Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26967 del 02/12/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 26967 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: MACIOCE LUIGI

PU

sul ricorso iscritto al n.10326 del R.G. anno 2007
proposto da:
Albergo di Russia s.p.a. – Nuova Patrimoniale s.r.l. a socio
unico – Fra! Immobiliare s.p.a. (nella quale si è fusa la s.r.l. San
Giovanni Immobiliare), domiciliate in ROMA, via dei Banchi Nuovi 39
presso gli avv.ti Giuseppe lannetti Del Grande e Renato Mariani che le
rappresentano e difendono per procura in calce al ricorso introduttivo

ricorrenti –

contro
Comune di Roma

dom.to in Roma via del Tempio di Giove 21 presso

i’avv. Catelio Matarazzi che io rappresenta e difende per procura speciale
a margine del ricorso unitamente all’avv. Luigi D’Ottavi

controricorrente
avverso la sentenza 779 del 13.2.2006 della

Corte di Appelio di

Roma; udita la relazione della causa svolta nella p.u. del 14.11.2013
da! Cono. Luigi MACIOCE; uditi gli avvocati Mariani e D’Ottavi;presente il
P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pasquale
Fimiani che ha chiesto accoglimento del cicorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
./1121′
c2)01b

Con citazione del 12.06.1990 !a dante causa delle odierne ricorrenti,
soc. Edilizia terreni via Aurelia a r.I., convenne innanzi al Tribunale di

Data pubblicazione: 02/12/2013

Roma il Comune di Roma esponendo che il 20.1.1982 aveva stipulato
con detto Ente la cessione volontaria di aree sottoposte a procedura ablativa ai sensi dell’art. 12 della legge 10 del 1977, che era stato pattuito il diritto al conguaglio, che esso andava pertanto determinato alla
stregua del valore venale dell’area. Costituitosi il Comune, invocante il
sopravvenuto art. 5 bis della legge 359 del 1992 e disposta ed acquisita
relazione peritale, il Tribunale, con sentenza 11.01.2002, h condannato

l’Ente al paoamento della somma di lire 5.192.000.000 oltre accessori,

ingresso al richiamato art. 5 bis. Il Comune ha impugnato la sentenza
deducendo la incompetenza del Tribunale e la mancata applicazione
dell’art. 5 bis. Costituitasi l’appellata, che ha formulato domanda di conguaglio anche all’adìta Corte quale giudice di unico grado, la Corte di
Roma con sentenza 13.02.2006, dichiarata la incompetenza del Tribunale e la nullità della emessa sentenza, ha deciso quale giudice competen
te ed a riconosciuto alle società succeekella originaria attrice, per con
guaglio, e fatta applicazione dell’art. 5 bis sopravvenuto, la somma di €
1.294.158, con gli interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza 223/1983 e negando che fosse stata data alcuna prova della realizzazione di alcun danno maggiore di quello risarcito da detti interessi.
Per la cassazione di tale sentenza le socc. Albergo di Russia, Nuova Patrimoniale e Fral Immobiliare hanno proposto ricorso il 29.3.2007 articolando quattro motivi, ai quali il Comune di Roma ha opposto difese nel
controricorso del 7.05.2007. Le parti hanno depositato memorie ed i difensori hanno discusso oralmente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che il ricorso sia parzialmente fondato.
Primo motivo: esso lamenta la affermata incompetenza del Tribunale quale giudice della domanda di conguaglio. Né si scorge, come rileva il Comune, alcun interesse alla decisione sulla corretta statuizione di
primo grado né si può condividere detta censura nel merito, dovendosi
dare continuità al recente pronunziato di SU 24687 del 2010 che ha
inteso estendere anche alla controversia sul conguaglio del prezzo di
cessione la generale competenza della Corte, quale giudice in unico grado, in materia di opposizioni alla stima. E la applicazione della legge 865
del 1971 all’esproprio concluso con la cessione 20.1.1982 è dato affermato e non contestato. Di qui la correttezza della decisione della Corte
di Roma di dichiarare la nullità della prima sentenza, emessa da giudice
incompetente, e di esaminare nel merito la domanda di conguaglio.
Secondo motivo: esso si duole della avvenuta applicazione

