Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26979 del 05/10/2021

Cassazione civile sez. III, 05/10/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 05/10/2021), n.26979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32866/19 proposto da:

-) O.N.J., elettivamente domiciliato a Forlì, v.le

Giacomo Matteotti n. 115, difeso dall’avvocato Rosaria Tassinari in

virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna 3.9.2019 n.

2419;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6

ottobre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Rossetti Marco.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. O.N.J., cittadino nigeriano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 febbraio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di avere lasciato il proprio Paese in quanto ingiustamente accusato della morte della propria fidanzata, assassinata da ignoti. Aggiunse che i congiunti della vittima, ritenendolo responsabile, distrussero la sua casa e ferirono le sue sorelle.

3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza.

Avverso tale provvedimento O.N.J. propose, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ricorso dinanzi al Tribunale di Bologna, che la rigettò con ordinanza 14.6.2017.

Tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte d’appello di Bologna con sentenza 3.9.2019.

Quest’ultima ritenne che:

-) lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non potessero essere concessi per tre diverse ragioni:

a) il racconto del richiedente era inattendibile;

b) “la vicenda narrata ad oggetto l’accusa di omicidio, di natura prettamente giudiziale ed affatto indicativa di un fumus persecutionis diretto a colpire il richiedente per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un gruppo sociale o opinioni politiche”;

c) le censure mosse dall’appellante erano “generiche” in quanto “non dirette a contrastare gli argomenti del Tribunale;

– ) la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non potesse essere concessa, perché nel Paese d’origine del richiedente non esisteva una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato;

-) la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, non potesse essere concessa in quanto il richiedente non presentava alcun profilo di vulnerabilità.

4. Il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione da O.N.J. con ricorso fondato su tre motivi. Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la violazione da parte della Corte d’appello “del principio dell’onere della prova attenuato”.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto inattendibile il racconto del richiedente: e l’errore sarebbe consistito sia nell’avere omesso di valutare se il richiedente avesse compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; sia nell’avere omesso di considerare che piccole incongruenze del racconto non bastano, da sole, a ritenere inattendibile l’intera narrazione; sia nell’avere erroneamente ritenuto “vago e generico” il racconto del richiedente, il quale invece era sufficientemente dettagliato.

1.1. Il motivo è inammissibile perché privo di decisività.

La Corte d’appello, infatti, come già detto ha rigettato la domanda di asilo e quella di protezione sussidiaria per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, lett. a) e b), sulla base di tre diverse rationes decidendi:

l’inattendibilità del racconto, la genericità dell’appello, la natura personale dei fatti riferiti dal richiedente asilo.

Di queste tre rationes decidendi viene impugnata solo la prima, non le altre due.

2. Col secondo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di protezione sussidiaria per l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

Nella illustrazione del motivo il ricorrente sostiene, da un lato, che in alcune aree della Nigeria esiste effettivamente una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; e dall’altro lato che la Corte d’appello non avrebbe d’ufficio “proceduto all’effettiva individuazione della zona di provenienza del ricorrente, nonché ad un esame rigoroso dell’intervento delle autorità statuali in Nigeria sulle situazioni violenza diffusa”.

2.1. La prima delle suesposte censure è inammissibile, perché investe un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, quale è lo stabilire se in un determinato paese esista o non esista una condizione di guerra.

Nel caso di specie la Corte d’appello ha escluso tale condizione richiamando il contenuto di un rapporto EASO del novembre 2018 (la sentenza è stata deliberata il 28 maggio 2019 e pubblicata il 3 settembre 2019).

Il dovere di cooperazione istruttoria risulta quindi assolto, né è conforme a verità quanto riferito pagina 9 del ricorso, e cioè che la Corte d’appello avrebbe ricavato le sue informazioni da “dati relativi al 2017 e non aggiornati”.

Quanto alla doglianza secondo cui la Corte d’appello non avrebbe proceduto “all’effettiva individuazione della zona di provenienza del ricorrente”, la censura è infondata, in quanto la Corte d’appello a pagina 2, ultimo capoverso, afferma espressamente che il richiedente per sua stessa ammissione viveva a Benin City.

In ogni caso il dovere di cooperazione istruttoria cessa con riferimento all’individuazione della effettiva provenienza del richiedente asilo.

3. Col terzo motivo il ricorrente impugna il rigetto della domanda di protezione umanitaria.

Nella illustrazione del motivo si sostiene che l’errore della Corte d’appello sarebbe consistito nel non aver valutato il lavoro di volontariato svolto dal richiedente; il suo impegno nello studio della lingua italiana; alla comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del paese di provenienza.

3.1. Nella parte in cui prospetta il vizio di omesso esame del fatto decisivo il motivo è inammissibile ex art. 348 ter c.p.c.. Rileva comunque la Corte, ad abundantiam, che la censura sarebbe comunque inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto il ricorrente non indica da quali documenti risulterebbero i fatti trascurati dalla Corte d’appello, quando tali documenti siano stati prodotti in giudizio, e quale ne sia il contenuto.

Nella parte in cui lamenta la violazione di legge il motivo è inammissibile per più ragioni.

In primo luogo è inammissibile in quanto lo stabilire se una persona si trovi o non si trovi in una condizione di vulnerabilità costituisce un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, no censurabile in questa sede se non prospettando la violazione del dovere di cooperazione istruttoria, nella specie rispettato dal giudice di merito. In secondo luogo, la Corte d’appello ha ritenuto che nel caso di specie non sussisteva alcuna “specifica situazione di effettiva, stabile e significativa integrazione raggiunto in Italia”, e anche questo è un accertamento di fatto non sindacabile in sede. Ha osservato, a tal riguardo, la Corte d’appello che il richiedente è persona “di età matura e personalità formata, in buona salute, con solidi legami familiari in patria, appartenente ad una famiglia borghese ed economicamente in grado di garantire la difesa legale”.

Si tratta di valutazioni ragionevoli con le quali il ricorso non si confronta minimamente, limitandosi a ricopiare alla lettera nella illustrazione del motivo la motivazione di una sentenza di questa Corte (Cass. 6503/14), senza però farsi carico dell’effettivo contenuto della sentenza impugnata.

4. Non occorre provvedere sulle spese del presente giudizio, non essendovi stata difesa delle parti intimate.

P.Q.M.

La Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2021

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