Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26989 del 02/12/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 26989 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: SCALISI ANTONINO

SENTENZA
sul ricorso 25770-2010 proposto da:
BENI STABILI SPA 003800210302, IN PERSONA DEL SUO
PROCURATORE SPECIALE, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA FLAMINIA 135, presso lo studio
dell’avvocato FRANCIONE NICOLA, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato BERRUTI PAOLO;
– ricorrente –

2013
2100

contro
ROMA CAPITALE (GIA’ COMUNE DI ROMA) 02438750586, IN
PERSONA DEL SINDACO P.T., elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 8, presso lo studio

Data pubblicazione: 02/12/2013

P

dell’avvocato FRIGENTI GUGLIELMO, che la rappresenta
e difende;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 3575/2009 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/09/2009;

udienza del 15/10/2013 dal Consigliere Dott. ANTONINO
SCALISI;
udito l’Avvocato Berruti Paolo difensore della
ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avv. Frigenti Guglielmo difensore della
controricorrente che ha chiesto il rigetto del ric
orso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo

Il Comune di Roma con atto di citazione del 7 luglio 1993, proponeva

opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 12033 del 1993 emesso dal
Presidente del Tribunale con il quale gli era stato ingiunto il pagamento in
favore dell’Edil Laurentia 72 spa. della somma di lire 7. 464. 404. 133, quale

residuo importo della vendita di un complesso immobiliare. Deduceva
l’opponente che la compravendita in questione era stata conclusa per un
importo superiore a quello imposta dalla legge n. 899 del 1986 e che pertanto
la pattuizione contrattuale riguardante l’ individuazione del prezzo della
compravendita doveva perciò essere ritenuta nulla e che il prezzo concordato
doveva automaticamente sostituirsi in virtù del combinato disposto degli artt.
.

1339 e 1419 cc. con quello predeterminato dalla indicata normativa; che
.
avendo provveduto al pagamento dell’importo così individuato, esso Comune
non era tenuto ad alcun ulteriore esborso.
Si costituiva la società Edil Laurentia 72 spa deducendo l’infondatezza di
quanto ex adverso assunto.
Il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione e confermava il decreto
ingiuntivo.
Il gravame proposto dal Comune di Roma veniva rigettato dalla Corte di
Appello di Roma, con sentenza n. 90 del 2002. Riteneva la Corte romana che
la norma invocata dal Comune di Roma cioè l’art. 5 del legge n. 899 del 1986,
era stato abrogato dall’art. 13 della legge n. 136 del 1999. Di ciò discendeva
.

che, al momento della decisione, la norma invocata dal Comune a sostegno
_

delle proprie ragioni non esisteva più. Per cui, non poteva essere fatta valere

perché secondo il costante orientamento della giurisprudenza in presenza di
1

l

7

_

sucessioni di leggi in pendenza di giudizio doveva aversi riguardo a quelle da

cui il rapporto è regolato al momento della decisione, essendo lo jus

superveniens rilevabile anche di ufficio.
Il Comune di Roma proponeva ricorso per cassazione in base a due motivi. La
società Edil Laurenthia resisteva con controricorso.

La Corte Suprema di Cassazione con sentenza n. 2111 del 2004 cassava la
sentenza della Corte romana e rinviava la causa per un nuovo esame ad altra
sezione della Corte di Appello di Roma anche per le spese.
Il Comune di Roma con atto di citazione in riassunzione, citava in giudizio la
società Edil Laurenthia, davanti alla Corte di Appello di Roma perché in
.

