Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26965 del 02/12/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 26965 Anno 2013
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: SALVAGO SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso 25363-2007 proposto da:
MENEGOLLI LUIGI (c.f. MNGLGU44H23M172Z), PERINA
EMILIA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
BANCO DEL SANTO SPIRITO 48, presso l’avvocato

Data pubblicazione: 02/12/2013

D’OTTAVI AUGUSTO, rappresentati e difesi
dall’avvocato GRISI LUCIANO, giusta procura a
2013

margine del ricorso;
– ricorrenti –

1564

contro

COMUNE DI DIMARO;

1

- intimato –

sul ricorso 26667-2007 proposto da:
COMUNE DI DIMARO, in persona del Sindaco pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
MAZZINI 11, presso l’avvocato STELLA RICHTER PAOLO,

all’avvocato DALLA FIOR MARCO, giusta procura a
margine del controricorso e ricorso incidentale
subordinato;
– controri corrente e ricorrente incidentale contro

MENEGOLLI LUIGI

(c.f. MNGLGU44H23M172Z), PERINA

EMILIA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
BANCO DEL SANTO SPIRITO 48, presso l’avvocato
D’OTTAVI
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rappresentati

AUGUSTO,

difesi

e

dall’avvocato GRISI LUCIANO, giusta procura a
margine del ricorso principale;
– controrícorrenti al ricorso incidentale

avverso la sentenza n.

143/2007 della CORTE

che lo rappresenta e difende unitamente

D’APPELLO di TRENTO, depositata il 11/06/2007;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 24/10/2013 dal Consigliere
Dott. SALVATORE SALVAGO;
udito,

per

il

controricorrente

e

ricorrente

incidentale, l’Avvocato PICCOLI che rinuncia ad

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intervenire;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PASQUALE FIMIANI che ha concluso per
l’accoglimento
inammissibilità

del
del

ricorso

principale,

ricorso

incidentale

/-

condizionato.

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Svolgimento del processo
La Corte di appello di Trento,con sentenza dell’il giugno
2007 ha confermato quella in data 31 maggio 2006 del
Tribunale che aveva respinto le domande dei condomini Luigi

Menegolli ed Emilia Perini, di condanna del comune di
Dimaro alla rimozione o spostamento delle condotte fognaria
ed idrica realizzate abusivamente nel sottosuolo
dell’edificio “Condominio Meladrio”, ubicato nel territorio
comunale,previa declaratoria di inesistenza della
servitù,in quanto: a)era pacifica tra le parti
l’insussistenza di detta servitù di cui peraltro non era
neppure individuato il fondo dominante; b)neanche si era
discusso di occupazione appropriativa del fondo o delle
condotte nella decisione del Tribunale che ne aveva
correttamente escluso la rimozione per l’avvenuta
irreversibile trasformazione del terreno e la sua
acquisizione alla mano pubblica, anche a seguito dei
provvedimenti del Consiglio e della Giunta del comune che
avevano approvato l’opera.
Per la cassazione della sentenza,i1 Menegolli e la Perini
hanno proposto ricorso per 3 motivi; cui ha resistito il
comune di Dimaro con controricorso,con il quale ha
formulato altresì ricorso incidentale per 3 motivi.
Motivi della decisione

4

Il Collegio preliminarmente osserva che nessuna

delle

questioni prospettate a sostegno dei motivi del ricorso
incidentale è corredato dai quesiti di diritto richiesti
dall’ art.366 bis cod.proc.civ. introdotto dal d.lgvo 40

dall’art. 47, comma 1, lett. d), della 1. 18 giugno 2009,
n. 69,tuttavia successiva alla decisione impugnata: per il
quale l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere,
,

a pena di inammissibilità,nei casi previsti dall’art. 360,
comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, c.p.c., con la formulazione di un
quesito di diritto, mentre, nell’ipotesi prevista dal n. 5
del medesimo comma, il motivo deve enunciare, in modo
sintetico ma completo, la chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume
omessa o contraddittoria; ovvero le ragioni per le quali la
dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione.
Poiché invece la formulazione di un esplicito quesito di
diritto o la chiara indicazione del fatto controverso sono
del tutto assenti nell’illustrazione di ciascuna delle
doglianze in cui si articola il ricorso incidentale (cfr.
Cass. Sez. un. 7258 e 14682/ 2007),detta impugnazione deve
essere dichiarata inammissibile.
Con il primo motivo del principale Luigi Mengolli ed Emilia
Perini,deducendo

violazione

dell’art.112

cod.proc.civ.

