Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2697 del 05/02/2020

Cassazione civile sez. I, 05/02/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 05/02/2020), n.2697

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26574/2018 proposto da:

I.J., rappresentato e difeso dall’avvocato Angelini Enrico,

giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

27/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

01/10/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 4722/2018 depositato il 27-08-2018 il Tribunale di Venezia ha respinto il ricorso di I.J., cittadino del Bangladesh, avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Il Tribunale ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dal richiedente, il quale riferiva di essere fuggito perchè minacciato da persone con cui aveva contratto, per affrontare spese familiari, dei debiti che non era stato in grado di onorare. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Bangladesh, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

3. il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 4, lett. c (rischio di danno grave per violenza generalizzata) in relazione all’art. 360, n. 3”.

2. Con il secondo motivo lamenta “Violazione e/o falsa applicazione art. 4, par. 1, della direttiva 2004/83 (dovere di collaborazione) in relazione all’art. 2697 c.c., art. 360, n. 4”. Nell’illustrare congiuntamente i primi due motivi, deduce il ricorrente che è notoria la situazione del Bangladesh e il Tribunale ha travisato le informazioni tratte dalle fonti ufficiali e non ha esercitato i poteri-doveri istruttori ufficiosi.

3. Con il terzo motivo lamenta “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

4. Con il quarto motivo lamenta “Omesso esame di fatti decisivi anche in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per aver ritenuto non possibile valutare i fatti allegati come elementi utili per giungere all’affermazione di necessità di concedere il permesso di soggiorno per protezione umanitaria”. Nell’illustrare congiuntamente i motivi terzo e quarto, deduce il ricorrente che la vicenda personale narrata integra condizione di vulnerabilità in base ai principi affermati da questa Corte come da sentenze che richiama.

5. Con il quinto motivo lamenta “Nullità della sentenza e/o del procedimento, per violazione del potere-dovere officioso del Giudice di acquisire informazioni e documenti rilevanti, in base al diritto vivente di questa S.C. (Cass. Sez. Un. 27310/2008), al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e alla Dir. 2004/83/CE, nonchè dell’art. 101 c.p.c., comma 2, rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avendo il Tribunale rigettato le domande nonostante la presenza di dubbi sulla ricostruzione di quanto riferito dal ricorrente senza svolgere accertamenti d’ufficio nè svolgere l’audizione dell’interessato come pure richiesto”. Ribadisce nuovamente che nel caso di specie sussiste la violazione del dovere di cooperazione istruttoria sulla situazione del Bangladesh e che la decisione impugnata era basata solo sul giudizio di credibilità. In caso di ritenuta infondatezza del primo e quinto motivo di ricorso chiede di sollevare “questione di legittimità costituzionale, ovvero rimettere la questione alla Corte di Giustizia dell’U. E., della normativa nella parte in cui consente al giudice adito avverso la decisione di rigetto della commissione di rigettare la domanda sul solo presupposto di non credibilità” (pag. n. 8 ricorso).

6. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto le doglianze, sotto distinti ma collegati profili, involgono il giudizio di credibilità della vicenda personale narrata dal ricorrente e la valutazione della situazione del Paese di provenienza, anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

6.1. Quanto al giudizio di credibilità, questa Corte ha chiarito che “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (Cass. ord. n. 3340/2019). Inoltre il giudice del merito, nel valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in base ai parametri dettati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c), deve attenersi anche a comuni canoni di ragionevolezza e a criteri generali di ordine presuntivo, non essendo di per sè solo sufficiente a fondare il giudizio di credibilità il fatto che la vicenda narrata sia circostanziata. L’art. 3 citato, infatti, obbliga il giudice a sottoporre le dichiarazioni del richiedente, ove non suffragate da prove, non soltanto ad un controllo di coerenza interna ed esterna, ma anche ad una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda (da ultimo Cass. n. 21142/2019; Cass. n. 20580/2019). La suddetta verifica è sottratta al controllo di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Una volta esclusa dal Giudice territoriale, con apprezzamento di fatto incensurabile e con motivazione adeguata, la credibilità delle vicende personali narrate, non ricorrono i presupposti per il riconoscimento del rifugio politico e della protezione sussidiaria di cui all’art. 14, lett. a) e lett. b), D.Lgs. cit., in cui rileva, se pure in diverso grado, la personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. n. 16275/2018). Non vi è infatti ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi sono finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della non credibilità della narrazione del richiedente, non è possibile poi rapportare alla vicenda personale di questo. In casi siffatti, una indagine nel senso indicato si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome riferito a fatti non dimostrati, difetterebbe comunque di concretezza e non potrebbe mai presentare il richiesto grado di personalizzazione (Cass. n. 16925/2018 e Cass. n. 14283/2019).

4.2. Nel caso di specie, il ricorrente deduce genericamente la violazione di norme di legge, attraverso il richiamo alle disposizioni che assume disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta, quanto al giudizio di non credibilità, difforme, inammissibilmente, da quella accertata nel giudizio di merito. Il Tribunale ha ritenuto inattendibile la vicenda narrata, circa le minacce rivolte al ricorrente dai suoi creditori, giustificandone, seppur sinteticamente, le ragioni, ed in ogni caso ha ritenuto insussistente il rischio di danno grave paventato.

Non ricorre, pertanto, il vizio motivazionale denunciato, da valutarsi secondo i criteri statuiti dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U.n. 3084/2014), e neppure quello di violazione di legge.

4.3. Quanto alla domanda di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, non censurabile in sede di legittimità al di fuori dei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 32064 del 2018 e Cass. n. 30105 del 2018).

Nel caso di specie il Giudice territoriale, con motivazione adeguata e con indicazione delle fonti di conoscenza, ha analizzato la situazione politica e generale del Paese ed ha escluso l’esistenza di una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata nella zona di origine del ricorrente, sicchè non ricorrono i vizi denunziati, essendo stati compiutamente esercitati i poteri istruttori ufficiosi.

4.4. Con riguardo alla statuizione di diniego della protezione umanitaria, il ricorrente, nel denunciare il vizio di violazione di legge ed omesso esame di fatti decisivi, svolge doglianze totalmente generiche, con riferimento sia alla dedotta situazione di vulnerabilità soggettiva, sia alla situazione del Bangladesh, senza neppure specificare quali siano i fatti decisivi non esaminati. In buona sostanza il ricorrente sollecita un’inammissibile rivalutazione degli accertamenti di fatto effettuata dai Giudici di merito, che hanno, con adeguata motivazione, escluso, nel caso concreto, la sussistenza di fattori di vulnerabilità soggettiva ed oggettiva, anche mediante descrizione della situazione generale del Paese di origine del richiedente, con indicazione delle fonti di conoscenza. Circa la richiesta, in caso di ritenuta infondatezza del primo e quinto motivo di ricorso, di sollevare “questione di legittimità costituzionale, ovvero rimettere la questione alla Corte di Giustizia dell’U. E., della normativa nella parte in cui consente al giudice adito avverso la decisione di rigetto della commissione di rigettare la domanda sul solo presupposto di non credibilità” (pag.n. 8 ricorso), va osservato che il diniego delle misure di protezione, sussidiaria (art. 14, lett. c) e umanitaria, non è dipeso esclusivamente dalla valutazione di non credibilità, ma dall’esame delle informazioni sulla situazione generale del Paese di origine e dallo scrutinio sulla vulnerabilità del richiedente, anche in base alle sue allegazioni, sicchè le questioni prospettate difettano di rilevanza, nella specie.

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, nulla dovendosi disporre circa le spese del presente giudizio, essendo rimasto intimato il Ministero.

6. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2020

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