applicazione del principio di diritto di cui alla sentenza della Corte di

.
_

cassazione ed in riforma della sentenza n. 14855 del 1994 del Tribunale di
Roma accertasse e dichiarasse che la clausola relativa alla determinazione del
prezzo contenuta nel contratto in oggetto

era nulla in virtù del combinato

disposto di cui agli artt. 1339 e 1419 cc.
Si costituiva l’appellata chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
La Corte di appello di Roma con sentenza n. 3575 del 2009, in riforma della
sentenza n. 14855 del 1994 del Tribunale di Roma, dichiarava che la clausola
relativa alla determinazione del prezzo contenuta nel contratto stipulato tra il
Comune di Roma e la società Edil Laurenthia spa. era nulla in ragione del
combinato disposto di cui agli artt. 1339 e 1419 cod. civ. Alla luce del
principio di diritto affermato dalla Corte Suprema di Cassazione secondo cui
“Qualora le parti, nel concludere un contratto di compravendita, abbiano fatto
_

riferimento per la determinazione del prezzo al contenuto di una norma di

legge regolatrice di tale prezzo (nella specie, l’art. 5, comma ottavo, d.l. 29
2

4

_
ottobre 1986, n. 708, conv., con modif., nella 1. 23 dicembre 1986, n. 899),
occorreva stabilire quale tipo di rinvio – “fisso” o “mobile” – esse abbiano

inteso effettuare (e il relativo giudizio, trattandosi d’interpretazione del
contratto, era riservato al giudice di merito, salvo il sindacato di legittimità nei
limiti in cui era esercitabile in materia di ermeneutica negoziale); con la

conseguenza che, solo se si tratta di rinvio mobile, il contenuto negoziale
restava esposto alle vicende modificative ed estintive della norma richiamata;
in mancanza, dovendo il rinvio ritenersi fisso, il contenuto della norma veniva
definitivamente recepito nella dichiarazione negoziale, divenendone elemento
stabile e immutabile, insensibile alle vicende della norma stessa sopravvenute
dopo la conclusione del contratto”, accertava che il rinvio alla norma di legge

regolatrice di tale prezzo era un rinvio fisso con la conseguenza che
l’abrogazione della norma di riferimento non spiegava di per sé alcuna
efficacia sul rapporto sorto dal negozio.
La cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma è stata chiesta
dalla società Beni Stabili spa. che ha incorporato la società Sviluppi
Immobiliari spa. che, a sua volta, aveva incorporato la società Edil Laurenthia
(originaria appellata) con ricorso affidato a tre motivi. Roma Capitale (già
Comune di Roma) ha resistito con controricorso.
All’udienza del 28 marzo 2012 questa Corte rilevato che dagli atti non
risultava depositata la procura sostanziale in ordine al rapporto dedotto in
giudizio, nonostante fossero stati indicati gli estremi, con ordinanza rinviava
..

la causa a nuovo ruolo assegnando alla parte ricorrente il termine di giorni
_

sessanta dalla comunicazione della stessa ordinanza per documentare i poteri

di rappresentanza di colui che ha rilasciato la procura alla lite. In data 26
3

g7

_

giugno 2012 l’avv. Paolo Berruti difensore della società Beni Stabili
provvedeva a depositare copia conforme all’originale della procura speciale ad
negotia del 9 maggio 2008 con la quale la società appena indicata nominava e

costituiva procuratore speciale l’avv. Stefano Vittori.

memoria illustrativa dei motivi del ricorso.
Motivi della decisione
1.= Con il primo motivo la società Beni Stabili spa. Lamenta l’omesso esame
di un punto controverso e decisivo del giudizio (art. 360, primo comma, n. 5
cpc.). Avrebbe errato la Corte romana, secondo la ricorrente, nell’aver ritenuto
.

_

il rinvio all’art. 5 della legge n. n. 899 del 1986 quale “rinvio fisso” perché la
Corte

di

merito

avrebbe

completamente

dimenticato

di

compiere

l’approfondito esame rivolto ad indagare e ricostruire il significato da
attribuire alle dichiarazioni delle parti e, cioè, al contenuto sostanziale del
contratto sottoscritto. La Corte romana si sarebbe limitata ad interpretare il
negozio unicamente con la lettura delle premesse e delle clausole contrattuali
del contratto di compravendita che farebbe presumere “(….) una volontà non
definitiva delle parti (…)”. Piuttosto, considerato che l’omesso esame trova la
propria ratio nel fatto che il significato della clausola non è chiarooFeeet era
necessario ricorrere ai precetti delle norme giuridiche contenute agli artt. 1362
3 segg. Cc. sull’interpretazione del contratto. In particolare, la Corte di merito
nulla dice in ordine all’interpretazione della comune intenzione delle parti ed
il loro comportamento complessivo tenuto sia in sede di trattative, sia, anche,
,

dopo la stipulazione del rogito notarile; avrebbe omesso l’interpretazione
sistematica delle clausole contrattuali e l’interpretazione secondo buona fede,
4

