Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26954 del 22/10/2019

Cassazione civile sez. lav., 22/10/2019, (ud. 14/05/2019, dep. 22/10/2019), n.26954

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14243/2018 proposto da:

SITA SUD S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAIROLI N. 2, presso lo

studio dell’avvocato ANGELO ABIGNENTE, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.L., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIANQUIRINO CANTALUPO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 139/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 15/03/2018 r.g.n. 1012/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/05/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo e assorbiti gli altri;

udito l’Avvocato ANGELO ABIGNENTE;

udito l’Avvocato GIANQUIRINO CANTALUPO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Napoli, in accoglimento del reclamo proposto da C.L., ha dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato al detto lavoratore da SITA SUD s.r.l. ed ha condannato la società alla immediata reintegra del lavoratore nel posto di lavoro, al pagamento di un’indennità commisurata a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre accessori, ed al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento alla effettiva reintegrazione.

1.1. La statuizione di illegittimità del licenziamento, intimato sulla base di contestazione che addebitava al C. la indebita fruizione, nei giorni 6, 21, e 28 giugno 2016, di permessi concessi ex lege n. 104 del 1992, per la prestazione di assistenza alla suocera, assistenza in concreto non prestata, è stata fondata sulla considerazione – ritenuta, per il principio della ragione più liquida, di rilievo assorbente – che la condotta contestata, anche ove in ipotesi verificata ed effettivamente concretante una assenza indebita ottenuta in violazione dei principi di correttezza e buona fede con utilizzo strumentale dei permessi per i disabili, risultava, al più, punibile, sulla base del R.D. n. 148 del 1931 e della contrattazione di settore integrativa del primo, con sanzione conservativa; a tanto conseguiva, in applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, nel testo novellato dalla L. n. 92 del 2012, la tutela reale oltre che la condanna della società alla indennità risarcitoria.

3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso SITA SUD s.r.l. sulla base di tre motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

3.1. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 1175,1375 e 2106 c.c., L. n. 104 del 1992, art. 33,R.D. n. 148 del 1931, art. 42, art. 14 c.c.n.l. 27.11.2000, art. 32 c.c.n.l. 28.11.2005. Censura la sentenza impugnata per avere ricondotto la fattispecie contestata – assenza fruita in modo indebito, implicante abuso del diritto – a quella punita con sanzione conservativa dal R.D. n. 148 del 1931 e dal c.c.n.l. relativa alla responsabilità per le assenze ingiustificate. Tale configurazione assume – si pone in contrasto con i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di finalità proprie dei permessi per l’assistenza ad un portatore di handicap e di necessità della loro verifica in relazione al momento funzionale. In questa prospettiva si duole che la Corte di merito, senza procedere ad alcun concreto accertamento, avesse ritenuto che il C. aveva assicurato quanto meno una disponibilità di assistenza nei confronti della persona disabile. Assume, inoltre, il contrasto della pronunzia con i principi di correttezza e buona fede soprattutto in relazione al rilievo esterno dell’antigiuridicità e plurioffensività del comportamento del lavoratore.

2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti rappresentato dalla circostanza che in sede di audizione il lavoratore aveva ammesso di non avere prestato l’assistenza dovuta al parente handicappato, circostanza che assume essenziale e concludente al fine di una diversa ricostruzione fattuale anche sotto il profilo della consapevolezza della illegittimità della condotta tenuta.

3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, falsa applicazione dell’art. 14, all. A, del c.c.n.l. 27.11.2000 nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti rappresentato dalla circostanza che il lavoratore, per il profilo rivestito e per il servizio di appartenenza, non era destinatario della normativa pattizia di cui citato art. 14, all. A c.c.n.l. 27.11.2000., del quale la società aveva sempre contestato l’applicabilità al rapporto in oggetto.