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richiamando la sentenza 223/1983 della Corte Costituzionale e negando

dell’art. 5 bis sia perché la contestazione sulla misura del conguaglio non
ne avrebbe consentito l’ingresso in causa sia perché detta disposizione si
sarebbe dovuta ritenere incostituzionale. Se la prima parte della censura
era certamente infondata (Cass. 7429 del 2002), la contestazione della
costituzionalità della disposizione applicabile alla fattispecie è ictu oculi
fondata, essendo stata la norma rimossa dalla pronunzia C.C. 348/2007
ed essendo per le controversie non definite – come quella di specie applicabile il parametro del valore venale pieno ex art. 39 legge 2359

da SU 5265 del 2008 a Cass. 6798 del 2013). Il motivo è pertanto
fondato e la sentenza va cassata, essendo stata applicata la dimidiazione del valore dell’area in base a norma ex tunc rimossa dall’ordinamento
e dovendosi di contro applicare il valore venale pieno dell’area stessa.
Terzo motivo: esso censura la statuizione di decorrenza degli interessi dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale 223 del 1983. Il motivo è affatto infondato, alla stregua di Cass.
16082 del 2004 e 19935 del 2011, avendo la Corte di merito applicato
la esatta decorrenza degli interessi stessi.
Quarto motivo: esso contesta la decisione di negare ingresso a
presunzioni di sussistenza del maggior danno ex art. 1224 c.c. anche
alla luce della documentazione probatoria offerta. E’ invero indiscutibile
che alla vicenda de qua ben potesse applicarsi l’indirizzo posto da SU
19499 del 2008 il cui principio è affatto condiviso dal Collegio e che si
rammenta: ove sussista ritardo nell’adempimento di una obbligazione di
valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224, c. 2 c.c. puo’ ritenersi
esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il
saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non
superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. In tal caso il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque
creditore, quale che ne sia la qualita’ soggettiva o l’attivita’ svolta,
fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento
del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal
suddetto saggio di rendimento sarà a suo carico l’onere di provare
l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva. Pertanto ove il creditore sia un imprenditore, avra’ l’onere di
dimostrare ad esempio di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi, nel mentre il debitore, dal canto
suo, sarà gravato dall’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni
semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non
avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investi-

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del 1865 (come affermato dalla costante giurisprudenza di questa Corte,

mento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale.

Ma se il principio è stato esattamente invocato, giova considera-

re che, in disparte la inconsistenza giuridica della insistita prospettazione di una decorrenza del ristoro dalla data della insorgenza della obbligazione di conguaglio (e non, come rettamente effettuato in sentenza,
dalla data della domanda), vi è da considerare che venne solo chiesta e
ribadita la condanna alla attribuzione della “rivalutazione monetaria”
(vd. conclusioni), che dunque non vi è traccia nelle conclusioni di una
domanda al pagamento del danno differenziale rispetto a quello coperto

dal saggio legale degli interessi, che neanche in memoria ci si fa carico
di affermare che nei periodi di riferimento il saggio annuale dei BOT fosse superiore al tasso legale degli interessi, che, ancora, il maggior danno correlato alla veste imprenditoriale della società contraente la cessione è affermato in modo generico e per rinvio – in questa sede inammissibile – ad una relazione di stima della quale (stante l’impossibilità di
accesso alla lettura diretta) non si dice se venne sottoposta ed in qual
sede alla Corte di merito ed in ordine alla quale non si opera sintesi alcuna delle conclusioni contabili offerte. Di qui l’infondatezza del motivo
anche alla luce della statuizione delle Sezioni Unite.
Accolto il motivo secondo è possibile adottare l’invocata decisione ex
art. 384 c.p.c.: infatti il quantum è facilmente determinabile posto che
lire 5.191.500.000 è l’importo accertato in sentenza a pag. 9, quale
valore venale dell’area, e che la somma è pari ad C 2.681.186 e da tal
somma vanno detratti C 46.474 percetti alla stipula. Il saldo attuale è
dunque di C 2.634.712, con interessi legali. Le spese di merito si regolano in condivisione di quanto operato nella sentenza impugnata. Il Comune, soccombente, dovrà alle società le spese di questo giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, rigetta i motivi primo, terzo e quarto; cassa
la sentenza in relazione al solo motivo accolto e, decidendo ex art. 384
c.p.c., condanna il Comune di Roma a pagare alle ricorrenti tra loro in
solido la somma di C 2.634.712, con interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza 223/1983 della C.C.; compensa per intero le spe-

Comune a versare alle società in solido il residuo 1/2 per la somma di C
5.464 oltre s.g., IVA e CPA; condanna il Comune a versare alle società in
solido le spese del giudizio di legittimità, per C 20.400 oltre IVA e CPA
(di cui C 20.000 per compensi).
Così deciso nella c.d.c. del 14.11.2013.

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se del primo grado; compensa per 1/2 quelle di appello e condanna il

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