprietaria degli immobili, era obbligata a dotarli del certificato di abitabilità, obbligazione al cui adempimento la società venditrice, dapprima, ed il curatore fallimentare, poi, non hanno atteso, sicchè legittimo è il loro rifiuto di corrispondere il saldo dei prezzi.

Deducono che la corte territoriale non ha tenuto conto che, così come comprovato dalla corrispondenza all’uopo prodotta, essi ricorrenti si sono adoperati onde pervenire con la Sezione del Credito Fondiario della “B.N.L.” al frazionamento del mutuo e dell’ipoteca e procedere conseguentemente al versamento dei residui prezzi direttamente alla banca erogatrice del mutuo.

Deducono che la corte territoriale non ha tenuto conto che, così come comprovato dalla documentazione all’uopo prodotta, la “B.N.L.”, erogatrice del mutuo, ha provveduto il 7.11.2005 alla rinnovazione dell’ipoteca iscritta il 18.11.1985 nei confronti dell’accomandita poi fallita, sicchè il gravame ipotecario tuttora persiste e tuttora perdura il rischio di sottoposizione degli immobili all’azione esecutiva della “B.N.L.” pur in ipotesi di corresponsione dei residui del prezzo al curatore fallimentare.

13. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 183 c.p.c., comma 5.

Deducono che la Corte de L’Aquila ha confermato il primo dictum pur nella parte in cui sono stati accordati al curatore gli interessi al tasso annuo del 11,75%.

Deducono che tuttavia, in tal guisa, la Corte de L’Aquila ha pronunciato su domanda nuova, siccome con gli iniziali ricorsi monitori il curatore aveva chiesto gli interessi al tasso legale ed unicamente con la comparsa di costituzione nei giudizi di opposizione aveva formulato richiesta degli interessi al maggior tasso convenzionale.

14. Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deducono che la corte aquilana, allorchè ha reputato infondata l’esperita domanda risarcitoria, non ha tenuto conto, alla luce della documentazione prodotta, che, ai fini della liberazione degli immobili dal persistente vincolo ipotecario, essi ricorrenti sono esposti ad oneri, per interessi e spese medio tempore maturati, significativamente maggiori rispetto a quelli prefigurati nei preliminari di compravendita.

15. Il primo motivo, il secondo motivo ed il terzo motivo di ricorso sono strettamente connessi.

Invero i pretesi errori che il secondo motivo veicola, sono prospettati sulla scorta della supposta erronea interpretazione del giudicato (cfr. ricorso, pag. 20) denunciata con il primo motivo. In pari tempo (ed al di là delle affermazioni di principio: la corte distrettuale non ha tenuto conto che la parte evocata in giudizio con l’azione di adempimento del contratto, a fronte dei persistenti inadempimenti di controparte, può sempre eccepire l’inadempimento ovvero il non perfetto adempimento (cfr. ricorso, pag. 21)) i presunti errori prefigurati con il secondo mezzo si sostanziano nell’asserito “omesso esame” di talune circostanze, indici sintomatici – si assume – del dedotto persistente inadempimento di parte venditrice, sicchè il secondo mezzo, così come gli stessi ricorrenti danno atto (“la cui mancata considerazione si andrà altresì a denunciare con il motivo che segue”: così ricorso, pag. 21), si risolve nel terzo.

Il primo, il secondo ed il terzo motivo comunque sono destituiti di fondamento e vanno respinti.

16. Non può non rimarcarsi, in premessa, che i ricorrenti non hanno prestato rituale ossequio al canore dell'”autosufficienza” positivamente sancito all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Innegabilmente, nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato “esterno” deve essere coordinato con l’onere di “autosufficienza” del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve, a pena d’inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa (cfr. Cass., 11.2.2015, n. 2617; Cass. sez. lav. 8.3.2018, n. 5508).

E tuttavia non può non darsi atto che i ricorrenti si sono, al più, limitati, nel corpo del ricorso (cfr. pagg. 15 – 18), a riprodurre singoli stralci della sentenza n. 441 del 27.6/10.10.1990 del Tribunale di Avezzano.

