Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26967 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/11/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 26/11/2020), n.26967

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16923/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EUROVITA ASSICURAZIONI s.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa, per procura speciale in atti,

dall’Avv. Francesco Falcitelli, con domicilio eletto presso lo

studio quest’ultimo, CDG Studio legale e tributario, in Roma, via

Gian Giacomo Porro n. 8;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dei Lazio,

n. 72/22/13, depositata il 4 marzo 2013 e notificata l’8 maggio

2013;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 settembre

2020 dal Consigliere Dott. Michele Cataldi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Eurovita Assicurazioni s.p.a., esercente attività di assicurazione e riassicurazione, nell’anno d’imposta 2003, ha alienato obbligazioni che aveva acquistato nel 1998, conseguendo una minusvalenza civilistica ed una minusvalenza fiscale (data dalla differenza tra l’ultimo costo fiscalmente riconosciuto delle obbligazioni negoziate ed il prezzo di cessione delle stesse).

Nel Modello Unico 2004, relativo alla dichiarazione dei redditi del 2003, la società non deduceva tale minusvalenza fiscale e quindi non la considerava (nei limiti della differenza tra quella fiscale e quella civilistica) al fine della diminuzione dell’imponibile dell’Irpeg e della determinazione del valore della produzione per il computo dell’Irap. Riteneva la contribuente che, ove avesse invece computato la predetta minusvalenza, ne sarebbe derivato a suo favore, relativamente all’anno d’imposta 2003, un maggior credito sia Irpeg che Irap, oltre che un minor utilizzo di perdite fiscali pregresse, che la contribuente avrebbe potuto portare a nuovo e scomputare dall’imponibile dell’anno d’imposta successivo (il 2004), quale liquidato nella dichiarazione Modello Unico 2005.

Non essendo più nei termini per la dichiarazione rettificativa, la società presentava quindi due istanze di rimborso, una relativa al maggior credito Irpeg ed Irap, che le sarebbe spettato per le predette ragioni per l’anno d’imposta 2003, oltre agli interessi; l’altra avente ad oggetto la restituzione della somma versata in eccesso, per i suddetti motivi, rispetto alla minor imposta Ires dovuta sull’imponibile di cui all’anno d’imposta 2004.

Non avendo l’Agenzia provveduto sulle due istanze, la contribuente, per quanto qui interessa, ha proposto ricorso dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma avverso il silenzio-rifiuto maturato sulla domanda di rimborso della maggior Irpeg e della maggior Irap versate, ma non dovute, relativamente all’anno d’imposta 2003.

L’adita CTP ha accolto il ricorso.

2. L’Ufficio ha impugnato la sentenza di primo grado e l’adita Commissione tributaria regionale del Lazio, con la sentenza n. 72/22/13, depositata il 4 marzo 2013, ha rigettato l’appello.

3. L’Ufficio ha allora proposto ricorso, affidato ad un motivo, per la cassazione della predetta sentenza d’appello.

4. La società contribuente si è costituita con controricorso ed ha depositato memoria tardiva, quindi inammissibile.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo l’Ufficio ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione del D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 1, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. 22 novembre 2002, n. 265. Secondo l’Agenzia, infatti, il giudice a quo (come già quello di primo grado) avrebbe errato nell’escludere che la deducibilità fiscale della minusvalenza in questione fosse preclusa dalla mancata comunicazione della stessa da parte della contribuente, come imponeva invece il D.L. n. 209 del 2002, predetto art. 1, comma 4, il quale così dispone: ” Relativamente alle minusvalenze di ammontare complessivo superiore a cinque milioni di Euro, derivanti da cessioni di partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie realizzate, anche a seguito di più atti di disposizione, a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, il contribuente comunica all’Agenzia delle entrate i dati e le notizie necessari al fine di consentire l’accertamento della conformità dell’operazione di cessione con le disposizioni del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37-bis. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, emanato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabiliti i dati e le notizie oggetto di comunicazione, nonchè’ le procedure e i termini della stessa. In caso di comunicazione omessa, incompleta o infedele, la minusvalenza realizzata è fiscalmente indeducibile. (…)”.

