Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26961 del 02/12/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 26961 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: ARIENZO ROSA

SENTENZA
sul ricorso 20844-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in
2013

atti;
– ricorrente –

3053
contro

RAVECCA

FRANCESCA

C.F.

RVCFNC83L63E463W,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI

Data pubblicazione: 02/12/2013

134, presso lo studio dell’avvocato SADURNY CLAUDIO,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ARPESELLA ALBERTO, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 711/2007 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/10/2013 dal Consigliere Dott. ROSA
ARIENZO;
udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega TOSI
PAOLO;
udito l’Avvocato COLASANTI GIANNA per delega SADURNY
CLAUDIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA ) cheha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

di GENOVA, depositata il 14/08/2007 R.G.N. 1396/2006;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Genova, con sentenza del 14.8.2007, respingeva il gravame della
società Poste Italiane avverso la sentenza resa dal Tribunale di La Spezia che aveva
accolto il ricorso proposto da Ravecca Francesca, dichiarando la nullità del termine
apposto al contratto dalla stessa sottoscritto con la società il 19.2.1994 per ragioni di
carattere sostitutivo, correlate alla specifica esigenza di sostituzione del personale

presso la Regione Nord Ovest, assente nel periodo dal 16.2.2004 al 31.5.2004. Rilevava
la Corte di Genova che non era sufficiente ad assolvere l’onere di forma chiesto dal
legislatore ed a soddisfare le esigenze di controllo sulle ragioni del termine un generico
riferimento ad esigenze sostitutive indicate in contratto per un ambito operativo e
territoriale troppo ampio. Rilevava, poi, che dalla nullità del termine non discendeva la
nullità dell’intero contratto, ma l’inefficacia della clausola con salvezza degli ulteriori effetti
del contratto, che, escluso il limite di durata, era da ritenersi a tempo indeterminato.
Rilevava infine l’idoneità della raccomandata del 3.6.2004 a costituire in mora la società
con richiesta di riammissione in servizio, anche se successivamente tale richiesta era
stata rinunciata dall’appellata.
Per la cassazione di tale pronuncia, ricorre la società con due motivi,illustrati nella
memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c. Resiste, con controricorso, la Ravecca.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la società denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del D.
Igs. 368/2001, nonchè violazione e falsa applicazione degli art. 1362 e ss. c. c., ai sensi
dell’art. 360, n. 3, c.p.c. osservando che la prova ed i dati specifici che confermano la
concreta esistenza della ragione giustificatrice dell’apposizione del termine può essere
riservata alla sede giudiziaria o alla spiegazione successiva alla contestazione da parte
dell’interessato. Evidenzia che, nella specie, oltre all’ambito operativo, era indicato anche
l’ufficio postale di Follo, ove si era manifestata l’esigenza sostitutiva.
Con il secondo motivo, in subordine, lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’ art. 360, n. 5,
c.p.c. nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 12 delle Disposizione sulla legge in
generale, dell’ art. 1419, dell’ art. 1 del d. Lgs 368/2001 e e dell’art. 115 c.p.c., sostenendo
la erroneità della tesi sostenuta in sentenza, dovendo, al contrario, ritenersi che
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inquadrato nell’area operativa ed addetto al servizio di recapito/smistamento e trasporto

l’illegittimità del termine comportasse la nullità dell’intero contratto, stante l’ impossibilità di
estendere la normativa dettata dagli artt. 4 e 5 del D. Lgs. 368/01 in tema di proroga e di
apposizione del termine al secondo contratto.
Come già osservato da questa Corte, il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo
obbligo comunitario — in attuazione della Direttiva 1999/70 – ha emanato il D.Lgs. n. 368
del 2001 che, nel testo originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1

di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo e, al comma 2, che l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta,
direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al
comma 1. È stata altresì prevista, contestualmente all’entrata in vigore del citato D.Lgs.
(24 ottobre 2001), l’abrogazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 79 del 1983, art. 8 bis,
della L. n. 56 del 1987, art. 23 e di tutte le disposizioni di legge incompatibili
(art.11,comma1). Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato
dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la
tipizzazione delle fattispecie legittimanti, sistema peraltro già oggetto di ripensamento
come si evince dalle disposizioni di cui alla L. n. 79 del 1983 e alla L. n. 56 del 1987, art.
23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione
del termine è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo. Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un
fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal già rilevato obbligo per il datore di
lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in esso le ragioni di carattere tecnico,
produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate (cfr., in tali termini, Cass. 26.1.2010 n.
1576).
Nel caso di specie il primo motivo di ricorso impone di stabilire come debba essere
configurato sul piano giuridico il concetto di specificazione con riferimento all’ipotesi in cui
il datore di lavoro abbia determinato la causale dell’apposizione del termine riferendosi a
ragioni di carattere sostitutivo. Come già rilevato, l’onere di specificazione della causale
nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta al datore di lavoro
di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di
esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a
prescindere da fattispecie predeterminate. Tale onere ha l’evidente scopo di evitare l’uso
indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze
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prevede, al comma 1, che è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto

riconosciute dalla legge, imponendo la riconoscibilità e la verificabilità della motivazione
addotta già nel momento della stipula del contratto. D’altro canto, tuttavia, proprio il venir
meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia
collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle
realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato. Il concetto di specificità in
questione risente, dunque, di un certo grado di elasticità che, in sede di controllo