17. In ogni caso questa Corte non può che ribadire il proprio insegnamento.

Ovvero, da un lato, che il giudicato “esterno” è assimilabile agli “elementi normativi”, sicchè la sua interpretazione deve effettuarsi alla stregua dell’esegesi delle norme, non già degli atti e dei negozi giuridici, e la sua portata va definita dal giudice sulla base di quanto stabilito nel dispositivo della sentenza e nella motivazione che la sorregge (cfr. Cass. 13.10.2017, n. 24162, e Cass. 10.12.2015, n. 24952, ove – in ambedue – si soggiunge che si può far riferimento, in funzione interpretativa, alla domanda della parte solo in via residuale qualora, all’esito dell’esame degli elementi dispositivi ed argomentativi di diretta emanazione giudiziale, persista un’obiettiva incertezza sul contenuto della statuizione).

Ovvero, dall’altro, che l’interpretazione del giudicato “esterno” può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena (cfr. Cass. sez. lav. 8.3.2018, n. 5508) o, più semplicemente, che all’opera di esegesi del giudicato “esterno” questo Giudice del diritto può attendere dando riscontro, se del caso, dell’ineccepibilità dell’interpretazione cui il giudice del merito ha fatto luogo, in tal guisa avallandola e recependola.

18. Si è anticipato che, in ordine al primo motivo d’appello – con cui era stato censurato il primo dictum, nella parte in cui il tribunale aveva respinto l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., in relazione alla mancanza, da ascrivere alla società in bonis e poi al curatore fallimentare, dei certificati di abitabilità a dotazione degli immobili compromessi – ed in ordine al secondo motivo d’appello – con cui era stato censurato il primo dictum, nella parte in cui il tribunale aveva respinto l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., in relazione all’omesso frazionamento, da ascrivere alla società in bonis e poi al curatore fallimentare, del mutuo e dell’ipoteca – la corte aquilana ha puntualizzato che il Tribunale di Avezzano con la statuizione n. 441/1990 aveva, sì, reputato, a fronte degli inadempimenti ascrivibili all’accomandita venditrice, legittima ex art. 1460 c.c., la mancata corresponsione, da parte dei promissari acquirenti, delle frazioni residue del prezzo d’acquisto degli immobili compromessi. Tant’è che il Tribunale di Avezzano aveva rigettato la domanda di risoluzione dei preliminari esperita, allora, in via riconvenzionale, dalla “(OMISSIS)”.

E nondimeno la corte abruzzese ha aggiunto che non vi era più ragione chè il principio inadimplenti non est adimplendum, espresso dalla prefigurazione di cui all’art. 1460 c.c., operasse nella fattispecie, siccome il medesimo dictum avezzanese, in accoglimento della domanda di adempimento contrattuale esperita dagli attuali ricorrenti, aveva affermato che le scritture private di immissione dei promissari acquirenti nel possesso degli immobili compromessi avevano valenza di veri e propri contratti definitivi di compravendita. Tant’è che il Tribunale di Avezzano aveva dichiarato che, in forza dei medesimi verbali, i promissari erano divenuti proprietari degli immobili.

19. Or dunque e l’interpretazione e il riscontro della proiezione dispositiva, nei termini tutti testè enunciati e quali operati dalla corte abruzzese con la statuizione in questa sede impugnata, della regula iuris del caso di specie, correlata al giudicato “esterno” di cui alla sentenza n. 441/1990 del Tribunale di Avezzano, sono a pieno titolo ineccepibili e congrui (cfr. Cass. sez. un. 14.6.1995, n. 6689, secondo cui il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.) si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto, i quali rappresentano le premesse necessarie e il fondamento logico giuridico della pronuncia).

20. Si badi che l’interpretazione ed il riscontro della proiezione del giudicato “esterno” sono viepiù ineccepibili e congrui, se si tiene conto che la Corte d’Appello de L’Aquila ha posto in risalto che gli acquirenti per nulla avevano domandato la riduzione del prezzo di acquisto (cfr. sentenza d’appello, pag. 3).