La società Beni Stabili in prossimità dell’udienza odierna ha depositato

_

l’interpretazione delle clausole ambigue.
Nel caso in esame -ritiene sempre la ricorrente: A) La comune intenzione

delle parti traspare ed appare dalla semplice lettura della clausola (art. 5 ) e
delle Premesse del contratto de quo, traspare dall’analisi della causa del

a suggellare tale accordo. Un’attenta ricostruzione della comune intenzione
delle parti avrebbe consentito alla Corte territoriale di pervenire all’unico
risultato possibile e ammissibile: che le parti nel richiamare la norma specifica
avevano voluto che la predeterminazione del prezzo risultasse unicamente
dall’applicazione dei parametri di riferimento. Una volta stabilita, però, la
congruità del prezzo la venditrice, nell’assoluta impossibilità di partecipare al
processo di formazione di influire sulla revisione del risultato, aveva due sole
opzioni: accettare la valutazione o rifiutarle. Poiché ha optato per la prima
soluzione il proprio assenso ha consentito il suggello definitivo della volontà
non più modificabile. B) La Corte romana non avrebbe tenuto conto che la
clausola contrattuale relativa al prezzo rappresentava la summa della volontà
formatesi precedentemente alla stipula e in parte riferite nelle Xmesse del
contratto. L’art. 5 del contratto specificava che le parti avevano chiaramente
stabilito che la vendita era fatta ed accettata per il convenuto prezzo di lire
20.606.438.029 oltre Iva. Sicché tenuto conto che l’art. 5 rinviava alle
Premesse, era ragionevole ritenere che la Commissione Stime, nella seduta del
15 settembre 1989 aveva determinato operando il rinvio all’art. 5 della legge
n. 899 del 1986 e, così, definendo la somma pattuita ed indicata all’art. 5 del

_

contratto. C) Nel caso in esame la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto
neppure che il comportamento del Comune di Roma, dopo la stipula notarile
5

medesimo, traspare dall’accurato esame dei motivi che hanno indotto le parti

_

non rispondeva ai principi della lealtà e della correttezza, considerato che, pur
nella piena validità ed efficacia del negozio di vendita, aveva modificato a

.

propria discrezione il prezzo, rifiutando di pagare il residuo del prezzo
pattuito. E di più, il Comune aveva comunicato la propria intenzione di voler

iniziativa dopo la presa di possesso degli stabili. D) la Corte territoriale,
infine, secondo la ricorrente, nulla dice con riferimento all’interpretazione
delle clausole ambigue che vanno risolte con l’aiuto degli usi interpretativi.
Non vi è dubbio sull’ambiguità della clausola de qua (art. 5 del contratto di
vendita), soprattutto, in ordine al momento
.

(inizio o fine lavori) con

riferimento al quale doveva essere calcolato il prezzo di scambio. Alla luce

degli usi interpretativi, detti anche negoziali, il venditore doveva consegnare il
bene completo dei lavori di ristrutturazione pattuito e l’acquirente doveva
provvedere al pagamento integrale del corrispettivo dovuto al valore stimato
secondo il procedimento indicato dalla legge.
In ragione di queste considerazioni, la ricorrente propone il seguente quesito
di diritto: “Dica la Suprema Corte di Cassazione, se, nell’individuazione del
tipo di rinvio, fisso o mobile, il giudice debba necessariamente applicare in
concreto i criteri di interpretazione soggettivi e oggettivi del contratto stante
l’assoluta indefettibilità, in tale giudizio ricostruttivo, dell’esame accurato di
tutte le circostanze, secondo i predetti criteri interpretativi, che possono
soccorrere alla risoluzione della questione di merito”:

1.1.