A sua volta, l’art. 1, comma 1, del conseguente provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 22 maggio 2003 così statuisce: ” Con riferimento alle cessioni di partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie e alle operazioni ad esse equiparabili effettuate, anche a seguito di più atti di disposizione, a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del D.L. 24 settembre 2002, n. 209, il contribuente che intende dedurre le relative minusvalenze di ammontare complessivo superiore a 5 milioni di Euro comunica i dati e le notizie di cui al successivo comma 3, nonchè i documenti di cui al successivo comma 4, alla direzione regionale competente in relazione al proprio domicilio fiscale mediante consegna o spedizione a mezzo del servizio postale in plico raccomandato e con avviso di ricevimento.”.

Secondo l’Ufficio ricorrente, per effetto di tali disposizioni, l’obbligo di comunicazione, al fine della deducibilità, riguarderebbe non soltanto le minusvalenze derivanti dalla cessione di “partecipazioni” che costituiscono immobilizzazioni finanziarie realizzate, ma anche le minusvalenze conseguenti (come nel caso di specie) alla cessione di obbligazioni.

Non sarebbe decisiva, secondo l’Amministrazione ricorrente, la differenza civilistica, valorizzata dalla CTR, tra il concetto di “partecipazione” e quello di “obbligazione”, rilevando piuttosto il riferimento, contenuto nel D.L. n. 209 del 2002, art. 1, comma 4, alle “immobilizzazioni finanziarie realizzate”, categoria nella quale, ai fini fiscali, andrebbero iscritte anche le obbligazioni. Le quali, aggiunge l’Ufficio, sono infatti comprese, quali “crediti” o “altri titoli”, unitamente alle “partecipazioni”, dall’art. 2424 c.c. nella voce “Immobilizzazioni finanziarie” dello stato patrimoniale.

Premessa dunque l’estensione dell’obbligo di comunicazione, secondo l’Agenzia ricorrente, anche alle minusvalenze derivanti dalla cessione di obbligazioni, ed essendo incontestata l’omissione di tale adempimento da parte della società, con conseguente indeducibilità della componente negativa non comunicata preventivamente all’Ufficio, il giudice a quo avrebbe dovuto accogliere l’appello erariale e, in riforma della sentenza di primo grado, rigettare nel merito il ricorso introduttivo della contribuente, non sussistendo il diritto di credito oggetto della domanda di rimborso di quest’ultima.

2. Il motivo è infondato ed il ricorso va rigettato.

Invero, va premesso che è pacifico tra le parti (nessuna delle quali ha infatti sostenuto il contrario) che, nel caso di specie, non si verte in tema di applicazione dell’obbligo di comunicazione delle minusvalenze, e dell’indeducibilità di queste ultime nel caso della relativa omissione, di cui al D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 5-quinques (convertito dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, e seguito dal provvedimento direttivo del 29 marzo 2007), che ha espressamente per oggetto le operazioni realizzate a decorrere dal primo periodo d’imposta cui si applicano le disposizioni del D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, ovvero dall’1.1.2004, mentre la minusvalenza sub iudice deriva, come concordemente indicato dai contendenti, da cessione di obbligazioni avvenuta nel corso del 2003.

Pertanto, la controversia si esaurisce nell’interpretazione del D.L. n. 209 del 2002, art. 1, comma 4, e del conseguente provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 22 maggio 2003, art. 11, comma 1, che introducono l’obbligo di comunicazione delle minusvalenze, e le conseguenze della sua violazione, applicabili ratione temporis.

L’indagine deve essere naturalmente compiuta ai sensi dell’art. 12 preleggi, il cui comma 1 detta il criterio principale secondo il quale ” Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.”.

Ebbene, nel caso di specie, il D.L. n. 209 del 2002, art. 1, comma 4, nel dettare l’obbligo di comunicazione, contiene un riferimento letterale inequivocabile alle sole minusvalenze, di ammontare complessivo superiore a cinque milioni di Euro, “derivanti da cessioni di partecipazioni”.

La pretesa dell’Amministrazione ricorrente di sterilizzare, nella lettura della norma in questione, l’esplicita menzione delle “partecipazioni”, esaltando piuttosto unicamente il richiamo alle “immobilizzazioni finanziarie realizzate”, non è, innanzitutto, coerente con il dato testuale, nel quale le minusvalenze da cessione da comunicare, a pena d’indeducibilità, sono individuate non con riferimento all’intero genus “immobilizzazioni finanziarie realizzate”, ma alla species “partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie realizzate”, essendo quindi evidente che il criterio selettivo prescelto dal legislatore è quello relativo alla cessione delle “partecipazioni”, la cui esplicita previsione non avrebbe altrimenti alcun senso logico.

