Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26964 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/11/2020, (ud. 10/07/2020, dep. 26/11/2020), n.26964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8487-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

STORNARA SALUMI SRL IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 189/2012 della COMM. TRIB. REG. DELLA PUGLIA

SEZ.DIST. di FOGGIA, depositata il 24/09/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/07/2020 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza n. 189/27/2012, depositata in data 24 settembre 2012 la Commissione tributaria regionale della Puglia, rigettava l’appello principale dell’Agenzia delle Entrate e l’appello incidentale di Stornara Salumi s.r.l. avverso la sentenza n. 222/1/10 della Commissione tributaria provinciale di Foggia che aveva parzialmente accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso una cartella di pagamento, relativa agli anni di imposta 1994, 1996 e 1997, emessa sulla base di due distinte sentenze della CTR, la n. 85/27/08 divenuta definitiva, con la quale era stato rigettato l’appello di parte contribuente e la n. 34/25/09 con la quale era stato accolto il ricorso dell’ufficio e confermato l’avviso di rettifica Iva per l’anno di imposta 1994, nei confronti della quale pendeva ricorso per Cassazione.

L’ufficio aveva iscritto a ruolo, a titolo definitivo, residue somme dovute in virtù di riscossione frazionata ai fini IRPEG e ILOR per gli anni di imposta 1996 e 1997 e Iva per l’anno di imposta 1994, conseguenti ad un avviso di rettifica.

La CTR rilevava che il giudice di primo grado aveva correttamente pronunciato sia con riferimento alla misura della sanzione (riferita all’Iva) determinata con il cumulo giuridico, applicato come da formulazione originaria del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, che all’applicabilità del favor rei con riferimento agli accertamenti II.DD per gli anni 1996 e 1997.

Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La contribuente non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Osserva preliminarmente la Corte che il ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 34/25/09 si è concluso, con sentenza n. 18471/2016 la quale ha accolto il ricorso della contribuente e pronunciato la nullità dell’atto di appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, con conseguente definitività della sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso l’avviso di rettifica Iva per l’anno di imposta 1994; la pretesa impositiva non è più sussistente.

“Nel giudizio di cassazione, il giudicato esterno è, al pari del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Tale elemento non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando, quindi, della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che potevano essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato, i quali, comprovando la sopravvenuta formazione di una “regula iuris” cui il giudice ha il dovere di conformarsi, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso” (Cass. n. 26041 del 23/12/2010; in termini, tra le molte, Cass. nn. 30780/11; 28247/13; 11365/15; Cass. 26049/2016).

2. Il primo motivo, con il quale l’ufficio deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la CTR aveva erroneamente ritenuto che l’amministrazione non avesse applicato la sanzione più favorevole deve, conseguentemente, dichiararsi inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, non sussistendo più la pretesa impositiva e, conseguentemente, anche la sanzione.

3. Con il secondo motivo l’ufficio deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Evidenzia che poichè gli avvisi di accertamento erano definitivi non poteva applicarsi il regime del favor rei.

La censura è fondata.

E’ pacifico che in materia di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, applicabile “ai procedimenti in corso” alla data dell’1 aprile 1998, a condizione che il provvedimento di irrogazione della sanzione non sia divenuto definitivo, ha sancito il principio del “favor rei”, sicchè la sanzione meno grave, più favorevole al trasgressore, ha portata retroattiva nei giudizi pendenti. Tale normativa di carattere generale è applicabile anche alle violazioni in materia di IVA.

Nella specie, tuttavia, è incontestato che gli avvisi di accertamento relativi agli anni 1996 e 1997 fossero definitivi, in conseguenza della definitività della sentenza n. 85/27/08 della CTR della Puglia che aveva rigettato l’impugnazione avverso i relativi avvisi di accertamento.

Era, pertanto, preclusa alla CTR la valutazione del favor rei.

Diversamente, con riferimento alle sanzioni relative all’anno di imposta 1994, il giudizio di impugnazione all’avviso di accertamento era ancora pendente, essendo stato proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 34/25/09.

Tuttavia, come già evidenziato, la pretesa impositiva relativa all’anno 1994 è venuta meno a seguito della sentenza di questa Corte n. 18471/2016, sicchè non si pone più, con riguardo alla sanzione relativa a tale annualità, una questione di applicazione del favor rei, risultando, in parte qua, inammissibile il motivo per sopravvenuta carenza d’interesse.

Il secondo motivo di ricorso, pertanto, deve essere accolto limitatamente alle sanzioni per le annualità 1996 e 1997 – e la sentenza cassata.

Non essendo necessari accertamenti in punto di fatto la controversia può essere decisa nel merito – con riguardo alle sanzioni per le annualità 1996 e 1997 – con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente.

Le spese del giudizio di merito devono essere compensate in considerazione dell’evoluzione nel tempo della vicenda processuale.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta, negli stessi limiti, l’originario ricorso della contribuente.

Spese del giudizio di merito compensate.

Condanna la resistente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, liquidandole in Euro 3.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

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