Cosicchè nessun ostacolo – tanto più alla luce delle puntualizzazioni che seguono – ha ragione di frapporsi all’integrale, compiuta attuazione del sinallagma funzionale postulato da ciascun rapporto di compravendita intercorso tra l’accomandita semplice in bonis e gli iniziali opponenti.

21. Si badi, ancora, che i termini in cui la Corte d’Appello de L’Aquila ha interpretato e riscontrato la proiezione dispositiva del giudicato “esterno” di cui alla sentenza n. 441/1990 del Tribunale di Avezzano sono solo parzialmente riflessi nel quesito suggestivamente formulato in memoria dai ricorrenti, ove, viceversa, si oblia la circostanza per cui la sentenza n. 441/1990 aveva dichiarato altresì che, in forza dei verbali di immissione in possesso, i promissari erano divenuti proprietari degli immobili compromessi.

22. Non sfugge, certo, che questa Corte spiega, in tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare, che la mancata consegna o il mancato rilascio del certificato di abitabilità (o agibilità) ovvero l’insussistenza delle condizioni perchè tale certificato venga rilasciato, non incidono sul piano della validità del contratto, ma integrano se del caso un inadempimento del venditore (cfr. Cass. 13.8.2020, n. 17123; Cass. (ord.) 5.6.2020, n. 10665; Cass. (ord.) 18.9.2019, n. 23265).

E però questa Corte non solo specifica che un siffatto eventuale inadempimento è adducibile da parte del compratore in via di eccezione, ex art. 1460 c.c., o come fonte di pretesa risarcitoria per la ridotta commerciabilità del bene, ma esplicita altresì che l’exceptio inadimpleti contractus e l’azione risarcitoria neppure possono essere, rispettivamente, sollevata e spiegata, qualora il compratore abbia espressamente rinunciato al requisito dell’abitabilità o comunque esonerato il venditore dall’obbligo di ottenere la relativa licenza (cfr. Cass. (ord.) 5.6.2020, n. 10665; Cass. (ord.,) 18.9.2019, n. 23265).

Evidentemente la circostanza per cui gli attuali ricorrenti ebbero a domandare nel giudizio definito dal Tribunale di Avezzano con la sentenza n. 441/1990 l’adempimento dei preliminari (cfr. al riguardo sentenza d’appello, pag. 3), assumendo che i verbali di immissione in possesso fossero dei veri e propri contratti definitivi di compravendita (cfr. ricorso, pagg. 15 – 16), induce ragionevolmente a supporre – in un contesto, si ribadisce, in cui la riduzione del prezzo non è stata domandata – che i promissari acquirenti avessero sollevato la promittente venditrice dall’obbligo di ottenere le licenze di abitabilità.

23. D’altra parte questa Corte spiega ulteriormente che, nel caso di compravendita di una unità immobiliare per la quale, al momento della conclusione del contratto, non sia stato ancora rilasciato il certificato di abitabilità, il successivo rilascio di tale certificato esclude la possibilità stessa di configurare l’ipotesi di vendita di “aliud pro alio” e di ritenere l’originaria mancanza di per sè sola fonte di danni risarcibili (cfr. Cass. 18.3.2010, n. 6548).

In siffatta prospettiva, id est nella prospettiva del possibile futuro rilascio del certificato di abitabilità, in toto si legittima l’affermazione della corte di merito a tenor della quale gli appellanti, attuali ricorrenti, oramai proprietari degli immobili già compromessi in vendita, hanno, diversamente dal curatore fallimentare, pieno titolo per conseguire il certificato di abitabilità (cfr. sentenza d’appello, pag. 4).

24. Per altro verso non ha precipua valenza, onde disconoscere la legittimazione a pretendere del curatore fallimentare, la circostanza per cui, con la sentenza n. 441/1990, gli appellanti” attuali ricorrenti, fossero stati dal Tribunale di Avezzano autorizzati al pagamento liberatorio in favore della Sezione del Credito Fondiario della “B.N.L.”.

