Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26960 del 23/12/2016

Cassazione civile, sez. I, 23/12/2016, (ud. 27/10/2016, dep.23/12/2016),  n. 26960

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11621/2012 proposto da:

D.M.L., (c.f. (OMISSIS)), in proprio e nella qualità di

procuratore speciale di D.M.R. e D.M.A.;

D.M.G., DI.MA.AL. e DI.MA.RO., in proprio e nella

qualità di eredi di C.M.; CA.WI., CA.WA.

e ca.wi., in proprio e nella qualità di eredi di

CA.AR.; D.M.M.O., S.A.,

S.V., S.G. e S.C., in proprio e nella

qualità di eredi di D.M.D.; V.C., nella

qualità di erede di D.M.M.G.; elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA PREMUDA 6, presso l’avvocato SALVATORE

AMATORE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA

GANGALE, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI TERAMO;

– intimato –

nonchè da:

COMUNE DI TERAMO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 63, presso l’avvocato

ALESSANDRO MARINI, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRA

GUSSAGO, giusta procura in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.M.L., D.M.G., DI.MA.AL.,

DI.MA.RO., CA.WA., CA.WI., ca.wi.,

D.M.M.O., S.A., S.G.,

S.V., S.C., V.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 305/2011 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 16/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2016 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA C. SAMBITO;

uditi, per i ricorrenti, gli Avvocati SALVATORE AMATORE e ANDREA

GANGALE che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso principale, il

rigetto dell’incidentale;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

ALESSANDRA GUSSAGO che ha chiesto il rigetto del ricorso principale,

l’accoglimento dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, accoglimento dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.M.L., in proprio e quale procuratore speciale di Ca.Wa. e degli altri comproprietari indicati in epigrafe di un’area destinata dal Comune di Teramo alla costruzione di un asilo nido, ed allo stesso ceduta per atto (OMISSIS), per un acconto di Lire 14.310.000 soggetto a conguaglio, convenne in giudizio tale Ente, per sentirlo condannare al pagamento di una somma pari al valore venale o a titolo d’indennità definitiva di espropriazione, o di risarcimento del danno, non essendo il decreto di espropriazione poi stato emesso.

Il Tribunale adito ritenne prescritta la domanda risarcitoria e condannò il convenuto a pagare il conguaglio, pari ad Euro 462.421,89. Ma la decisione fu ribaltata dalla Corte d’appello dell’Aquila, che, con sentenza non definitiva del 4.6.2007, dichiarò la nullità del contratto di cessione volontaria, per essersi in precedenza perfezionata l’occupazione acquisitiva, annullò la statuizione di prescrizione, e condannò l’Ente al risarcimento del danno, che, con sentenza definitiva del 15.2.2011, liquidò in Euro 13.652,01, oltre interessi.

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso D.M.L. e consorti, affidato a due mezzi, ai quali il Comune ha resistito, con controricorso, proponendo due motivi di ricorso incidentale. Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, si deduce l’erronea applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis. La Corte territoriale, lamentano i ricorrenti, hanno escluso che l’immobile espropriato avesse natura edificabile nonostante la sua “elevatissima e sostanziale vocazione edificatoria”, e senza considerare che la destinazione a scuola non vale a conferire il carattere di inedificabilità del bene, e che, per effetto della sentenza della Corte Cost. n. 181 del 2011, anche per i suoli agricoli e quelli non legalmente edificatori, vale il criterio del valore venale, che deve costituire un giusto ristoro della perdita della proprietà, e che,nella specie, non era stato riconosciuto.

2. Il motivo è infondato alla stregua dei seguenti principi:

a) a seguito delle sentenze n. 348 e 349 del 2007 e n. 181 del 2011, della Corte cost., emesse anche per conformare il diritto interno ai principi della CEDU, il serio ristoro che l’art. 42 Cost., comma 3, riconosce al sacrificio della proprietà per motivi d’interesse generale si identifica col valore venale del bene (Cass. n. 11480 del 2008; n. 14939 del 2010; n. 6798 del 2013; n. 17906 del 2014); b) la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili non è venuta meno, essendo imposta dalla disciplina urbanistica in funzione della razionale programmazione del territorio, e l’inclusione dei suoli nell’uno o nell’altro ambito va effettuata in ragione del criterio dell’edificabilità legale, posto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3, tuttora vigente, e D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37, in base al quale un’area va ritenuta edificabile solo quando la stessa risulti così classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici (Cass. 7987/2011; 9891/2007; 3838/2004; 10570/2003; sez. un. 172 e 173/2001); c) per converso, le possibilità legali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui, per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Cass. 14840/2013; 2605/2010; 21095 e 16537/2009); d) la destinazione di aree ad edilizia scolastica configura un tipico vincolo conformativo – in quanto trascende le necessità di zone circoscritte, ed è concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro della ripartizione zonale in base a criteri generali ed astratti – e determina il carattere di non edificabilità delle relative aree, pure sotto il profilo di una realizzabilità di tale destinazione ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, giacchè l’edilizia scolastica è riconducibile ad un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio ed istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato (Cass. n. 15389 del 2007; n. 15616 del 2007; 12862 del 2010; n. 8231 del 2012; n. 14347 del 2012).

3. Col secondo motivo, si denuncia il vizio di motivazione in relazione al criterio di estimo utilizzato dal CTU e recepito dalla Corte territoriale, mediante il quale si era pervenuti ad una stima irrisoria.

4. Il motivo è fondato: l’impugnata sentenza ha determinato il valore del suolo in ragione dell’incidenza percentuale del valore dell’area sul costo di costruzione, e, cioè, ha applicato il metodo analitico-ricostruttivo, proprio dei suoli edificatori, in riferimento ad un suolo che non è edificabile e per di più lo ha ancorato al valore del manufatto effettivamente realizzato, che di per sè costituisce un elemento esterno alle caratteristiche essenziali del bene irreversibilmente trasformato, alle quali il valore deve, invece, attenersi ed il risarcimento deve, appunto, ristorare.

5. La sentenza va pertanto cassata, restando assorbiti i due motivi del ricorso incidentale, coi quali il Comune deduce, rispettivamente: la violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 1181 c.c., per non avere la Corte disposto la restituzione della somma di Lire 14.310.000, pari ad Euro 7.390,50 corrisposta a titolo indennitario; la violazione dell’art. 324 c.p.c., per avere i giudici d’appello condannato al pagamento degli interessi sul risarcimento del danno dal 2.5.1978 invece che dal 2.5.1983, data di scadenza del periodo di occupazione legittima.

6. Il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’appello dell’Aquila in diversa composizione, provvederà, anche, a liquidare le spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo assorbito il ricorso incidentale, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello dell’Aquila in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2016

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