Del resto, è la stessa norma civilistica invocata dall’Ufficio a sostegno della propria tesi che conferma come le “partecipazioni”, di cui all’art. 2424 c.c., comma 1, III, n. 1, (anche nella versione antecedente alla novella di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 1), siano, all’interno del genere “Immobilizzazioni finanziarie”, una specie di componenti dello stato patrimoniale distinta da quella dei “crediti” e degli “altri titoli” di cui ai successivi nn. 2 e 3 della medesima disposizione.

Pertanto (fermo restando che la mera comune inclusione delle partecipazioni e delle obbligazioni, condivisa con altri cespiti, nello stato patrimoniale civilistico, sarebbe comunque indifferente rispetto alla questione sub iudice) l’art. 2424 c.c., pur invocato dal ricorrente Ufficio a sostegno della propria tesi, depone semmai per una conferma della specifica rilevanza selettiva del termine “partecipazioni”, utilizzato dal legislatore nel D.L. n. 209 del 2002, art. 1, comma 4.

Più in generale – così come rilevato, per quanto sinteticamente, nella motivazione della sentenza impugnata- deve rilevarsi che le obbligazioni sono oggetto di una disciplina civilistica (di cui agli artt. 2410 ss. c.c., già prima della riforma ex D.Lgs. n. 6 del 2003) distinta da quella delle partecipazioni, e caratterizzata, a grandi linee, dalla loro funzione di “finanziamento” (essendo emesse a fronte di versamenti di denaro e dando luogo ad un conseguente obbligo di restituzione del relativo importo, con remunerazione che non dipende integralmente dalla partecipazione ai risultati economici dell’emittente); ma non “partecipativa” (non attribuendo ai loro portatori poteri di intervento nella gestione della società).

Pertanto, già nell’ambito civilistico non trova fondamento quell’indistinta comunanza di concetti, tra “partecipazioni” ed “obbligazioni”, sulla quale pare basarsi l’interpretazione della ricorrente Amministrazione. Allo stesso modo, nell’ambito fiscale, il legislatore, ai fini delle imposte dirette, con il D.Lgs. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 44, tiene distinte le obbligazioni ed i titoli ad esse similari (che contengono l’obbligazione incondizionata di pagare alla scadenza una somma non inferiore a quella in essi indicata, con o senza la corresponsione di proventi periodici, e che non attribuiscono ai possessori alcun diritto di partecipazione diretta o indiretta alla gestione dell’impresa emittente o dell’affare in relazione al quale siano stati emessi, nè di controllo sulla gestione stessa) dalle azioni e dai titoli e dagli strumenti finanziari similari (la cui remunerazione è costituita totalmente dalla partecipazione ai risultati economici della società emittente o di altre società appartenenti allo stesso gruppo o dell’affare in relazione al quale i titoli e gli strumenti finanziari sono stati emessi).

A conforto ulteriore dell’interpretazione letterale del dato testuale del D.L. n. 209 del 2002, art. 1, comma 4, e della conseguente limitazione dell’obbligo di comunicazione delle sole minusvalenze derivanti da cessione di partecipazioni, deve considerarsi poi l’intenzione del legislatore, così come risulta dalla relazione illustrativa al relativo disegno di legge, nella quale, a proposito del comma 4 che ci occupa, si fa riferimento esclusivo all’introduzione dell’obbligo di comunicazione ” per coloro che, nell’esercizio di impresa, hanno posto in essere cessioni di partecipazioni costituenti immobilizzazioni finanziarie dalle quali sono derivate minusvalenze di importo complessivo superiore a 10.000.000 di Euro”.

Pertanto – per quanto esigenze di controllo, in funzione antielusiva, potessero porsi anche con riferimento ad altre operazioni generatrici di minusvalenze – il legislatore, con la norma applicabile ratione temporis al caso di specie, intendeva soddisfare, tramite lo specifico strumento dell’obbligo della comunicazione e dell’indeducibilità nel caso del suo inadempimento, proprio quelle necessità di controllo delle minusvalenze derivanti dalle “cessioni di partecipazioni” costituenti immobilizzazioni finanziarie, e non di qualsiasi altra specie di tali immobilizzazioni.