censurano la sentenza impugnata per avere confermato il

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del 2006 a far data dal 2 marzo 2006, e poi abrogato

rigetto della loro domanda di negatoria servitutis per
effetto del passaggio nell’ambito del sottosuolo
condominiale sia della condotta fognaria,che di quella
idrica comunale e della conseguente rimozione degli
impianti,invocando la c.d. occupazione espropriativa che

nessuna delle parti aveva prospettato;e perciò incorrendo
in un palese vizio di ultrapetizione.
La doglianza è infondata.
I ricorrenti nel giudizio di primo grado hanno dedotto
l’esercizio, senza alcun titolo da parte del comune,nel
sottosuolo del loro condominio sia di una servitù di fatto
corrispondente a quella di acquedotto di cui all’art.1034
segg. cod. civ.,che di una seconda servitù (sempre abusiva)
corrispondente a quella di fognatura di cui all’art.1043
cod. civ. ed hanno chiesto anzitutto che venisse accertata
l’insussistenza del relativo diritto in capo alla suddetta
amministrazione (art.949 cod. civ.),priva di alcun titolo
ad esercitarla;e quindi nel corso del giudizio la rimozione
o comunque lo spostamento delle relative condutture. Per
cui il Tribunale si è limitato a respingere entrambe le
richieste ritenendole infondate a causa dell’avvenuta
irreversibile trasformazione dei loro terreni ad opera dei
menzionati manufatti la cui esistenza era del tutto
pacifica tra le parti:perciò ravvisando (sia pure
erroneamente) in tale situazione di fatto (presenza delle
condotte nel sottosuolo) da entrambe prospettata una
6

espropriazione illegittima, per l’asserita irreversibile
trasformazione delle relative porzioni di sottosuolo
attraversate (c.d. occupazione espropriativa) ad opera
dell’amministrazione comunale che ne impediva la chiesta
condanna di rimozione e/o di spostamento. Si è dunque

trattato non già dell’accoglimento di una domanda non
proposta dalle parti,ma della conseguenza giuridica
collegata dai primi giudici all’avvenuta realizzazione dedotta dagli stessi proprietari- delle condutture da parte
del comune (che comunque ne aveva acquistato
successivamente la proprietà);e confermata dalla Corte di
appello anche per aver ritenuto che l’occupazione del suolo
privato “era avvenuta sulla base di progetti approvati dal
Consiglio comunale e dalla Giunta comunale”:e quindi in
base ad una (asserita) dichiarazione di p.u. valida ed
efficace.
Con il secondo motivo,i ricorrenti deducendo violazione
della normativa relativa alle espropriazioni illegittime
c.d. appropriative,censurano la sentenza impugnata per
avere tratto la dichiarazione suddetta, necessaria per
l’instaurazione di un procedimento ablativo,
dall’approvazione dell’opera p. da parte del comune, e
ritenuto che l’attraversamento di un suolo privato ad opera
di una condotta idrica ovvero fognaria sia sufficiente a
comportarne l’irreversibile trasformazione,idonea ad
impedire la rimozione e/o lo spostamento del manufatto.
7

Questa censura è fondata.
La Corte di appello, pur avendo escluso la costituzione
delle contestate servitù nel sottosuolo del condominio
attraverso

l’istituto

della

c.d.

occupazione

acquisitiva, riconoscendone l’inapplicabilità al suddetto

attraversando il fondo dei ricorrenti,

diritto reale,ha tuttavia ritenuto che le condutture
ne abbiano

comportato la radicale ed irreversibile trasformazione con
conseguente

acquisizione

del

bene

mano

alla

pubblica:impedendone la restituzione e/o rimozione comunque
preclusa dalla sussistenza di una procedura ablativa.
Ma così argomentando non ha considerato che la procedura
ablativa, pur se fosse ravvisabile in imprecisati (e non
individuati) provvedimenti del Consiglio o della Giunta
comunale di approvazione di entrambe le opere pubbliche
(acquedotto e rete fognaria), abbisognerebbe comunque di un
titolo per consentire all’amministrazione espropriante di
acquisire la disponibilità del fondo privato:individuato a
partire dalla legge fondamentale 2359 del 1865 nel decreto
di espropriazione ovvero di asservimento,oppure nel
contratto di cessione volontaria dell’immobile (art.12
legge 865/1971),o infine nel decreto di occupazione
d’urgenza ex art.20 legge 865/71 onde acquisirne la
disponibilità temporanea. Laddove nel caso neppure il
comune di Dimaro ha mai prospettato di avere conseguito
taluno

di

detti

titoli,ovvero

di

quelli

indicati
8

dall’art.1031 cod.