La censura non ha ragion d’essere e non può essere accolta non solo, o

non tanto, perché si risolve in una richiesta di una nuova e diversa valutazione
.

di merito, inibita al Giudice di legittimità, essendo quella del Giudice di
6

pagare la somma inferiore risultante da un diverso calcolo effettuato di propria

merito, ragionata logica e convincente, ma, e soprattutto, perché la Corte
romana ha correttamente applicato il principio espresso dalla Corte Suprema

di Cassazione con la sentenza n.2111 del 2004 ed ha, coerentemente,
interpretato il contratto di compravendita intercorso tra il Comune di Roma e
la società Edil Laurenthia spa. ed, in particolare, la clausola relativa alla

determinazione del prezzo della vendita.
1.1.a).= A ben vedere, la decisione della Corte di Appello di Roma è fondata
su alcuni dati pacifici tra le parti interessate (Comune di Roma e società Edil
Laurenthia) e cioè: 1) che la contrattazione in argomento sia stata uniformata
alla normativa statuale introdotta dal Dlgs. n. 708 del 1986 e convertito nella
legge n. 899 del 1986. Le parti, altresì, non ignoravano e non potevano

,

ignorare — essendo un errore non scusabile- che l’art. 5 della legge di cui si
dice, al n. 8 recitava il prezzo di acquisto

(….) non può superare il valore

locativo calcolato con i criteri previsti dagli articoli da 12 a 24 della legge 27
luglio 1978, n. 392.”, considerato anche che in sede di quantificazione del
prezzo si precisava che “la Commissione Stime nella seduta del 15 settembre
1989 ha stimato il valore locativo del complesso immobiliare in oggetto,
richiesto dalla citata legge di finanziamento n. 899 del
20.606.438.029”.

Pertanto,

il dato incontrovertibile,

1986,

in lire

non soggetto

a

modificazione è che le parti hanno inteso, consapevolmente e in piena libertà,
determinare il prezzo della vendita, secondo il criterio indicato nella legge n.
899 del 1986 e cioè secondo il valore locativo del complesso immobiliare.
1.1.b).= 2) che la compravendita in argomento (come correttamente è stato

evidenziato dalla Corte di Appello di Roma, e già prima dal Tribunale), non si
.

sostanziava in una compravendita conclusa a prezzo libero ma, piuttosto, in
7

/(37

una compravendita ad un prezzo individuato conformemente al parametro

imposto da una norma che, sancendo limiti all’utilizzo del denaro pubblico,
andava considerata norma imperativa (per altro, il capo della sentenza del
Tribunale sul rinvio a norma imperativa non era stato oggetto di censura in
fase di appello e, come tale, era da ritenersi passata in giudicato). Sicché, una

quantificazione del prezzo che non seguiva rigidamente l’iter di calcolo come
tracciato dai criteri previsti dagli articoli della legge n. 392 del 1978 era una
clausola nulla per contrarietà alle norme (e alle norme imperative) cui
entrambe le parti avevano fatto rinvio, e, pertanto, ai sensi dell’art. 1339 e
1419 andava sostituita con la clausola riportante il prezzo corretto, così come
.

risultava applicando correttamente i criteri legali di cui si è detto.
1.1.c).= 3) che la consulenza tecnica elaborata nel corso del giudizio di
appello aveva evidenziato che il prezzo come convenuto era effettivamente
errato perché il calcolo esatto in base alle norme della legge n. 392 e 899
portava alla somma di £. 13.527.582.570, considerato che il coefficiente del
costo base per il calcolo del valore locativo per l’anno 1980, (epoca di
riferimento per la determinazione del coefficiente, così come risultava dalla
certificazione del Sindaco di Roma) era quello di £. 500.000
1.1.d).= Pertanto, questi dati pacifici tra le parti interessate- hanno consentito
alla Corte di ritenere che la “comune intenzione delle parti” in merito alla
determinazione del prezzo della compravendita de quo era quello: che il
prezzo della vendita fosse la risultante dell’applicazione dei criteri legali di


.

