Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26959 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/11/2020, (ud. 08/07/2020, dep. 26/11/2020), n.26959

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanna Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25463/2015 R.G. proposto da:

C.B., G.N., in proprio, in qualità di soci e di

legali rappresentanti della C.B. & C. S.N.C.,

elettivamente domiciliati in Roma, via Ortigara 3 presso lo studio

dell’Avv. Michele Aureli, rappresentato e difeso dall’Avv. Silvia

Siccardi;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale

dell’Emilia Romagna n. 602/18/2015 depositata il 18 marzo 2015, non

notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale dell’8 luglio 2020

dal consigliere Dott. Gori Pierpaolo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna n. 602/18/2015, veniva rigettato l’appello proposto da C.B. & C. S.n.c., esercente attività di pizzeria d’asporto, e da C.B. e G.N. anche quali soci, avverso la sentenza n. 215/2/2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Rimini che a sua volta aveva parzialmente accolto il ricorso dei contribuenti avente ad oggetto un avviso di accertamento IVA e IRAP 2005.

– A seguito di questionario, sulla base del quale emergevano gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dall’attività di impresa svolta, veniva applicato un accertamento di tipo analitico-induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d) con ricorso anche a studio di settore. La CTP riduceva il reddito della società oggetto di accertamento in Euro 63.160,00, determinazione confermata in appello.

– Avverso la sentenza della CTR propongono ricorso i contribuenti con ricorso, affidato a sette motivi, cui l’Agenzia delle Entrate replica con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– In data 8 luglio 2020 si tiene l’adunanza camerale nell’aula d’udienza della sezione V civile del palazzo della Corte di Cassazione alla presenza dei magistrati pres. del collegio Enrico Manzon, cons. Ernestino Luigi Bruschetta, cons. Giovanni Maria Armone e con la presenza in collegamento remoto attraverso la piattaforma Microsoft Teams – individuata con decreto dirigenziale adottato ai sensi del D.L. n. 18 del 2020, art. 83 convertito in L. n. 24 del 2020 dal direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia e pubblicato sul portale dei servizi telematici in data 20 marzo 2020 – dei magistrati cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido Di Nocera e cons. Pierpaolo Gori, ai quali è assicurata la disponibilità agli atti attraverso la medesima piattaforma.

-Con il primo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 -, i ricorrenti deducono la nullità del procedimento per il mancato rispetto del litisconsorzio necessario tra le posizioni della società in nome collettivo e dei soci, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 14 e 29.

-Il motivo è destituito di fondamento. Va reiterato anche nel caso di specie che: “In materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento, che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società, riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali – sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa, a pena di nullità assoluta rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, limitatamente ad alcuni soltanto di essi” (Cass. 21 ottobre 2013 n. 23762; Cass. 4 giugno 2008 n. 14815).

– Orbene, il fatto che non siano stati ancora emessi distinti avvisi di accertamento nei confronti dei soci pro quota, non modifica il fatto che nella fattispecie vi è un accertamento unitario emesso nei confronti della società di persone e dei due soci per la ricostruzione del reddito di impresa per l’anno di imposta 2008 e il contraddittorio su tale thema decidendum è integro, non essendo stata prospettata da alcuno la presenza di altri soci diversi da quelli in causa.

– Con il secondo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 -, i contribuenti deducono la nullità del procedimento per l’omessa pronuncia da parte della CTR sul mancato rispetto da parte dell’Agenzia della L. n. 4 del 1929, art. 24, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione al motivo di appello in cui si deduceva l’illegittimità dell’accertamento per omessa previa notifica di processo verbale di constatazione.

– Il motivo è infondato in quanto a pag.4 della sentenza, benchè non sia citata espressamente la L. n. 4 del 1929, vi è una chiara pronuncia sul pertinente motivo di appello: “L’accertamento non doveva essere preceduto da notifica di un processo verbale di constatazione, come indirettamente ammette la stessa appellante nel suo atto.”. Peraltro, la pronuncia in senso sfavorevole ai ricorrenti appare anche conforme alla giurisprudenza di questa Corte, in quanto “In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.” e, anche in questo caso, la sua assenza non determina automaticamente l’illegittimità dell’accertamento, dovendo essere prospettata e sostanziata la c.d. “prova di resistenza” (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 24823 del 09/12/2015).

– Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. – i ricorrenti deducono l’illegittimo disconoscimento della deducibilità dei costi per carburante e detraibilità della relativa IVA, con illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 164, comma 1, lett. a), della L. 21 febbraio 1977, n. 31, art. 2, del D.P.R. n. 444 del 1997, artt. 2, 3 e 4, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-bis 1 nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 26, comma 2, n. 4.

-Il motivo è inammissibile. Il mezzo è al limite del generico in quanto si limita a riportare in nota l’ampio passaggio della sentenza censurata circa le riprese per costi carburante, affermando che la CTR si sarebbe attestata ad esporre le previsioni normative e giurisprudenziali in materia e avrebbe anche riconosciuto l’inerenza di tali costi alla attività di impresa. Il mezzo in ogni caso tende ad una indebita rivalutazione dell’accertamento di merito, in quanto non si concentra sulla ratio che ha decìso le riprese sui costi, in particolare il passaggio della sentenza secondo cui “La mancata firma del gestore sulle schede carburanti contenente l’esatta indicazione (nella specie mancante del numero iniziale e finale dei chilometri percorsi con ogni rifornimento) non consente di verificare la congruità dei rifornimenti effettuati e le distanze percorse con ciascun rifornimento.”

-Tale accertamento in fatto non è censurato con il motivo di ricorso e, quanto al regime della prova dei costi ai fini delle riprese in contestazione, va reiterato che “In tema di IVA, IRPEF ed IRAP, la possibilità di detrarre dall’imposta dovuta quella assolta per l’acquisto di carburanti, destinati ad alimentare i mezzi impiegati per l’esercizio dell’impresa, è subordinata al fatto che le cosiddette “schede carburanti”, che l’addetto alla distribuzione è tenuto a rilasciare, rispettino i requisiti di forma e di contenuto richiesti dalla legge e, quindi, siano redatte in conformità al modello allegato al D.P.R. 10 novembre 1997, n. 444, compresa l’indicazione chilometrica, necessaria a fini antielusivi, non surrogabile da altri documenti.” (Cass.Sez. 5, Sentenza n. 25122 del 26/11/2014 (Rv. 633703 – 01). Non vi sono ragioni per discostarsi da tali principi giurisprudenziali nel caso di specie che il giudice d’appello mostra di aver rispettato.

-Con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – i contribuenti censurano, circa l’asserita antieconomicità contestata loro con l’avviso impugnato, l’intervenuta cristallizzazione delle risultanze di uno studio di settore contenuto in un precedente verbale di accesso dell’Agenzia nei propri confronti e non sfociato in alcuna contestazione, con conseguente illegittimità della sentenza di appello che non ne ha debitamente tenuto conto, in violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d).

-Il motivo è infondato. Si richiama la giurisprudenza della S.C. secondo cui “La determinazione del reddito mediante l’applicazione degli studi di settore, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, è idonea a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa.” (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 23252 del 18/09/2019, Rv. 655077 – 01); dello stesso tenore, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 22347 del 13/09/2018, Rv. 650233 – 01).

– Orbene, nel caso di specie, l’accertamento non è fondato solo sullo scostamento tra dichiarazione e studio di settore applicato, idoneo comunque, per il principio giurisprudenziale sopra richiamato, a generare presunzioni gravi precise e concordanti, dal momento che i parametri applicati rappresentando la risultante dell’estrapolazione di una pluralità di dati, i quali rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d (Cass. 20 febbraio 2015 n. 3415; Cass. 13 luglio 2016 n. 14288).

– Nel caso in esame infatti è pacifica la circostanza che per numerosi anni di imposta (dal 2005 al 2009) la società ha dichiarato una produttività molto modesta, inidonea a remunerare il rischio dell’attività di impresa e non è desumibile dal sistema alcuna previsione in virtù della quale i contribuenti possano fare affidamento sul fatto che un precedente accertamento (del 2008) per altri fini disposto nei loro confronti non avesse generato un atto impositivo.

– Con il quinto motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – i contribuenti deducono la violazione della riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23 Cost. per non aver il giudice d’appello sanzionato il fatto che la metodologia applicata nell’accertamento non sarebbe stata prevista da alcuna norma e, comunque, non sarebbe stata applicata correttamente perchè la legge richiedeva che il meccanismo presuntivo partisse da dati certi non rinvenibili nel caso di specie.