In realtà il terzo acquirente dell’immobile ipotecato è ex lege, ai sensi dell’art. 2858 c.c., comma 1, facultato al pagamento del creditore ipotecario iscritto.

25. Sotto altro profilo si rimarca che sicuramente non si applica ratione temporis alla fattispecie del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 39, comma 6 ter, siccome il mutuo fondiario che la “(OMISSIS)” s.a.s. ebbe contrarre con la Sezione del Credito Fondiario della “B.N.L.” è cronologicamente antecedente all’entrata in vigore del “testo unico delle leggi in materià bancaria e creditizia”.

Ciò nonostante questa Corte spiega che” pur costituendo il frazionamento del mutuo nel vigore della normativa precedente al D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, non già un obbligo, bensì una facoltà unilateralmente esercitabile dalla banca mutuante, integra violazione dei doveri di solidarietà derivanti dal rispetto dei principi di correttezza e buona fede oggettiva, che debbono permeare l’intera esecuzione del contratto, il comportamento della banca che rifiuti ingiustificatamente il frazionamento del mutuo e delle relative ipoteche, richiesto dalla mutuataria a seguito della vendita ai terzi delle unità immobiliari edificate, procrastinando immotivatamente tale rifiuto (cfr. Cass. 14.10.2013, n. 23232).

In questo quadro, in cui risalta la responsabilità dell’istituto di credito mutuante, risulta del tutto generica la prospettazione dei ricorrenti secondo cui l’accomandita venditrice e poi il curatore del relativo fallimento hanno “abbandonato a se stessi gli acquirenti senza provvedere a quanto necessario al fine di frazionare i mutui” (cfr. ricorso, pag. 20).

Tanto, ben vero, a prescindere dal rilievo – “in fatto” – della corte distrettuale secondo cui le trattative tra la Sezione del Credito Fondiario della “B.N.L.” ed i ricorrenti non hanno avuto buon esito in difetto di accordo circa il quantum della somma residua da versare alla banca mutuante (cfr. sentenza d’appello, pag. 5).

26. Ovviamente il credito, venditionis causa, dall’accomandita fallita al pagamento delle residue frazioni del corrispettivo delle compravendite immobiliari è indiscutibilmente ricompreso, L. Fall., ex art. 42, nella massa attiva del fallimento.

Cosicchè il curatore fallimentare è appieno legittimato, pur in via processuale, L. Fall., ex art. 43, a pretenderne il pagamento.

Al contempo perdurano le ragioni di credito della Sezione del Credito Fondiario della “B.N.L.” nei confronti della “(OMISSIS)”, ora fallita.

Cosicchè ineccepibilmente il creditore fondiario si è insinuato al passivo fallimentare.

D’altro canto i ricorrenti hanno acquistato, in epoca antecedente alla declaratoria di fallimento, beni immobili ipotecati per debito contratto dall’alienante.

Cosicchè, per un verso, si ha ragione dell’estraneità dei cespiti compravenduti alla massa attiva fallimentare e della loro sottoposizione all’azione esecutiva – verosimilmente nelle forme degli artt. 602 c.p.c. e segg. – della banca mutuante, creditrice dell’alienante.

Cosicchè, per altro verso, non vi è ragione chè i ricorrenti si dolgano – con il secondo motivo di ricorso (cfr. pag. 22) e con il terzo motivo di ricorso (cfr. pag. 28) – per esser tuttora esposti all’azione esecutiva del creditore fondiario, adducendo che tale circostanza la corte territoriale non ha considerato.

27. Il quarto motivo di ricorso analogamente è destituito di fondamento e va respinto.

28. E’ inevitabile il riferimento all’insegnamento di questa Corte.

Ossia all’insegnamento secondo cui, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la richiesta ulteriore di pagamento degli interessi convenzionali relativi al credito dedotto in sede monitoria formulata dall’opposto in comparsa di risposta non implica modifica della domanda originaria, così come non integra (a maggior ragione) gli estremi di una domanda riconvenzionale, costituendo una mera “emendati() libelli”, siccome comportante un mero ampliamento del “petitum” al fine di renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere (cfr. Cass. 8.1.2010, n. 75).