4. Il primo motivo è inammissibile.

4.1. Preliminarmente occorre rilevare che parte controricorrente ha formulato eccezione di giudicato (v. controricorso, pag. 12) in relazione alla statuizione della sentenza di primo grado nella parte in cui accoglieva parzialmente la domanda per assenza di proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto all’infrazione commessa quale prescritto dall’art. 2106 c.c., ritenendo, quindi, la insussistenza della giusta causa di licenziamento. Ha fondato tale eccezione sul rilievo che la società non aveva proposto reclamo avverso la sentenza resa in sede di opposizione con la quale era stata confermata la ordinanza della fase sommaria che, ritenuta sproporzionata la sanzione espulsiva, aveva dichiarato risolto il rapporto e condannato la società datrice al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.

4.2. La vicenda processuale dipanatasi nella fase di merito alla base della eccezione può ritenersi acclarata trovando riscontro nello storico di lite della sentenza impugnata (v. sentenza, pagg. 2 e 3) non specificamente contrastato sul punto dal ricorrente. Pacifico il fatto processuale, ritiene il Collegio che la censura articolata con il primo motivo di ricorso risulti preclusa dall’acquiescenza prestata dalla società alla sentenza del Tribunale in relazione alla statuizione che aveva confermato la ordinanza della fase sommaria in punto di illegittimità dell’intimato licenziamento per difetto di proporzionalità della sanzione; ciò in ragione della presunzione di rinunzia collegabile ai sensi dell’art. 346 c.p.c., alla condotta processuale della società.

4.3. Tanto assorbe anche il profilo connesso alla inconfigurabilità di un giudicato interno sulla statuizione di illegittimità del licenziamento, fondata sul difetto di proporzionalità della sanzione espulsiva, espressamente investita dal lavoratore il quale, secondo quanto evincibile dallo storico di lite della sentenza impugnata (pag.3) in sede di reclamo aveva inteso far valere la nullità radicale del provvedimento datoriale per violazione del procedimento disciplinare. Se, invero, la riproposizione della questione della natura del profilo patologico del provvedimento datoriale comporta che la relativa questione doveva ritenersi ancora sub iudice in sede di reclamo ciò non implica la giuridica possibilità della società di impugnare la statuizione sul punto stante, comunque, la preclusione connessa alla rinunzia ex art. 346 c.p.c.. Da tanto deriva che l’odierna ricorrente non può più rimettere in discussione la valutazione di illegittimità del licenziamento – alla quale ha dimostrato di prestare acquiescenza – ma solo le conseguenze connesse a tale illegittimità e quindi solo la tutela, più ampia, attribuita dal giudice del reclamo in parziale riforma della sentenza impugnata.

4.4. Le censure articolate con il motivo in esame, tuttavia, nulla deducono specificamente in relazione alla tutela riconosciuta in quanto, laddove assumono la non riconducibilità della fattispecie concreta a quella punita con sanzione conservativa dal contratto collettivo lo fanno esclusivamente in funzione di una valutazione in termini di maggiore gravità dell’illecito ascritto. Nulla è argomentato, infatti, in punto di conseguenze connesse alla mancata tipizzazione dell’illecito disciplinare nella previsione collettiva.

5. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile in quanto oltre a non essere articolato con modalità coerenti all’attuale configurazione del vizio di motivazione per non essere il fatto del quale si denunzia omesso esame evocato nel rispetto del principio di autosufficienza ma solo, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, mediante rinvio agli scritti difensivi della società, tende comunque a rimettere in discussione la questione della legittimità del licenziamento la quale deve ritenersi preclusa per le ragioni evidenziate nell’esame del motivo precedente.

6. Il terzo motivo è anch’esso inammissibile per la dirimente considerazione che esso è inteso ad incidere sulla statuizione di illegittimità del licenziamento in violazione della rilevata preclusione. Tanto assorbe gli ulteriori profili di inammissibilità connessi alla modalità non autosufficiente dell’articolazione della censura laddove si limita ad un rinvio per relationem agli scritti difensivi della società relativi alla dedotta inapplicabilità al rapporto in oggetto dell’art. 14, all. A del c.c.n.l. e laddove richiama le ammissioni del C. in sede disciplinare.

7. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.

8. Sussistono i presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2019

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