Tutto ciò premesso sul D.L. n. 209 del 2002, art. 1, comma 4, occorre chiedersi se debba giungersi a conclusione diverse per effetto della sopravvenienza del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 22 maggio 2003, cui la stessa norma aveva demandato di stabilire “i dati e le notizie oggetto di comunicazione, nonchè’ le procedure e i termini della stessa.”.

Infatti, l’art. 1 del provvedimento definisce il contenuto e le forme della comunicazione in questione riferendosi ” alle cessioni di partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie e alle operazioni ad esse equiparabili effettuate, anche a seguito di più atti di disposizione, a decorrere dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del D.L. 24 settembre 2002, n. 209″.

Invero l’espressione testuale “operazioni ad esse equiparabili”, collegata a quelle “cessioni di partecipazioni”, lascia intendere, in senso letterale, che la disposizione intendeva creare una possibile equiparazione, ai fini dell’obbligo di comunicazione, tra il negozio di cessione delle partecipazioni ed altri strumenti negoziali, le “operazioni”, che, pur non assumendo espressamente la forma della cessione, realizzassero nella sostanza, eventualmente “anche a seguito di più atti di disposizione “, il medesimo risultato traslativo di partecipazioni. L’equiparazione riguarda, quindi, lo strumento attraverso il quale si realizza il trasferimento, ma non anche l’oggetto di esso, che rimane necessariamente la partecipazione.

Tale interpretazione – che peraltro appare coerente con una disposizione dalla dichiarata finalità di incrementare il controllo su operazioni elusive, sovente realizzate indirettamente attraverso operazioni collegate o effetti indiretti o simulati di negozi tipici- è conforme a quella sostenuta dalla stessa Amministrazione finanziaria in diversi atti dalla prassi, menzionati da ambedue le parti, nei quali le minusvalenze da comunicare sono individuate costantemente con riferimento alla cessione di “partecipazioni”.

Così, ancor prima dell’emanazione del provvedimento de quo, la circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 7/E del 5 febbraio 2003 (pagg. 62 ss.), secondo la quale “La comunicazione di cui al D.L. 24 settembre 2002, n. 209, art. 1, comma 4, così come convertito dalla L. 22 novembre 2002, n. 265, deve essere effettuata da parte del contribuente allorquando si realizzino minusvalenze, di ammontare complessivo superiore a 5.000.000 di Euro, derivanti da cessioni di partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie. Ciò che rileva, ai fini di tale norma, è la originaria o preventiva iscrizione delle partecipazioni tra le immobilizzazioni finanziarie, a prescindere dalla circostanza, come nella fattispecie rappresentata, che le partecipazioni oggetto di cessione siano successivamente riclassificate ed inserite nell’attivo circolante.”.

Nello stesso senso, sempre prima del provvedimento direttoriale, la risoluzione n. 72/E del 25 marzo 2003 dell’Agenzia, nella quale, a proposito del D.L. n. 209 del 2002, art. 1, si legge (pag. 3) l’esplicita premessa che ” La ratio sottesa all’intervento legislativo in commento, così come emerge anche dalla circolare n. 85/E del 26/11/2002 dell’Agenzia delle Entrate, è chiaramente di natura antielusiva, atteso che il legislatore si è preoccupato, tra l’altro, di eliminare gli effetti svalutativi connessi alla diminuzione del patrimonio netto della partecipata allorchè la svalutazione venga effettuata in assenza di una perdita durevole della partecipata stessa.”.

