Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26990 del 27/12/2016


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Cassazione civile, sez. un., 27/12/2016, (ud. 15/11/2016, dep.27/12/2016),  n. 26990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente aggiunto –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di sez. –

Dott. DIDONE Antonio – Presidente di sez. –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di sez. –

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di sez. –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23871-2011 proposto da:

MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

D.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OTTORINO

LAZZARINI 19, presso lo studio degli avvocati ANDREA SGUEGLIA ed UGO

SGUEGLIA, che la rappresentano e difendono, per delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10148/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

uditi gli avvocati Paolo GRASSO e Ugo SGUEGLIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

1. Con sentenza n. 14769/2007 il Tribunale di Roma dichiarò il difetto di giurisdizione del giudice italiano, in favore del giudice tedesco con riguardo alla controversia instaurata da D.P. nei confronti del Ministero degli Affari Esteri (d’ora in poi: MAE) onde ottenere, previa disapplicazione del provvedimento di disdetta del rapporto di lavoro: a) il riconoscimento della sussistenza, tra le parti, di un rapporto subordinato di lavoro, con decorrenza 2 dicembre 2002; b) per l’effetto, l’immediata riammissione in servizio presso il Consolato d’Italia a Berlino; c) la condanna del MAE, anche a titolo risarcitorio, al pagamento degli stipendi maturati dall’1 dicembre 2004, con accessori di legge; d) in via subordinata, la proposizione della questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 18 del 1967, art. 154 per contrasto con gli artt. 3, 25, 36, 97 e 134 Cost.

2. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza attualmente impugnata (depositata il 25 gennaio 2011), in accoglimento dell’appello proposto avverso la suddetta sentenza da P.D., riformando tale sentenza, ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario italiano, rimettendo le parti innanzi al giudice di primo grado.

2.1. La Corte territoriale ha, in particolare, precisato che:

a) P.D., nel ricorso introduttivo del giudizio, ha, in sintesi, domandato l’accertamento della nullità della clausola di durata apposta al contratto stipulato il 30 settembre 2002, con decorrenza 2 dicembre 2002 e delle successive proroghe disposte dal MAE, con conseguente riconoscimento del proprio diritto al ripristino del rapporto;

b) il Tribunale di Roma ha escluso la giurisdizione del giudice italiano sulla base della clausola contrattuale (art. 18) del primo contratto, con la quale le parti avevano eletto il “foro locale” per la risoluzione di eventuali controversie circa l’esecuzione del contratto, richiamando anche la L. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2, trattandosi di diritti disponibili;

c) la suddetta clausola pattizia – da interpretare in senso restrittivo perchè è derogatoria rispetto agli ordinari criteri di riparto della giurisdizione – non può operare nella presente controversia, in quanto il relativo petitum sostanziale concerne l’accertamento della legittimità ab origine del contratto di lavoro a termine e non il concreto svolgimento del rapporto di lavoro;

d) la clausola stessa è inapplicabile nella specie pure in base alla normativa generale, interna e internazionale, relativa alla specifica materia di cui si tratta;

e) la L. n. 218 del 1995, art. 3 prevede, come criterio generale, che sussiste la giurisdizione italiana se in Italia il convenuto ha il domicilio o la residenza oppure un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio, senza specificare nulla per eventuali deroghe per le controversie in materia di lavoro;

f) anche la Corte di Giustizia UE ha precisato che eventuali deroghe a tale criterio generale sono insuscettibili di interpretazione estensiva (CGUE, sentenza 17 giugno 1992, C26/1991, Handte);

g) la stessa Corte di Giustizia Corte ha anche affermato che, in materia di contratto di lavoro, se l’obbligazione del lavoratore di effettuare le attività convenute sia stata e debba essere adempiuta al di fuori del territorio degli Stati contraenti, l’art. 5, 1^ punto, della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 – richiamata dalla L. n. 218 del 1995, art. 5, comma 2 – non può trovare applicazione e, in tal caso, la competenza del giudice si determina in funzione del luogo del domicilio del convenuto, conformemente all’art. 2 della Convenzione stessa (CGUE, sentenza 15 febbraio 1989, C-32/88, Six Constructions);

h) l’art. 21 del regolamento CE n. 44/2001 stabilisce che le disposizioni ivi previste per la determinazione del foro competente nelle controversie di lavoro – secondo cui il criterio generale è quello autorità giurisdizionali dello Stato membro nel cui territorio il lavoratore è domiciliato – possono essere derogate solo “da un accordo: 1) posteriore al sorgere della controversia; oppure 2) che consenta al lavoratore di adire un’autorità giurisdizionale diversa da quelle indicate nella presente sezione”.