civ. per giustificare la propria

ingerenza all’interno di immobili privati:perciò da
considerare abusiva.
Ne è sostenibile che il relativo diritto derivi dalla
irreversibile trasformazione del fondo conseguente alla

realizzazione della duplice conduttura che in atto lo
attraversa:non comportando tale intervento alcuna
acquisizione dell’immobile alla mano pubblica proprio per
l’inconfigurabilità nel caso della c.d. occupazione
espropriativa che la sentenza ha da un lato riconosciuto;ma
poi contraddittoriamente applicato, non avvedendosi che
detto istituto costituisce proprio un modo di acquisto
della proprietà privata al demanio o al patrimonio
indisponibile dell’ente pubblico in conseguenza della sua
irreversibile trasformazione nell’opera pubblica
preventivata dalla dichiarazione di p.u.
La consolidata giurisprudenza di legittimità resa più volte
a sezioni unite,ma ignorata del tutto dalla sentenza
impugnata, cui il Collegio intende dare continuità ha
enunciato il principio che l’apprensione (o il
mantenimento) “sine titulo” di un suolo di proprietà
privata, occorrente per la realizzazione di un passaggio
pedonale,per l’impianto di una condotta, o di altro
manufatto comportante una servitù di fatto, sia che la
realizzazione dell’opera non sia stata autorizzata alla
competente autorità, sia che non sia assistita da
9

declaratoria di pubblica utilità, sia che, pur in presenza
di detta autorizzazione e di detta declaratoria, non vi sia
stato un valido asservimento per via di provvedimento
amministrativo, non determina la costituzione di una
servitù, secondo lo schema della cosiddetta occupazione

acquisitiva, i cui estremi non sono ravvisabili con
riguardo ai diritti reali “in re aliena”.Ma configura un
illecito a carattere permanente, il quale perdura fino a
quando non venga (anche per disposizione del giudice
ordinario) rimosso il manufatto, o cessi il suo esercizio,
o sia costituita regolare servitù (Cass.sez.un. 8065/1990;
4619 e 3963/1989; da ultimo:19294/2006; 14049 e
17570/2008;18039/2012).
Ed

il risultato non muta per l’avvenuta realizzazione

delle condutture per il transito delle acque nonché dei
liquami ovvero di altri manufatti necessari a consentirlo
perché per il verificarsi dell’occupazione espropriativa
non è sufficiente l’esecuzione di un qualsiasi lavoro
edilizio,ma è necessaria -giova ripeterlo- la irreversibile
trasformazione del fondo appreso nell’opera pubblica
programmata dalla dichiarazione di p.u.:perciò
richiedendosi che detta trasformazione della realtà
materiale preesistente determini l’impossibilità giuridica
di continuare ad utilizzare il bene in conformità della sua
precedente destinazione, dando così luogo ad una
sostanziale vanificazione del diritto di cui il bene
10

costituiva l’oggetto. Laddove detta situazione non è
ipotizzabile nella costituzione della servitù, dato che la
stessa,quale che sia,postula la coesistenza su di un
medesimo oggetto ,di un diritto di proprietà limitata in
capo ad un soggetto e di un diritto reale che limita il

primo in capo ad un soggetto diverso (cfr.art.825 cod.
civ.):non certo l’assorbimento del primo diritto nel
secondo o la riduzione ad unità di essi con la creazione
di un regime unitario di appartenenza tale da far
qualificare come “nuovo” sul piano giuridico e fisico,i1
bene che ne costituisce oggetto (Cass.fin da sez.un.
1484/1983;nonché 9521/1996;6952/1997).
Ed allora risultano errate anche le conseguenze cui è
pervenuta la Corte di appello,in quanto: a) il mero impiego
sia pure per fini pubblici, del fondo condominiale

materialmente appreso, non è sufficiente a trasformarlo in
esercizio di poteri ablatori e la conseguente detenzione
produce soltanto le conseguenze proprie dell’illecito
comune di cui agli art.2043 e 2058 cod. civ.; b) i
proprietari hanno conservato e mantenuto il diritto
dominicale sull’immobile, nonché in via primaria, la
possibilità di esercizio delle azioni reipersecutorie a
tutela della non perduta proprietà, e perfino dell’azione
esecutiva di cui agli artt. 474 e 605 cod. proc. civ. anche
per conseguire il ripristino dello status quo ante previa
demolizione del manufatto abusivo (Cass. 18239/2005;
11
4

18436/2004;15710/2001;

salvo

1867/1991: :

12841/1995;

rimanendo l’accertamento,devoluto al giudice di rinvio, che
nelle more del giudizio le condutture n taluna di esse
siano state spostate dal comune lm altra loca

deve cassare la sentenza impugnata e rinviare alla medesima
Corte di appello di Trento che in diversa composizione si
atterrà ai principi esposti e provvederà alla liquidazione
delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La

Corte

rigetta

il

primo

del

motivo

ricorso

principale,accoglie il secondo, ed assorbito il terzo,
dichiara inammissibile il ricorso incidentale,cassa la
sentenza impugnata e rinvia anche per la liquidazione delle
spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di
Trento, in diversa composizione.
Così deciso in Roma il 24 ottobre 2013.
Il Presidente
Il Consigliere est.

.

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CORTESUPREMADICASSCJONE
Si attesta la registrazione presso

Assorbito,pertanto,l’ultimo motivo del ricorso,12 Collegio

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