_

cui alle leggi n. 392 del 1978 e n. 899 del 1986. E di più, come pure ha
evidenziato la Corte romana, nel caso in esame non rileva che la venditrice si
fosse determinata a vendere per la quantificazione fatta propria dall’acquirente
8

k

_

in quanto a fronte del rinvio ricettizio fisso fatto alla norma di legge,
imperativa, quel prezzo non era l’elemento sostanziale e definitivo del

contratto tale essendo il prezzo calcolato secondo la norma imperativa di
riferimento. Né rileva che l’errore sia stato determinato da un organismo

quanto la sanzione di nullità, stante il rinvio fisso operato dalle parti, era
rischio già previsto e

..A.
valutato dalle parti che avevano, entrambe, gli

strumenti per valutare l’errore in cui si era incorsi nella sua determinazione.
1.2.= A sua volta, la Corte romana ha correttamente accertato, interpretando
il contratto di compravendita de quo, che il rinvio alla norma di cui all’art. 5
della legge n. 899 del 1986 era un rinvio fisso. Come aveva precisato questa
_

Suprema Corte con la sentenza n. 2111 del 2004, da cui ha origine la presente
fase del giudizio: qualora le parti, nel concludere un contratto di
compravendita, abbiano fatto riferimento per la determinazione del prezzo al
contenuto di una norma di legge regolatrice di tale prezzo (nella specie, l’art. 5
n. 8 del D.L. 29.10.1986 n. 708, convertito con modificazioni, dalla legge
23.12.1986 n. 899), occorre individuare quale tipo di rinvio, fisso o mobile,
esse abbiano inteso effettuare; con la conseguenza che, solo se si tratta di
rinvio mobile, il contenuto negoziale resta esposto alle vicende modificative
ed estintive della norma richiamata; in mancanza, dovendo il rinvio ritenersi
fisso, il contenuto della norma viene definitivamente recepito nella
dichiarazione negoziale, divenendone elemento

.

stabile e immutabile,

insensibile alle vicende della norma stessa, sopravvenute dopo la conclusione
del contratto”.
1.2.a).= Secondo la Corte romana, che il rinvio alla norma di cui si dice fosse
9

“endoprocedimentale” le cui conclusioni erano state in buona fede recepite in

_

“fisso” era dato dal fatto che le premesse e le clausole contrattuali di

compravendita per il loro contenuto intrinsecamente collegato alla legge n.
899 del 1986 costituente la causa genetica del contratto stesso, non lasciavano
dubbio, in termini netti, nell’escludere che le parti abbiano inteso operare un
rinvio mobile: In quelle premesse e nella clausole contrattuali -evidenziava la
non era rinvenibile

una precisa volontà delle parti

di

Corte romana-

identificare un rinvio mobile considerato, pure, che non vi era alcun
riferimento alle variazioni successive della fonte esterna, nè quel rinvio
avrebbe potuto essere ritenuto ricompreso nel semplice richiamo della nonna.
1.2.b).= Questa conclusione appare del tutto ragionevole e, soprattutto,
.

.

coerente ai principi in materia contrattuale, considerato che un rinvio cd.
mobile, comportando un rischio contrattuale meritava un’espressa risoluzione
delle parti per evitare che una o l’altra parte contrattuale potesse trovarsi
o e”
esposta a rischi non previsti e/o non accettati. Sotto altro aspetto, tot mancato
indizio specifico che potesse consentire di qualificare come mobile il rinvio
operato non poteva non comportare una presunzione di un rinvio cd. fisso,
rispondente al principio dell’equo e razionale contenuto del contratto, nonché
ai principi dell’interpretazione secondo buona fede che induce ad interpretare
il contratto secondo ragionevolezza.
2.= Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’insufficiente ed illogica
motivazione su un fatto controverso e decisivo (art. 360, primo comma, n. 3
cpc.). Secondo la ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata

evidenzia un ragionamento contraddittorio che ricorre ad argomenti tra loro
.

