Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2699 del 05/02/2010

Cassazione civile sez. I, 05/02/2010, (ud. 28/04/2009, dep. 05/02/2010), n.2699

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNE DE L’AQUILA, in persona del Sindaco pro tempore, con domicilio

eletto in Roma, via Guido d’Arezzo n. 18, presso l’Avv. Alfredo

Petillo, rappresentato e difeso dall’Avv. Paolo Giuliano, come da

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.D.M.G., (C.F. (OMISSIS)) con

domicilio eletto in Roma, via Maria Adelaide n. 12, presso l’Avv.

Maria Claudia Ioannucci, rappresentato e difeso da se medesimo;

– controricorrente –

e contro

COOPERATIVA EDILIZIA AMITERNUM S.R.L., con domicilio eletto in Roma,

via A. Traversari n. 55, presso l’Avv. Giuseppe Marzano,

rappresentata e difesa dall’Avv. Berardino Ciucci, come da procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello de L’Aquila n.

996/05 depositata il giorno 11 novembre 2005.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 28 aprile 2009 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli;

sentite le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. LECCISI Giampaolo che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del Tribunale de l’Aquila n. 849/2002 la locale Amministrazione comunale è stata condannata al pagamento della somma di Euro 391.000 in favore di D.M.M. ved. B., D. M.L., A. e G. nonchè M.A. ved.

D.M. a titolo di risarcimento danni per illegittima acquisizione di aree di loro proprietà; con la stessa decisione è stata esclusa la responsabilità delle cooperative beneficiane delle occupazioni pure evocate in giudizio. Contro la sentenza ha proposto appello il Comune notificandolo a B.D.M.G. e alla Cooperativa Edilizia Amiternum s.r.l., chiedendo termine per la notifica agli altri legittimati ex art. 331 c.p.c.. Con sentenza n. 996/2005 depositata in data 11 novembre 2005 la Corte d’appello ha dichiarato inammissibile il gravame rilevando il difetto di legittimazione del B.D.M. in quanto il medesimo non era stato parte nel giudizio di primo grado e non era mai stata dichiarata la morte del genitore, con conseguente inapplicabilità del dettato dell’art. 331 c.p.c. anche in considerazione dell’ultroneità della evocazione in appello della cooperativa per la quale la sentenza di primo grado doveva considerarsi definitiva in difetto della proposizione di un qualche specifico motivo di gravame nei suoi confronti.

Contro la sentenza ricorre per cassazione l’Amministrazione comunale deducendo quattro motivi: violazione degli artt. 300 e 330 c.p.c. per aver omesso di rilevare la Corte che l’impugnazione era stata proposta nei confronti del B.D.M. nella sua qualità di erede di una delle parti nel giudizio di primo grado, come dichiarata nella notifica della sentenza di primo grado; omesso esame di un punto decisivo della controversia in relazione al mancato rilievo della circostanza consistente nel l’affermata qualità di erede;

ulteriore omesso esame in relazione all’avvenuta proposizione di uno specifico motivo di appello anche nei confronti della cooperativa;

violazione dell’art. 331 c.p.c. per avere la Corte ritenuto insussistenti i presupposti per la concessione del termine per l’integrazione del contraddittorio agli altri legittimati.

Resistono entrambi gli intimati con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo e il secondo motivo di ricorso, che per la loro connessione possono essere esaminati congiuntamente, con, i quali si censura l’impugnata decisione sotto il profilo della violazione dell’art. 330 c.p.c. e della carente motivazione per avere la Corte ritenuto inammissibile l’appello in quanto notificato a persona che non era stata parte nel giudizio di primo grado e priva ad altro titolo di legittimazione sono fondati.

La Corte d’appello ha motivato la sua pronuncia in ordine alla carenza di legittimazione passiva dell’appellato B.D.M. oltre che in base alla circostanza, pacifica, che lo stesso non è stato parte nel giudizio di primo grado, sulla considerazione che sarebbe irrilevante la circostanza che il predetto sia figlio di una degli attori nel giudizio avanti al tribunale “non essendo mai stata dichiarata la morte del genitore, nè risultando tale circostanza da notifiche in atti”.

Premesso che la circostanza che la qualifica di erede di una delle originarie parti processuali in capo a B.D.M.G. è stata dedotta dal Comune dal contenuto della relata di notifica della sentenza di primo grado a mente della quale “Ad istanza dei sigg.ri B.D.M.G., B.C., B.M. C. e Be.Ca., tutti e quattro eredi di D.M. M., V.M.C., V.M.L. e V. H., quali eredi di D.M.A., nonchè eredi i primi sei di D.M.G., e ad istanza di A.M.G., quale erede di M.A. ved. D.M. …”, e che la Corte d’appello non poteva ignorare il contenuto della medesima, essendo la sentenza impugnata necessariamente depositata in atti (art. 347 c.p.c.) ed essendo stata la questione fatta oggetto delle difese del Comune, deve ritenersi che la pronuncia di inammissibilità sia basata sul principio secondo cui solo la dichiarazione effettuata ad opera del procuratore costituito ex art. 300 c.p.c. o il fatto che l’evento risulti come accertato dall’ufficiale giudiziario in occasione del tentativo di notifica di una atto del processo giustificherebbero la notifica dell’appello agli eredi.

