Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26976 del 23/12/2016
Cassazione civile, sez. VI, 23/12/2016, (ud. 15/09/2016, dep.23/12/2016), n. 26976
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – rel. Presidente –
Dott. LOMBNARDO Luigi Giovanni – Consigliere –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2382-2015 proposto da:
D.M.L., D.M.F., elettivamente domiciliati in Roma,
via Valadier 43, presso lo studio dell’avvocato Giovanni Romano, che
li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,
elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso
l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per
legge;
– controricorrenti –
avverso decreto della Corte d’appello di Perugia, depositato il 16
giugno 2014;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15
settembre 2016 dal Presidente Dott. Stefano Petitti;
sentito l’Avvocato Egidio Lizza, per delega.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che con ricorso depositato il 3 luglio 2013 presso la Corte d’appello di Perugia, D.M.L. e D.M.F. chiedevano la condanna del Ministero della giustizia all’equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio iniziato dinnanzi al Tribunale di Velletri con citazione notificata il 23 marzo 2001 e definito con sentenza depositata il 28 novembre 2011;
che il consigliere designato rigettava la domanda, sul rilievo che dalla sentenza che aveva concluso il giudizio presupposto emergeva che gli attori non avevano rilasciato procura ai loro sedicenti difensori; che non erano quindi stati ritenuti parti del giudizio presupposto; che essi erano pertanto carenti di legittimazione con riferimento alla domanda di equa riparazione;
che avverso questo decreto D.M.L. e D.M.F. proponevano opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter;
che la Corte d’appello di Perugia, in composizione collegiale, rigettava l’opposizione, ritenendo che, in mancanza di impugnazione della sentenza emessa nel giudizio presupposto – con la quale era stata dichiarata la improponibilità delle domande formulate in quel giudizio per difetto di ius postulandi – fosse ormai incontestabile la detta circostanza;
che, dunque, a prescindere dalle ragioni che in concreto avevano determinato la pronuncia di improponibilità, doveva ritenersi certo che gli opponenti non avessero assunto la qualità di parte nel giudizio presupposto;
che, infine, la Corte d’appello, stante la palese infondatezza della opposizione, riteneva che non potesse essere accolta neanche la richiesta subordinata di revoca della sanzione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 5 quater;
che per la cassazione di questo decreto D.M.L. e D.M.F. hanno proposto ricorso affidato ad un unico motivo;
che il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso.
Considerato che con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti denunciano “violazione e/o falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e contestuale violazione dei principi di diritto elaborati nella giurisprudenza della CEDU, in relazione alla valutazione compiuta dai giudici di prime cure sul diritto dei ricorrenti di ottenere una equa riparazione per violazione del termine di ragionevole (durata) in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3”;
che i ricorrenti, richiamati i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di rapporti tra la Convenzione EDU e la L. n. 89 del 2001, sostengono la erroneità del decreto impugnato sul rilievo che essi erano comunque stati parte, sia pure in senso solo processuale, di un giudizio protrattosi irragionevolmente e conclusosi con una sentenza di rito, per la mancanza della procura al loro difensore;
che da ciò discendeva che essi erano stati certamente coinvolti nel giudizio presupposto, sicchè doveva trovare applicazione il principio affermato da Cass., S.U., n. 585 del 2014, secondo cui la tutela di cui alla L. n. 89 del 2001 è apprestata indistintamente a tutti coloro che sono coinvolti in un procedimento giurisdizionale, tra i quali non può non essere annoverata anche la parte non costituita in giudizio;
che, quindi, sostengono i ricorrenti, poichè nel caso di specie si era verificato un difetto di rappresentanza processuale, l’equa riparazione avrebbe dovuto essere loro riconosciuta proprio perchè, quanto meno in riferimento alla questione della sussistenza o no della procura, essi erano stati certamente parti in senso processuale del giudizio presupposto, come del resto era dimostrato dal fatto che essi avevano reso interrogatorio formale, così partecipando attivamente al processo stesso;
che, d’altra parte, concludono i ricorrenti, neanche poteva attribuirsi rilievo alla circostanza della mancata impugnazione della decisione in rito adottata dal tribunale di Velletri, atteso che essi avevano optato per la instaurazione di un nuovo giudizio in relazione alla medesima pretesa sostanziale;
che il ricorso è fondato;
che, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, “in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo, hanno diritto all’indennizzo tutte le parti coinvolte nel procedimento giurisdizionale, ivi compresa la parte rimasta contumace, nei cui confronti – non assumendo rilievo nè l’esito della causa, nè le ragioni della scelta di non costituirsi – la decisione è comunque destinata ad esplicare i suoi effetti e a cagionare, nel caso di ritardo eccessivo nella definizione del giudizio, un disagio psicologico, fermo restando che la contumacia costituisce comportamento idoneo ad influire – implicando od escludendo specifiche attività processuali – sui tempi del procedimento e, pertanto, è valutabile agli effetti della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2” (Cass., S.U., n. 585 del 2014);
che, dunque, non appare dubitabile che gli odierni ricorrenti debbano essere ritenuti parti, anche se solo limitatamente alle questioni inerenti alla esistenza della procura, del giudizio presupposto, conclusosi con una statuizione inerente esclusivamente la accertata inesistenza della procura;
che la Corte d’appello, limitandosi a rilevare la mancanza di procura nel giudizio presupposto, ha omesso di considerare che la questione della esistenza o no della procura ha costituito l’oggetto esclusivo della decisione assunta in quel giudizio, irragionevolmente protrattosi; che il ricorso va quindi accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato e con rinvio, per nuovo esame della opposizione ex art. 5-ter, alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione; che al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Perugia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte suprema di cassazione, il 15 settembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2016