profondamente contrastanti a tal punto che tra di loro concettualmente si
elidono. A ben vedere, secondo la ricorrente, le premesse del contratto citato
10

4

espongono i presupposti della stipulazione: evidenziando come lo ius
.

contrahendi del Comune trovasse il suo presupposto eziologico nel sistema
legislativo che consentiva ai Comuni di acquisire immobili destinati a
sopperire alle carenze abitative , ma allo stesso tempo delineava le evidenze

,. . (N,:

c

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V t”…..-,….. j

precontrattuali corrispondenti all’interesse della società venditrice di arbx=ire

alla stipulazione del contratto con la previsione di un corrispettivo ben
determinato. Ancora nelle premesse si rinviene il riferimento al prezzo
proposto dalla venditrice e a quello determinato dall’apposito Commissione
Stime dell’Amministrazione comunale infine condiviso dalla venditrice
stessa. Ciò posto la clausola convenzionale inerente al corrispettivo di vendita
.

contiene la determinazione tout courtdel prezzo ma essa nulla dice in ordine
alla relatio con la disciplina di cui alla richiamata legge 899 del 1986. La
Corte di Appello ha omesso di considerare l’ulteriore assorbente circostanza
che il Comune non ha mai riesaminato la determinazione della Commissione
Stime che ad ogni buon conto è rimasta immutata e divenuta definitiva : si è,
dunque, consolidata. L’evidente natura sinallagmatica della definizione
contrattuale del corrispettivo, perciò, induce, secondo la ricorrente, a ritenere
che il rinvio alla indicata normativa di cui alla legge n. 899 del 1986 non
possa inquadrarsi nella categoria del rinvio fisso bensì in quello del rinvio
mobile.
2.1.= Anche questa censura non ha ragion d’essere e non può essere accolta in
l
parte perché si risolve in una richiesta di una nuova e diversa valutazione delle

.

Premesse e delle clausole contrattuali, non proponibile in cassazione, per altro

,

perché la correzione del prezzo della vendita, in modo tale che il reale prezzo
rispondesse ai criteri di cui alle leggi n. 392 del 1978 e n. 899 del 1986, non
11

/11

contrasta con la natura sinallagmatica della definizione contrattuale del
corrispettivo considerato che il prezzo è stato determinato dalle parti di

.

comune accordo indicandolo in quello che sarebbe risultato dall’applicazione
dei criteri indicati dalle leggi n. 392 del 1978 e n. 899 del 1986. Come è stato
detto più volte la compravendita in argomento non si sostanziava in una

compravendita conclusa a prezzo libero ma, piuttosto, in una compravendita
ad un prezzo individuato conformemente al parametro imposto da una norma.
Né è ragionevole pensare che l’indicazione dei motivi riportati nelle premesse
i quali chiarivano le necessità del comune e l’intenzione della società
venditrice a vendere per un certo importo comportava di per sé che il rinvio
.

(ormai accertato definitivamente, giusta la decisione di questa Corte del 2004

con la sentenza n. 2111, che il prezzo della vendita era stato determinato, dalle
parti, e di comune accordo, per rinvio) fosse mobile e non un rinvio fisso
perché, altrimenti,

tra i dati in rapporto non vi sarebbe

consequenzialità

necessaria.
3.= Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione
degli artt. 1339 e 1419 cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cpc.). Avrebbe
errato la Corte di Appello di Roma, secondo la ricorrente, non solo nella
qualificazione giuridica della fattispecie negoziale ma anche nell’aver
qualificato la fattispecie in esame quale ipotesi di sostituzione automatica di
clausola disciplinata dall’art. 1339 cod. civ. In realtà il nome corretto da
attribuire alla fattispecie contrattuale all’esame di questa Corte è “criterio di

determinazione del prezzo di cessione degli alloggi necessaria sopperire ad
.