Si tenga conto che nella fattispecie il curatore fallimentare con i ricorsi monitori aveva, per giunta, già domandato gli interessi, benchè al tasso legale.

29. In ogni caso le sezioni unite di questa Corte spiegano che la modificazione della domanda, ammessa ex art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (“petitum” e “causa petendi”), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali (cfr. Cass. sez. un. 15.6.2015, n. 12310; cfr. altresì Cass. 22.12.2016, n. 26782).

Ebbene è innegabile nel caso de quo che la richiesta degli interessi al maggior tasso convenzionale, formulata dal curatore nella comparsa di costituzione e risposta, appieno si correlava alla vicenda sostanziale inizialmente portata alla cognizione del giudice con i ricorsi per ingiunzione.

In pari tempo è da escludere che vi sia stata per gli ingiunti, poi opponenti, qui ricorrenti, menomazione alcuna delle rispettive prerogative difensive.

30. La domanda risarcitoria, che L.A., U.A.P., C.T. e Lo.Re. hanno esperito in via riconvenzionale, con le iniziali opposizioni ai decreti ingiuntivi chiesti ed ottenuti dal curatore del fallimento della “(OMISSIS)”, e il cui rigetto con il quinto motivo di ricorso si censura, è inammissibile.

E’ fuor di dubbio che la domanda risarcitoria, sulla cui scorta verosimilmente i ricorrenti ambiscono a partecipare alla distribuzione di quanto ricavato dalla liquidazione dell’attivo acquisito al fallimento della “(OMISSIS)”, è, ai sensi della L. Fall., art. 52, comma 2, assoggettata allo speciale rito di cui alla L: Fall., artt. 92 e segg., ed è dunque, siccome, appunto, soggiacente al “concorso formale”, devoluta alla delibazione del giudice delegato al fallimento e del tribunale fallimentare (cfr. Cass. 4.10.2018, n. 24156).

In tal guisa la domanda risarcitoria deve senz’altro esser d’ufficio dichiarata inammissibile (cfr. Cass. 4.10.2018, n. 24156, secondo cui l’accertamento di un credito nei confronti del fallimento è devoluto alla competenza esclusiva del giudice delegato L. Fall., ex artt. 52 e 93, con la conseguenza che, ove la relativa azione sia proposta nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d’ufficio, in ogni stato e grado, anche nel giudizio di cassazione, o l’improcedibilità, a seconda che il fallimento sia stato dichiarato prima della proposizione della domanda o nel corso del giudizio, trattandosi di una questione “litis ingressus impedientes”, con l’unico limite preclusivo dell’intervenuto giudicato interno, laddove la questione sia stata sottoposta od esaminata dal giudice e questi abbia inteso egualmente pronunciare sulla domanda di condanna rivolta nei confronti del fallimento, e del giudicato implicito, ove l’eventuale nullità derivante da detto vizio procedimentale non sia stata dedotta come mezzo di gravame avverso la sentenza che abbia deciso sulla domanda, ciò in ragione del principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione ed in armonia con il principio della ragionevole durata del processo).

31. Si tenga conto, ai fini della declaratoria officiosa di inammissibilità, che il fallimento della “(OMISSIS)” è stato dichiarato dal Tribunale di Avezzano con sentenza del 15.9.1992, antecedentemente alla proposizione, nel 2007, con le opposizioni a decreto ingiuntivo, della domanda risarcitoria.

Si tenga conto, del pari ai fini della declaratoria officiosa di inammissibilità, che non opera nella fattispecie il limite preclusivo dell’intervenuto giudicato “interno” e del giudicato “implicito”.

Difatti, con il quarto motivo d’appello gli appellanti, qui ricorrenti, avevano espressamente lamentato l’omessa pronuncia – da parte del primo giudice – in ordine alla domanda risarcitoria (cfr. sentenza d’appello, pag. 5). Al contempo, con il quinto motivo di ricorso, la domanda risarcitoria è stata comunque portata alla delibazione di questa Corte, sicchè nulla osta a che questa Corte ne rilevi ex officio l’inammissibilità.

