Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26982 del 05/10/2021

Cassazione civile sez. III, 05/10/2021, (ud. 27/04/2021, dep. 05/10/2021), n.26982

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29286/2019 proposto da:

T.I., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio

dell’avv.to PASQUALE PORFILIO, rappresentato e difeso dall’avv.to

CHIARA COSTAGLIOLA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto n. ruolo 1381/2019 emesso dal TRIBUNALE DI

CAMPOBASSO depositato in data 29/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/04/2021 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che:

T.I., cittadino della Nigeria, ha chiesto alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis);

a sostegno della domanda proposta, il ricorrente ha dedotto di essere fuggito dal proprio paese per il timore di essere ucciso a seguito di taluni scontri tra etnie verificatisi nei territori di provenienza;

la Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza;

avverso tale provvedimento T.I. ha proposto, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, ricorso dinanzi alla sezione specializzata, di cui al D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 1, comma 1, del Tribunale di Campobasso, che l’ha rigettato con decreto comunicato in data 29/8/2019;

a fondamento della decisione assunta, il tribunale ha evidenziato l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento delle forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto: 1) del difetto di attendibilità del racconto di vita del ricorrente; 2) della mancanza, nei territori di provenienza del ricorrente, di condizioni tali da integrare, di per sé, gli estremi di una situazione generalizzata di conflitto armato; 3) della mancata deduzione, da parte del ricorrente, di “specifici motivi per ottenere un permesso di natura umanitaria nei casi ora tassativamente previsti dalla legge”;

tale decreto è stato impugnato per cassazione da della provocazione con ricorso fondato su tre motivi d’impugnazione;

il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, per avere il tribunale erroneamente condotto l’esame sull’attendibilità del racconto di vita del ricorrente, in difformità ai criteri e al modello di valutazione normativamente stabiliti;

il motivo è infondato;

osserva al riguardo il Collegio come la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero richiedente l’accertamento dei presupposti per la protezione internazionale, mentre costituisce, di regola, un apprezzamento di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice del merito, è censurabile in cassazione, sotto il profilo della violazione di legge, in tutti casi in cui la valutazione di attendibilità non sia stata condotta nel rispetto dei canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante (così come formalmente descritti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);

detta valutazione di credibilità deve ritenersi inoltre censurabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01);

in particolare, varrà sottolineare come il giudice di merito, nel valutare la credibilità complessiva del richiedente asilo, ben potrà ritenere inattendibili le dichiarazioni rese da quest’ultimo sulla base del significato eloquente anche di una singola circostanza ritenuta di per sé assorbente rispetto alla considerazione di ogni altro elemento di valutazione, purché di detta circostanza se ne sottolinei – o ne emergano con evidenza – i caratteri di decisività, senza limitarsi al richiamo di formule di sintesi o di modelli argomentativi meramente stereotipati;

rimane in ogni caso fermo come la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non sia affidata alla mera opinione del giudice ma è il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nell D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui al D.Lgs. cit., art. 5, comma 3, lett. c)), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicché è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda, disancorandosi dal principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, mediante l’esercizio di poteri-doveri d’indagine officiosi e l’acquisizione di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, al fine di accertarne la situazione reale (cfr. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26921 del 14/11/2017, Rv. 647023 – 01);

nel caso di specie, fermo l’oggettivo rilievo della congruità logica del discorso giustificativo articolato nel provvedimento impugnato, varrà considerare come il ricorrente abbia propriamente omesso di circostanziare gli aspetti dell’asserita decisività della mancata considerazione, da parte del tribunale, delle occorrenze di fatto asseritamente dalla stessa trascurate, e che avrebbero al contrario (in ipotesi) condotto a una sicura diversa risoluzione dell’odierna controversia;

osserva il Collegio, al riguardo, come, attraverso le odierne censure, il ricorrente altro non prospetti se non una rilettura nel merito dei fatti di causa secondo il proprio soggettivo punto di vista, in coerenza ai tratti di un’operazione critica come tale inammissibilmente prospettata in questa sede di legittimità, dovendo in ogni caso ritenersi che la motivazione dettata dal giudice a quo a fondamento della decisione impugnata sia (non solo esistente, bensì anche) articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo giudice a quo dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, dei contenuti ascrivibili al racconto dell’odierno ricorrente e del grado della relativa attendibilità in conformità ai parametri di valutazione legalmente stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e sulla base di criteri interpretativi e valutativi dotati di piena ragionevolezza e congruità logica;

l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

con il secondo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere il tribunale trascurato di estendere le proprie valutazioni oltre il perimetro delle circostanze di fatto narrate dal richiedente nel corso del procedimento;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come, con riguardo al punto contestato, il ricorrente si sia limitato a una generica denuncia di trascuratezza istruttoria del tribunale, senza evidenziare i contenuti delle eventuali indagini ufficiose che il giudice avrebbe omesso di eseguire e che avrebbero, al contrario, condotto all’acquisizione di elementi di giudizio utili ai fini dell’accoglimento della domanda del ricorrente;

ciò posto, l’irriducibile genericità di una simile doglianza impedisce al Collegio di esercitare alcuna possibile valutazione, in ordine allo spessore critico della censura così avanzata, con il conseguente inevitabile rilievo della relativa inammissibilità;

con il terzo motivo, il ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione di legge, per avere il tribunale trascurato di esaminare gli elementi istruttori offerti dal ricorrente, ai fini della concreta verifica del proprio livello di integrazione nel contesto economico-sociale italiano, con particolare riferimento al rivendicato riconoscimento della protezione umanitaria;

il motivo è fondato;

al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02);

peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente (Sez. 1 -, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174 – 01);

nel caso di specie, il giudice a quo ha disatteso la domanda del ricorrente evidenziando la mancata indicazione, da parte di quest’ultimo, di “specifici motivi per ottenere un permesso di natura umanitaria nei casi ora tassativamente previsti dalla legge”, trascurando, da un lato, di riconoscere l’inapplicabilità (ratione temporis) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e disposizioni consequenziali (attesa la presentazione della domanda di riconoscimento della protezione internazionale dinanzi alla commissione territoriale competente in data anteriore al 5 ottobre 2018), dall’altro, di approfondire e circostanziare in ogni caso gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale ed esistenziale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte in relazione alle condizioni generali del paese di origine, indipendentemente da quanto attestato con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc.;

ciò posto, il discorso giustificativo in tal guisa elaborato dal giudice a quo deve ritenersi tale – al di là dell’assorbente rilievo riguardante la violazione delle norme che presiedono al riconoscimento della c.d. protezione umanitaria – da non integrare gli estremi di una motivazione adeguata sul piano del c.d. ‘minimo costituzionale’;

sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la fondatezza del terzo motivo (rigettato il primo e dichiarato inammissibile il secondo), dev’essere disposta la cassazione del provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio al Tribunale di Campobasso, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il terzo motivo; rigetta il primo; dichiara inammissibile il secondo; cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto, e rinvia al Tribunale di Campobasso, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2021

 

 

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