Tale principio è tuttavia errato dal momento che la comunicazione del decesso della parte effettuata dai suoi eredi all’atto della notificazione della sentenza e riportata nella relata equivale alla comunicazione effettuata con le stesse modalità dal procuratore costituito, tanto che è principio già affermato quello secondo cui “La dichiarazione della morte della parte fatta nell’istanza per la notificazione della sentenza e riportata nella relazione dell’Ufficiale Giudiziario comporta che l’impugnazione debba essere proposta nei confronti degli eredi ed ha come conseguenza, in mancanza, la nullità dell’atto di appello notificato alla parte deceduta anzichè ai suoi eredi.” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10894 del 30/10/1998; nello stesso senso Sez. 2, Sentenza n. 5039 del 9/06/1987).

Nè vale obiettare che la specificazione della qualità di erede in cui è stato evocato in giudizio l’attuale controricorrente, che, sia detto per inciso, così come in comparsa si risposta si era limitato ad eccepire che non era stato dichiarato il decesso di alcuna parte del giudizio di primo grado non ha contestato neppure in questa sede l’assunto del ricorrente circa detta qualità, sarebbe stata chiarita solo in sede di replica alla comparsa conclusionale dello stesso in quanto dal tenore dell’impugnata decisione risulta evidente che la Corte d’appello ha affrontato la questione relativa alla rilevanza della qualità di erede in capo all’appellato ritenendola ritualmente introdotta e la statuizione sul punto non è stata fatta oggetto di gravame.

Il secondo motivo con il quale si censura l’impugnata decisione sotto il profilo della motivazione in relazione alla statuizione oggetto del primo motivo è assorbito.

Il terzo motivo con il quale ci si duole che la Corte d’appello abbia ritenuto inammissibile il gravame proposto nei confronti della Cooperativa Amiternum perchè nei suoi confronti non sarebbe stato proposto alcun motivo di impugnazione è anch’esso fondato.

Giova premettere, quanto alla forma che deve assumere l’atto di appello e quindi all’ammissibilità dell’impugnazione che è già stato affermato dalla Corte il principio secondo cui “L’atto introduttivo del giudizio, anche nel processo del lavoro, deve essere interpretato nel suo complesso, al fine di verificare la presenza di tutti gli elementi della domanda che siano prescritti sotto comminatoria di nullità o di preclusione; ne consegue che la mancata riproduzione, nella parte dell’atto di appello a ciò destinata, delle conclusioni relative ad uno specifico motivo di gravame non può equivalere a difetto di impugnazione o essere causa della nullità di essa, se dal contesto dell’atto risulti, sia pur in termini non formali, una univoca manifestazione di volontà di proporre impugnazione per quello specifico motivo” (Cassazione civile, sez. lav., 15 maggio- 2003, n. 7585 che conferma Cassazione civile, sez. lav., 22 gennaio 1986, n. 407).

Poichè risulta dai motivi di appello testualmente riportati in ricorso che il Comune ha censurato la sentenza del tribunale che aveva condannato l’Amministrazione comunale al risarcimento dei danni ritenendolo responsabile di occupazione usurpativa e negando la legittimazione passiva delle cooperative e della impresa che avevano eseguito i lavori e tra esse della Cooperativa Amiternum sostenendo invece la tesi dell’estraneità del Comune e dell’esclusiva responsabilità delle predette, è del tutto irrilevante, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione, che nelle conclusioni l’Amministrazione comunale si sia limitata a richiedere la declaratoria del proprio difetto di legittimazione passiva essendo.

evidente dal tenore complessivo delle difese la richiesta di riforma dell’impugnata decisione con affermazione dell’esclusiva responsabilità dei soggetti che materialmente avevano occupato i terreni e costruito sugli stessi quale presupposto per l’assenza di responsabilità esclusiva in capo al Comune.

L’accoglimento del primo e del terzo motivo comporta l’accoglimento anche del quarto con il quale ci si duole che la Corte d’appello abbia negato la richiesta integrazione del contraddittorio. Essendo stato infatti ritualmente proposto appello nei confronti di alcune delle parti del giudizio di primo grado o di un loro successore è da censurare l’impugnata pronuncia anche nella parte in cui ha ritenuto insussistente la possibilità di integrazione del contraddittorio sull’erroneo presupposto dell’estraneità al giudizio e dell’inammissibilità dell’impugnazione nei confronti dei soggetti evocati.

L’impugnata sentenza deve dunque essere cassata e la causa rinviata, anche per le spese, alla stessa Corte d’appello per l’ulteriore esame alla luce del principio enunciato.

P.Q.M.

fa Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello de L’Aquila in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2010

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