Si tenga conto, parimenti ai fini della declaratoria officiosa di inammissibilità, che il divieto della decisione sulla base di argomenti non sottoposti al previo contraddittorio delle parti non si applica alle questioni di rito relative a requisiti di ammissibilità della domanda previsti da norme la cui violazione è rilevabile in ogni stato e grado del processo, senza che tale esito processuale integri una violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il quale – nell’interpretazione data dalla Corte Europea – ammette che il contraddittorio non venga previamente suscitato quando si tratti di questioni di rito che la parte, dotata di una minima diligenza processuale, avrebbe potuto e dovuto attendersi o prefigurarsi (cfr. Cass. 21.7.2016, n. 15019; Cass. 15.5.2018, n. 11738. Cfr. altresì Cass. (ord.) 27.11.2018, n. 30716, secondo cui nel sistema anteriore all’introduzione dell’art. 101 c.p.c., comma 2 (a norma del quale il giudice, se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, deve assegnare alle parti, “a pena di nullità”, un termine “per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”), operata con la L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 13, il dovere costituzionale di evitare sentenze cosiddette “a sorpresa” o della “terza via”, poichè adottate in violazione del principio della “parità delle armi”, aveva fondamento normativo nell’art. 183 c.p.c., che al comma 3 (oggi comma 4) faceva carico al giudice di indicare alle parti “le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione”, con riferimento, peraltro, alle sole questioni di puro fatto o miste e con esclusione, quindi, di quelle di puro diritto).

32. Una finale notazione si impone.

Alla declaratoria officiosa di inammissibilità non osta la circostanza per cui la domanda risarcitoria sia stata esperita da L.A., U.A.P., C.T. e Lo.Re., in via riconvenzionale, con le iniziali opposizioni ai decreti ingiuntivi chiesti ed ottenuti dal curatore del fallimento della “(OMISSIS)”.

Invero, nell’opposizione a decreto ingiuntivo, il fallimento del creditore opposto, nei cui confronti sia stata proposta dall’opponente domanda riconvenzionale, non determina l’improcedibilità dell’opposizione e la rimessione dell’intera controversia al giudice fallimentare, rimanendo il tribunale ordinario competente per l’opposizione mentre al tribunale fallimentare – previa separazione dei giudizi – deve essere rimessa esclusivamente la domanda riconvenzionale, in ordine alla quale soltanto sussiste, dunque, la “competenza” funzionale ed inderogabile di tale organo giudiziale (cfr. Cass. (ord.) 27.5.2011, n. 11749).

33. In dipendenza, segnatamente, del rigetto del primo, del secondo, del terzo e del quarto motivo di ricorso i ricorrenti vanno in solido condannati a rimborsare al curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.a.s. le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo

34. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315, secondo cui la debenza dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione è normativamente condizionata a due presupposti: il primo, di natura processuale, costituito dall’adozione di una pronuncia di integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, la cui sussistenza è oggetto dell’attestazione resa dal giudice dell’impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater,; il secondo, di diritto sostanziale tributario, consistente nell’obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, il cui accertamento spetta invece all’amministrazione giudiziaria).

P.Q.M.

La Corte così provvede:

rigetta il primo motivo, il secondo motivo, il terzo motivo ed il quarto motivo di ricorso;

dichiara – così pronunciando sul quinto motivo di ricorso – inammissibile la domanda di risarcimento dei danni che L.A., U.A.P., C.T. e Lo.Re. hanno proposto con le rispettive opposizioni ai decreti ingiuntivi n. 679/2006, n. 684/2006, n. 677/2006 e n. 240/2007 pronunciati dal Tribunale di Avezzano;

condanna in solido i ricorrenti, L.A., C.T., in proprio e quale erede di U.A.P., e Lo.Re., a rimborsare al controricorrente, curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.a.s., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

 

 

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