(cfr. Cass. 1576/2010 cit.).
Con riferimento specifico alle ragioni di carattere sostitutivo, pertanto, il contratto a termine
se in una situazione aziendale elementare è configurabile come strumento idoneo a
consentire la sostituzione di un singolo lavoratore addetto a specifica e ben determinata
mansione, allo stesso modo in una situazione aziendale complessa è configurabile come
strumento di inserimento del lavoratore assunto in un processo in cui la sostituzione sia
riferita non ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica che sia
occasionalmente scoperta. In quest’ultimo caso, il requisito della specificità può ritenersi
soddisfatto non tanto con l’indicazione nominativa del lavoratore o dei lavoratori sostituiti,
quanto con la verifica della corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti
con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale e le scoperture
che per quella stessa funzione si sono realizzate per il periodo dell’assunzione.
Questa Corte non ignora la sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, la quale,
nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità del D.Lgs. n. 368 del 2001, art.
1, comma 1, e D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, afferma che l’onere di specificazione
previsto dallo stesso art. 1, comma 2 impone che, tutte le volte in cui l’assunzione a tempo
determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche
il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione.
Sul problema degli effetti delle sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale
sull’interpretazione delle leggi da parte del giudice ordinario, questa Corte (cfr, in
particolare, Cass. 9 gennaio 2004 n. 166) ha affermato che, ove il giudice delle leggi, nel
ritenere non infondato il denunciato vizio di incostituzionalità di una certa disposizione
nella interpretazione non implausibile fornitane dal giudice del merito, indichi una possibile,
, diversa interpretazione della stessa disposizione conforme a Costituzione, tale
interpretazione adeguatrice non interferisce con il controllo di legittimità rimesso alla Corte
di cassazione ed il suo effetto vincolante per i giudici ordinari e speciali, non esclusa la
Corte di cassazione, riguarda soltanto il divieto di accogliere quella interpretazione che la
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giudiziale, deve essere valutato dal giudice secondo criteri di congruità e ragionevolezza

Corte costituzionale ha ritenuto, sia pure con una pronuncia di infondatezza della
questione di legittimità costituzionale sottoposta al suo esame, viziata.
Nel caso di specie il passo della sentenza della Corte costituzionale sopra citato deve
essere letto nel contesto argomentativo in cui esso è stato formulato. La sentenza, subito
dopo il passo estrapolato, prosegue precisando che considerato che per ragioni sostitutive
si debbono intendere motivi connessi con l’esigenza di sostituire uno o più lavoratori, la

dei lavoratori da sostituire e delle cause della loro sostituzione; solamente in questa
maniera, infatti, l’onere che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, impone alle parti
che intendano stipulare un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato può
realizzare la propria finalità, che è quella di assicurare la trasparenza e la veridicità della
causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto.
Tale precisazione sta a indicare che, nella illimitata casistica che offre la realtà concreta
delle fattispecie aziendali, accanto a fattispecie elementari in cui è possibile individuare
fisicamente il lavoratore o i lavoratori da sostituire, esistono fattispecie complesse in cui la
stessa indicazione non è possibile e “l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori” deve
passare necessariamente attraverso la “specificazione dei motivi”, mediante l’indicazione
di criteri che, prescindendo dall’individuazione delle persone, siano tali da non vanificare il
criterio selettivo che richiede la norma. Intesa in questi termini la sentenza della Corte
costituzionale, l’opzione interpretativa offerta da questo Collegio è pienamente coerente
con quella offerta dalla sentenza stessa che, per l’autorevolezza della fonte da cui
proviene, costituisce un contributo ermeneutico della massima importanza. In conformità a
quanto appena esposto richirnandosi le motivazioni di cui alla pronunzia di questa Corte
1576/2010, l’apposizione del termine per “ragioni sostitutive” è legittima se l’enunciazione
dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di
specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori
(quali, l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni
dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che
consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non identificati
nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità circa la sussistenza effettiva
• del presupposto di legittimità prospettato. Nel caso in esame appare incongrua e priva di
adeguata motivazione, in relazione ai principi sopra enunciati, la valutazione fatta dalla
Corte di merito circa l’assenza di specificità della causale apposta al contratto di lavoro a
termine in discussione. In particolare la Corte territoriale non ha tenuto conto del fatto che

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specificazione di tali motivi implica necessariamente anche l’indicazione del lavoratore o

il concetto di specificità deve essere collegato a situazioni aziendali non più standardizzate
ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato.
Il primo motivo deve, pertanto, essere accolto, con assorbimento del secondo, e, per

l’effetto, la causa deve essere rimessa ad altro giudice, indicato in dispositivo, che

provvedere sulla base dei sopra indicati principi di diritto oltre che sulle spese del giudizio

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le
spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Torino.
Così deciso in ROMA, il 24.10.2013

di legittimità.

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