– Preliminarmente trova accoglimento l’eccezione di inammissibilità del motivo per novità della questione sollevata in controricorso. Il mancato rispetto del principio di legalità in materia tributaria non risulta essere stato censurato con il ricorso introduttivo, nè riproposto in appello, dovendosi tenere ben distinta la questione dalla contestazione della metodologia del controllo condotta in concreto. I contribuenti richiamano al proposito una brevissima porzione del ricorso introduttivo, ma il riferimento nella nota n. 9 del ricorso riguarda solo l’intrinseca razionalità della metodologia di controllo.

-Specularmente, non è sufficiente la generica e succinta sintesi a pag. 13 del ricorso delle doglianze di appello, nell’ambito della quale non si identifica la censura di violazione di legge di cui al presente motivo, imperniata unicamente sull’art. 23 Cost.. Pertanto, non è possibile neppure considerare autonomamente scrutinabile la parte del motivo in cui viene censurato l’impiego del metodo di controllo in concreto (il “peso effettivo di un panetto di impasto lievitato”), perchè nessuna previsione di legge violata o non applicata è richiamata a supporto, diversa dall’art. 23 Cost, come visto questione nuova.

-Con il sesto motivo, – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – i ricorrenti censurano, circa l’orario di apertura della pizzeria soltanto nelle ore serali, l’illegittimità della sentenza per omesso esame del fatto – controverso e decisivo per il calcolo del volume di affari – che la pizzeria fosse esclusivamente da asporto, e del fatto che l’ufficio ha rinvenuto l’esercizio aperto in un diverso orario nell’accesso del 2010 e non nel 2008, anno di imposta cui afferiscono le riprese.

– Il motivo è inammissibile. Il vizio motivazionale denunciato sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la conclu-denza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, come nella specie (cfr. Cass. Sez. U. Sent. 5002 dell’11/06/1998, Cass. Sez. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16456 del 2013).

– Orbene i contribuenti, nel corpo del motivo in parola non evidenziano elementi di prova o fatti decisivi e contrari al ragionamento del giudice d’appello che non siano già stati soppesati in sede di merito, in particolare circa l’implausibilità di una produzione spalmata su un arco di sole tre ore giornaliere (tra le 19,30 e le 22,30) della pizzeria, a fronte non solo del fatto notorio di esercizi analoghi nelle stagioni turistiche con orari molto più ampi, ma anche della collocazione sul porto canale di Rimini, assai frequentato nella stagione, e della presenza di dipendenti a supporto del pizzaiolo.

– Con il settimo motivo, i ricorrenti deducono – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – l’omessa pronuncia da parte della sentenza gravata sull’autoconsumo di pizze, nell’anno oggetto di ripresa, da parte dei dipendenti, e del fatto che solo le bottiglie di acqua da 0,5 L. venivano vendute, mentre gli altri formati erano destinati all’autoconsumo.

– Il motivo, in disparte dalla condivisibile eccezione di inammissibilità per erronea formulazione come vizio processuale di una censura fattuale, è comunque destituito di fondamento. La questione dell’autoconsumo è stata ampiamente considerata dalla CTR, sia nell’esposizione del fatto processuale (p.3 della sentenza “non si era tenuto conto del c.d. “sfrido”, delle “consegne a vuoto”, dell’autoconsumo”, p.5 ibidem, sub D3) “ulteriori incongruenze in relazione alla determinazione delle bevande destinate all’autoconsumo”), sia in quella delle ragioni della decisione (p.8 ibidem “Lo sfrido è calcolato nella soglia massima del 10%, e i rilievi sul punto del contribuente sono irrilevanti perchè vengono addotti eventi di consumo improduttivo (…)”. Dunque, la denunziata omessa pronuncia neppure sussiste, mentre la diversa valutazione in merito alle questioni fattuali (autoconsumo di bottigliette superiori al mezzo litro ecc.), avrebbe dovuto comunque essere censurata come vizio motivazionale e deduzioni di elementi di fatto decisivi e contrari non considerati, ritualmente introdotti nel processo.

-In conclusione, il ricorso va rigettato e dal rigetto discende il regolamento delle spese di lite, secondo soccombenza, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione alla controricorrente delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00

oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo

unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

 

 

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