Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26969 del 23/12/2016


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Cassazione civile, sez. VI, 23/12/2016, (ud. 05/10/2016, dep.23/12/2016),  n. 26969

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5638-2015 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO

BAIAMONTI, 4, presso lo studio dell’avvocato ANDREA LIPPI, che lo

rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato

GIANPIETRO ANELLO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, emesso il

16/12/2013 e depositato il 09/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ELISA PICARONI;

udito l’Avvocato Andrea Lippi, per il ricorrente, che si riporta agli

atti.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto che la Corte d’appello di Roma, con decreto depositato il 9 luglio 2014, ha accolto il ricorso proposto in data 24 settembre 2009 da A.S. nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, per il riconoscimento del danno non patrimoniale e patrimoniale da irragionevole durata del giudizio promosso a suo carico dalla Procura della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, con citazione in data 8 ottobre 1994 e concluso con sentenza di assoluzione in data 24 marzo 2009;

che, stimata in cinque anni la durata ragionevole del giudizio presupposto in ragione della particolare complessità, la Corte d’appello ha riconosciuto per l’eccedenza, pari ad anni 9 e mesi 5, la somma di Euro 9.00,00, a titolo di danno non patrimoniale, con interessi dalla pronuncia al saldo;

che la stessa Corte ha ritenuto non provato il nesso causale tra la durata del giudizio presupposto e la patologia da stress, con sindrome nevrotico-depressiva, nonchè le ricadute sulla vita familiare e professionale, allegata dal ricorrente;che, per la cassazione del decreto, ha proposto ricorso A.S. sulla base di due motivi;

che il Ministero dell’economia e delle finanze non ha svolto difese.

Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata;

che con il primo motivo è denunciato vizio di motivazione e violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 132 c.p.c., art. 111 Cost., e si contesta l’omessa valutazione del fatto decisivo costituito dalla documentazione medica allegata al ricorso per equa riparazione, che l’Amministrazione resistente non aveva specificamente contestato, con la conseguenza che la ritenuta “mancanza di elementi concreti di valutazione” concretava una ipotesi paradigmatica di motivazione apparente;

che la doglianza è infondata sotto tutti i profili dedotti;

che questa Corte ha chiarito da tempo che il danno biologico che si assuma derivare dalla durata eccessiva del giudizio non può ritenersi presuntivamente sussistente come voce autonoma (ed ulteriore rispetto al paterna d’animo e alla sofferenza morale normalmente insiti nell’accertamento che il processo non si è concluso nei termini fisiologici), essendo necessaria la prova dell’esistenza del pregiudizio alla salute, fisica o psichica, e del nesso di causalità tra l’irragionevole durata del processo e il danno (Cass., sez. 2, sent. n. 14636 del 2012; Cass., sez. 1, sent. n. 6294 del 2007);

che, nel caso in esame, la Corte d’appello ha fatto applicazione del principio richiamato, ed ha escluso il risarcimento del danno biologico per carenza di prova del nesso causale, specificando non vi erano elementi concreti di valutazione dai quali desumere il rapporto diretto ed immediato tra la durata della vicenda processuale e la patologia allegata dal ricorrente;che non sussiste, all’evidenza, il vizio di omessa pronuncia e neppure l’omesso esame del fatto decisivo, non essendo in tal senso rilevante la mancata specifica disamina del contenuto della produzione documentale della parte (ex plurimis, Cass., Sez. U, sent. n. 8053 del 2014), mentre la doglianza si risolve nella sollecitazione di un riesame dell’accertamento in fatto, che è precluso in questa sede;

che con il secondo motivo è denunciata violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, artt. 1173, 1223, 1224 e 2056 c.c., e si contesta la statuizione sulla decorrenza degli interessi, che la Corte d’appello ha riconosciuto a far tempo dalla decisione anzichè dalla domanda di equa riparazione; che la doglianza è fondata;

che dal carattere indennitario dell’obbligazione ex lege n. 89 del 2001 discende che gli interessi legali, ove richiesti, decorrono dalla data della domanda di equa riparazione (ex plurimis, e da ultimo, Cass., sez. 6-2, sent. n. 15732 del 2016);

che il ricorso va accolto limitatamente al secondo motivo e, non essendo necessari accertamenti di fatto, questa Corte può procedere nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, e per l’effetto riconoscere gli interessi legali sull’importo come liquidato, a decorrere dalla data della domanda di equa riparazione;che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo motivo, cassa il decreto impugnato relativamente al motivo accolto e, decidendo nel merito, riconosce al ricorrente gli interessi legali sull’importo di Euro 9.000,00 dalla data della domanda di equa riparazione. Condanna il Ministero dell’economia e delle finanze alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta civile – 2 della Corte suprema di Cassazione, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2016

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