E, muovendo da tale dato, si aggiunge (pagg. 3 ss.) che ” Stesso discorso, cioè di stretta interpretazione letterale, va fatto in relazione al medesimo articolo, successivo comma 4, laddove, in riferimento alle minusvalenze realizzate a seguito di cessione delle partecipazioni occorre far riferimento ancora una volta alle sole partecipazioni che costituiscono “immobilizzazioni finanziarie”. E’ fondamentale, quindi, in un caso e nell’altro, esclusivamente la classificazione civilistica delle partecipazioni nel bilancio della società ai fini dell’applicazione della suddetta normativa (…) per immobilizzazioni finanziarie si intendono quelle partecipazioni costituenti un investimento duraturo, finalizzato cioè ad un loro impiego in un arco di tempo pluriennale e tale da far presumere un rapporto di controllo o di collegamento con la società partecipata. (…) e ciò anche in considerazione delle previsioni del D.L. n. 209 del 2002 che ha introdotto una disciplina specifica sulle partecipazioni avente carattere antielusivo.”.

Infine, la successiva risoluzione n. 420/E del 5 novembre 2008 dell’Agenzia, premesso (pagg. 8 ss.) per l’ennesima volta che il D.L. n. 209 del 2002, art. 1, “tiene conto dell’esigenza dell’Amministrazione finanziaria di controllare possibili comportamenti elusivi conseguenti ad operazioni di “realizzo” quali le cessioni di partecipazioni a titolo oneroso”, e dato atto che il sopravvenuto provvedimento direttoriale del 22 maggio 2003 “ha chiarito che l’obbligo di comunicazione si estende anche alle operazioni equiparabili a quelle di cessione di partecipazioni”, precisa che “Nel novero delle operazioni “equiparabili” alle cessioni di partecipazioni rientrano, in aggiunta al conferimento e agli atti che importano costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento (ex art. 9 Tuir, comma 5), tutte le operazioni che determinano il realizzo di una minusvalenza (id est un componente negativo di reddito interamente deducibile nell’esercizio) quali, ad esempio, il fallimento e la liquidazione volontaria della società partecipata.”.

Pertanto, nello sviluppo della prassi della stessa Amministrazione finanziaria sulla questione appare, ripetuta e coerente, la consapevolezza della necessità di una “stretta interpretazione letterale” del D.L. n. 209 del 2002, e la correlata possibilità di estenderne la portata al più alle sole operazioni “equiparabili” alle cessioni di partecipazioni, ovvero alle vicende (come il fallimento e la liquidazione volontaria della società partecipata) che determinano il realizzo di una minusvalenza derivante dalla partecipazione. L’equiparabilità delle operazioni da comunicare, quindi, anche nell’interpretazione della prassi amministrativa finanziaria è riferibile, al più, al parametro della “cessione”, non anche a quello dell’oggetto di quest’ultima, che è invece necessariamente uno strumento partecipativo.

Peraltro, un’interpretazione diversa della necessità della comunicazione, a pena d’indeducibilità, della minusvalenza, che prescindesse dalla “partecipazione” quale necessario oggetto della cessione o dell’operazione ad essa equiparata, porrebbe problemi di gerarchia delle fonti, atteso che l’estensione dell’obbligo anche alla minusvalenza derivante dalla negoziazione di obbligazioni conseguirebbe al provvedimento direttoriale, che avrebbe allora reso doveroso ex novo un adempimento non già riconducibile al D.L. n. 209 del 2002, art. 1, comma 4, travalicando quindi quella funzione di stabilire soltanto ” i dati e le notizie oggetto di comunicazione, nonchè le procedure e i termini della stessa”, che tale disposizione di legge gli demandava.

Nè, infine, considerata la natura di “sanzione impropria” attribuita alla predetta indeducibilità da parte della dottrina (e dalla stessa relazione illustrativa all’art. 11 del disegno di legge di conversione del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito nella L. 26 aprile 2012, n. 44, che l’ha abrogata, sostituendola con una sanzione amministrativa pecuniaria graduata, tra un minimo ed un massimo edittali, in percentuale rispetto alla minusvalenza non comunicata) potrebbero trascurarsi le implicazioni, in termini di rispetto necessario del principio di legalità di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, dell’estensione in via meramente “amministrativa” dell’indeducibilità tot court della minusvalenza, in conseguenza della sua omessa comunicazione, anche rispetto a fattispecie per le quali manchi il presupposto di una chiara imposizione ex lege del relativo obbligo.

3. Atteso il rigetto del ricorso, resta assorbita ogni ulteriore questione relativa all’eventuale applicabilità dello ius superveniens in materia di sanzioni tributarie.

4. Le spese seguono la soccombenza.

5. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 13.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

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