2.2. La Corte territoriale, pertanto, è pervenuta alla conclusione che la suddetta normativa di origine comunitaria, come interpretata dalla CGUE, è prevalente rispetto alla disciplina nazionale antecedente – quale è il D.Lgs. n. 103 del 2000 – e che ad essa il giudice nazionale deve far riferimento per individuare il giudice dotato di giurisdizione.

La Corte romana quindi ha stabilito che, nella specie, deve affermarsi la giurisdizione del giudice italiano, dichiarando l’inefficacia della clausola pattizia – cui invece aveva fatto riferimento il primo giudice – ai fini di determinare lo spostamento della giurisdizione in favore del giudice tedesco, trattandosi di clausola cui non poteva essere attribuita efficacia derogatoria rispetto al generale criterio del luogo del domicilio del convenuto. Essa, infatti, diversamente da quanto previsto dall’art. 21 del regolamento CE n. 44/2001 cit. è stata stipulata contestualmente al contratto di lavoro (e, quindi, anteriormente all’inizio del presente giudizio) e neppure risulta di maggior favore per la lavoratrice. Invero – a prescindere dalla disciplina sostanziale applicabile – nessun vantaggio potrebbe certamente conseguire P.D. nel vedere devoluta alla Autorità giudiziaria tedesca la cognizione di un giudizio riguardante un rapporto di lavoro tra una cittadina italiana e un organo dello Stato italiano, domiciliato in Italia, quale è il Consolato d’Italia a Berlino.

3. Il ricorso del MAE, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domanda la cassazione della sentenza per un unico motivo; resiste, con controricorso, P.D..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 – Profili preliminari.

1. Preliminarmente vanno respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso proposte dalla controricorrente per asserita violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, e dell’art. 366 c.p.c., n. 4.

1.1. In primo luogo, infatti, è pacifico che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (vedi, per tutte: Cass. SU 18 giugno 2006, n. 11653; Cass. 29 agosto 2011, n. 17719; Cass. 9 novembre 2011, n. 23346).

Neppure occorre una narrativa analitica o particolareggiata, essendo sufficiente ed insieme indispensabile che dal contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del “fatto” sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168; Cass. 28 agosto 2004, n. 16360).

1.2. D’altra parte, l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possano rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 si verifica in caso di proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata, in quanto il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate (vedi, per tutte: Cass. 3 agosto 2007, n. 17125; Cass. 18 febbraio 2011, n. 4036).

1.3. Nella specie, il ricorso del Ministero degli Affari Esteri (d’ora in poi: MAE) attraverso la sua esauriente premessa in fatto e la successiva esposizione delle censure – che sia pur formulate in un unico motivo risultano esposte in modo chiaro – consente di intendere agevolmente la vicenda processuale sottoposta all’attenzione di questa Corte.

Pertanto è da escludere che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile per le suddette ragioni.

2 – Sintesi delle censure.

2. Il MAE, con l’unico motivo di ricorso, denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 1, per motivi attinenti la giurisdizione.

2.1. Il Ministero ricorrente sostiene, in primo luogo, l’erroneità della statuizione con la quale la Corte d’appello ha ritenuto inapplicabile la clausola di cui all’art. 18 del primo contratto stipulato tra le parti, clausola in base alla quale il giudice di primo grado aveva escluso la giurisdizione del giudice italiano.

Si aggiunge che, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2, la suddetta clausola andrebbe considerata legittimamente derogatoria rispetto alla disciplina generale perchè avente forma scritta e riguardante diritti disponibili.

2.2. Si rileva altresì che la Corte d’appello avrebbe ignorato il carattere speciale della normativa contenuta nel titolo 6^ del D.P.R. n. 18 del 1967, che, in quanto tale, prevarrebbe sulla disciplina generale di cui alla L. n. 218 del 1995, anche perchè introdotta successivamente, con il D.Lgs. n. 103 del 2000.

