Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26975 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/11/2020, (ud. 23/09/2020, dep. 26/11/2020), n.26975

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentato e difeso.

– ricorrente –

contro

GI.MA. SIDERURGICA IRPINIA s.r.l., in liquidazione;

– intimata –

per la cassazione della sentenza n. 282/5/13 della Commissione

tributaria regionale della Campania-sez. di Salerno, depositata il

19 settembre 2013.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23 settembre 2020 dal relatore Cons. Roberta Crucitti.

 

Fatto

RILEVATO

che:

nella controversia originata dall’impugnazione da parte della Gi.MA. Siderurgica Irpina s.r.l., in liquidazione, dell’avviso di accertamento con il quale, ai fini dell’IRES, dell’IRAP e dell’IVA dell’annualità 2008, era stata rettificata, con il metodo induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, la dichiarazione presentata dalla Società, essendosi constatato che il costo del venduto era superiore ai ricavi, la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.) con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma della decisione di primo grado, annullava l’atto impositivo impugnato relativamente all’IRES e all’IRAP, confermandolo per il resto;

in particolare, la C.T.R., confermato il rilievo attinente al mancato versamento dell’IVA, per le altre imposte riteneva che l’accertamento fosse illegittimo in quanto l’Ufficio aveva collegato i ricavi omessi, prendendo in considerazione quelli di riferimento dello studio di settore, senza alcun contraddittorio con la contribuente, e con applicazione di una percentuale di ricarico non commisurata alla realtà economica della Società e senza tenere conto degli sconti praticati alla merce venduta in conseguenza dello stato di liquidazione.

Per la cassazione della sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso, affidato a tre motivi.

La Società non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso -rubricato:violazione e/o falsa applicazione di legge: ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39; ai sensi del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 bis e art. 62 sexies, comma 3, (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)- si deduce la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la C.T.R. nel ritenere che, nel caso quale quello in esame, di accertamento induttivo fondato non soltanto sulle mere risultanze dello studio di settore ma su una gestione imprenditoriale illogica e antieconomica, fosse necessario instaurare un preventivo contraddittorio con il contribuente.

1.1 La censura è fondata. Come da autorevole insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Sez.U. n. 24823 del 9/12/2015) “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito”.

2. Con il secondo motivo di ricorso si censura il capo di sentenza con il quale la C.T.R. ha ritenuto l’illegittimità dell’atto impositivo impugnato perchè l’Ufficio aveva applicato una percentuale di ricarico non commisurata alla realtà economica della società e non avrebbe tenuto conto degli sconti praticati alla merce venduta in conseguenza dello stato di liquidazione. Secondo la prospettazione difensiva con tale argomentazione la C.T.R. avrebbe violato gli artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e gli artt. 2727,2729 e 2697 c.c. giacchè l’antieconomicità della gestione in perdita, per costante giurisprudenza, dà corpo ad una presunzione relativa di evasione e l’onere di dimostrare l’effettività della perdita era a carico della contribuente, mentre la C.T.R. avrebbe deciso su mere allegazioni della parte prive di riscontro probatorio.

2.1. La censura è fondata. Costituisce principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. n. 14941 del 14/06/2013 ribadita, di recente, da Cass. n. 25257 del 25/10/2017) quello per cui “nel giudizio tributario, una volta contestata dall’Erario l’antieconomicità di una operazione posta in essere dal contribuente che sia imprenditore commerciale, perchè basata su contabilità complessivamente inattendibile, in quanto contrastante con i criteri di ragionevolezza, diviene onere del contribuente stesso dimostrare la liceità fiscale della suddetta operazione, ed il giudice tributario non può, al riguardo, limitarsi a constatare la regolarità della documentazione cartacea. Infatti, è consentito al fisco dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere minori costi, utilizzando presunzioni semplici e obiettivi parametri di riferimento, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente, che deve dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate a fronte della contestata antieconomicità”.

2.2. Nel caso in esame, l’Ufficio aveva posto a fondamento dell’avviso di accertamento impugnato non solo lo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli risultanti dallo studio di settore ma altresì l’antieconomicità della gestione imprenditoriale palesata da ricavi di gran lunga inferiori ai costi e dal ripetersi, nelle dichiarazioni presentate dal 2003 al 2009, di costanti e rilevanti perdite di esercizio, indicative di un andamento commerciale costantemente negativo nel corso degli anni.

A fronte di tale quadro presuntivo, legittimamente fondante l’atto impositivo, la Società, sulla quale gravava il corrispondente onere, non ha fornito alcuna prova di segno contrario. Conseguentemente l’argomentazione della C.T.R., oggetto di censura, viola palesamente la normativa di riferimento, come interpretata da questa Corte, laddove il Giudice di appello ha ritenuto che la percentuale di ricarico applicata non fosse commisurata alla realtà economica della Società (in liquidazione) e ha dato rilevanza ad una circostanza di per sè non significativa, anche per la sua genericità, quali gli sconti praticati sulla merce venduta, rilevati dalla Guardia di finanza.

3 L’accoglimento del motivo assorbe l’esame del terzo formulato in subordine.

4 In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono, in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al Giudice di merito affinchè provveda al riesame, adeguandosi ai superiori principi, e regoli le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania – sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

 

 

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