,

esigenze abitative nei contratti privati influenzati da attività amministrative”.
La clausola di cui all’art. 5 del contratto che fissa il criterio di determinazione
12

*

,
non necessitava e non necessita di alcuna sostituzione automatica, in quanto
essa, per come è formulata non è difforme al prezzo tariffa imposta dalla

.

legge. Ciò che era errato fin dall’inizio, non era il contenuto della clausola
stima, semmai lo era il modus operandi della stima effettuata dall’acquirente
Comune. La Corte d’appello di Roma avrebbe parimenti errato, secondo la

ricorrente, nell’individuazione delle norme applicabili alla fattispecie :
nell’operare tale giudizio ha violato le norme di legge sottese con chiaro
travisamento della portata e funzione applicativa degli artt. 1399 e 1419 cod.
civ. travisando i contenuti della fattispecie negoziale e compiendo
un’inammissibile ricognizione “manipolatoria” dei suoi elementi costitutivi.
.

.

,

Non va poi trascurato che lo strumento codici-stico dell’inserzione automatica
di clausole(nulle) (art. 1339 cod. civ.) può avvenire solo ove tale sostituzione
sia espressamente prevista.

Parimenti abnorme — sempre secondo la

ricorrente- il richiamo della sentenza al secondo comma dell’art. 1419 cod.
civ. perché tale disposizione dispone che la nullità di singole clausole non
importa la nullità dell’intero contratto quando esse siano sostituite di diritto da
norme imperative con ciò presupponendo l’esistenza di norme imperative preesistenti alla conclusione del contratto che non siano state applicate.
Piuttosto, ritiene la ricorrente, la Corte avrebbe omesso di considerare il
disposto d cui al primo comma

all’art. 1419 secondo il quale la nullità

parziale delle clausole contrattuali invalide comporta la nullità del contratto se
risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo
contenuto colpita da nullità
.

3.1.= Anche questa censura non coglie nel segno e non può essere accolta

perché la Corte romana ha applicato correttamente i principi e la normativa di
13

4

1

cu agli artt. 1339 e 1419 cod. civ. In via preliminare va osservato che la
censura, in esame, in parte riprende censure già precedentemente esaminate e,
in relazione a queste, si rinvia a quanto è stato detto in precedenza.
Quanto invece alla censura relativa alla violazione o falsa applicazione degli
artt. 1339 e 1419 cod. civ . va qui osservato che —come più volte si è detto-

elemento essenziale e definitivo del contratto in argomento non era il corri sto

y ettivo come determinato, ma la norma di cui al n. 8 dell’art. 5 del Dlgs. N. 708
,

del \1986 convertito nella legge n. 899 del 1986 cui entrambe le parti facevano
rinvio ricettizio fisso. Come già si è avuto modo di dire —e come è stato
evidenziato

dalla

Corte

romana,

nonché

anche

dal

Tribunale,

la

compravendita in argomento, non si sostanziava in una compravendita
a

conclusa a prezzo libero ma, piuttosto, in una compravendita ad un prezzo
individuato conformemente al parametro imposto da una norma.

Di

conseguenza una quantificazione del prezzo che non avesse seguito
rigidamente l’iter di calcolo come tracciato dai criteri previsti dal Dlgs. N. 708
del \1986 convertito nella legge n. 899 del 1986, era indubitabilmente in
contrasto con la norma di legge, -e per quel che è stato già detto- con una
norma imperativa. Pertanto, la violazione di tale iter, comportando la
violazione di norme imperative determinava la sostituzione ai sensi degli artt.
1339 e 1419 cod. civ., della clausola nulla con la clausola imperativa.
In definitiva, il ricorso va rigettato e

la ricorrente, in ragione del principio

della soccombenza ex art. 91 cod. civ., condannata al pagamento delle spese
del presente giudizio di cassazione, così come verranno liquidate con il

dispositivo.
PQM
14

’97

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del presente giudizio di cassazione che liquida in E. 12.200,00 di cui E. 200,00
per esborsi oltre accessori come per legge.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della

Il Consigliere relatore

AA9

Corte Suprema di cassazione in data 15 ottobre 2013_

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