Si ricorda che, in particolare, il suddetto D.P.R. n. 18 del 1967, art. 154 fa riferimento espresso al “foro locale”, mentre la Corte d’appello avrebbe svuotato di significato tale norma che, invece, è proprio quella in base alla quale la presente controversia dovrebbe essere devoluta al giudice tedesco.

2.3. Si assume infine che anche il richiamo al Regolamento CE 44/2001 sarebbe sbagliato, in quanto tale regolamento non sarebbe applicabile nella specie poichè “il contatto di lavoro è stato concluso con l’Ambasciata d’Italia a Berlino, che ha la propria sede in Germania”, inoltre all’epoca la lavoratrice era stabilmente residente in quel Paese, mentre il Ministero degli Affari Esteri avrebbe assunto un ruolo di mera vigilanza sulla procedura di assunzione.

3 – Esame delle censure.

3. Il ricorso non è da accogliere.

3.1. Queste Sezioni Unite hanno già chiarito che, in tema di controversie inerenti al rapporto di lavoro del personale di rappresentanze diplomatiche e di uffici consolari di prima categoria italiani, il D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18, art. 152, nel testo sostituito del D.Lgs. 7 aprile 2000, n. 103, art. 1 applicabile “ratione temporis”, autorizza le suddette articolazioni amministrative ad assumere personale a contratto per le proprie esigenze di servizio, previa autorizzazione dell’Amministrazione centrale, con conseguente insorgenza del rapporto contrattuale con il MAE e non con i suoi organi.

Di qui la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano sulla domanda proposta nei confronti del MAE convenuto, ai sensi degli artt. 18, 19 e 60.1 del Regolamento CE n. 44/2001 del 22 dicembre 2000, la cui applicabilità è fatta salva dal citato D.P.R. n. 18 del 1967, art. 154, visto che tale articolo prevede l’attribuibilità della competenza giurisdizionale ai foro locale “fermo restando quanto disposto in materia dalle norme di diritto internazionale generale e convenzionale”. A ciò va aggiunto che l’art. 21 del menzionato Regolamento CE esclude che possa essere riconosciuta efficacia alla clausola di deroga della competenza giurisdizionale pattuita nel primo contratto stipulato da P.D. con il MAE, sia perchè si trattava di una clausola anteriore al sorgere della controversia, sia perchè essa determinava l’effetto non di consentire ma d’imporre alla lavoratrice di rivolgersi a un giudice diverso da quello previsto dal regolamento medesimo (nello stesso senso, vedi: Cass. SU 2 dicembre 2011, n. 25761; Cass. SU 28 dicembre 2011, n. 29093; Cass. SU 13 aprile 2012, n. 5872; Cass. SU 1 luglio 2016, n. 13536).

3.2. La sentenza impugnata – pur essendo antecedente all’affermarsi del suindicato orientamento – risulta assolutamente conforme ai principi affermati da queste Sezioni Unite, che hanno la loro premessa nel riconoscimento dell’efficacia del Regolamento CE n. 44 del 2001, la cui disciplina – al pari di quella di tutti i regolamenti comunitari – prevale sulla normativa interna, con conseguente inapplicabilità della normativa nazionale, precedente o successiva, in contrasto con quella comunitaria.

3.3. A ciò va aggiunto, per completezza, che il suddetto Regolamento n. 44/2001 – che per i Paesi come l’Italia ha sostituito la convenzione di Bruxelles del 1968 – è entrato in vigore Il marzo 2002 ed è stato abrogato dall’art. 80 del Regolamento UE 12 dicembre 2012 n. 1215/2012, che ha sostituito il precedente regolamento a partire dal 9 gennaio 2013 (ma con i tempi e le modalità stabilite dall’art. 81) e che, con riguardo alla problematica esaminata in questa sede, non ha modificato la precedente disciplina.

4- Conclusioni.

4. Alla luce delle suddette considerazioni il ricorso deve essere respinto e va dichiarata la giurisdizione del giudice italiano.

Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice italiano e condanna il Ministero ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi ed Euro 5000,00 per compensi professionali, oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2016

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