Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2695 del 04/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 04/02/2011, (ud. 07/10/2010, dep. 04/02/2011), n.2695

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

STELLA S.P.A. elettivamente domiciliata in Roma, Viale B. Bozzi, n.

102, nello studio dell’Avv. Prof. Guglielmo Fransoni; rappresentata e

difesa dall’Avv. Prof. Russo Pasquale, giusta procura speciale a

margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, nei cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, 12,

è domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, n. 37/18/02, depositata in data 18.7.2002;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

7.10.10 dal Cons. Dott. Pietro Campanile;

Udito per la ricorrente l’Avv. Roberto Esposito, con delega dell’Avv.

Russo;

Sentito l’Avv. Gen. dello Stato Paola Maria Zerman;

Udito il P.M., nella persona del Sost. P.G. Dott. CICCOLO Pasquale

Paolo Maria, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – La Stella S.p.a., in persona dell’amministratore pro-tempore, proponeva opposizione avverso l’avviso di liquidazione emesso dall’Ufficio del Registro di Firenze, concernente la maggiore imposta INVIM derivante dal classamento di un bene immobile, in relazione al quale, nell’atto di compravendita, era stata avanzata richiesta di attribuzione delle rendita ai sensi della L. n. 154 del 1988, art. 12. Veniva dedotto che il nuovo classamento, oltre ad essere incongruo ed inficiato dal. riferimento a dati erronei, non poteva considerarsi definitivo, in quanto non notificato alla società.

1.1 – La Commissione tributaria provinciale di Firenze rigettava il ricorso, con decisione che veniva confermata dalla Commissione tributaria regionale della Toscana con la sentenza indicata in epigrafe.

In particolare, la Commissione tributaria regionale, richiamate le argomentazioni dei giudici di primo grado, ribadiva che la società avrebbe dovuto proporre ricorso nei confronti dell’U.T.E..

1.2 – Per la cassazione di tale decisione la contribuente propone ricorso, affidato ad unico motivo. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso, nel quale eccepisce, in via pregiudiziale, la tardività del ricorso, in quanto proposto fruendo della sospensione prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, ritenuta inapplicabile nella fattispecie in esame.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. In via preliminare va richiamata la decisione delle Sezioni unite di. questa Corte n. 4289 del 2010, che ha affermato l’applicazione, nell’ipotesi qui considerata, della L. n. 289 del 2002, art. 16, con conseguente infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Agenzia delle Entrate.

2.1 – Il ricorso è infondato.

Con unico motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sostenendo che la Commissione tributaria regionale, nel. rilevare che la società avrebbe dovuto impugnare l’atto di classamento nei confronti dell’UTE, non aveva considerato che in realtà, in ossequio a quanto affermato da Corte Cost. nella decisione n. 463 del 1995, l’atto di classamento era stato impugnato unitamente all’avviso di liquidazione, ragion per cui “la decisione della Commissione di non integrare il contraddittorio non può ridondare a sfavore della parte che ha diligentemente esercitato il proprio diritto di difesa”. Il vizio motivazionale consisterebbe nella valutazione della possibilità di impugnare “in astratto” l’atto di classamento, senza considerare che la parte lo aveva, censurato “in concreto”.

2.2 – La ricorrente non critica la decisione impugnata, sotto profili diversi dal vizio motivazionale, nella parte in cui si afferma che le doglianze inerenti al classamento avrebbero dovuto essere proposte nei confronti dell’U.T.E., ora Agenzia del Territorio.

Rilevato, ai fini dell’individuazione del quadro normativo di riferimento, che l’avviso di liquidazione impugnato era stato notificato il 23 novembre 1998, va osservato che, sulla base del tenore letterale del D.L. n. 70 del 1988, art. 12 (che richiama espressamente, tra l’altro, il solo D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4 e non anche il primo comma della stessa disposizione), poichè il meccanismo della determinazione automatica del valore del bene disciplinato dal comma 4, è alternativo rispetto a quello previsto dal primo comma, quando trova applicazione il D.L. n. 70 del 1988, art. 12, l’ufficio non può esercitare il potere di rettifica o di accertamento, ma deve limitarsi a procedere alla determinazione automatica del valore” (Cfr. Cass., 29 settembre 2000, n. 12932, in cui si sottolinea come sarebbe “contraddittorio ammettere che il contribuente, dopo aver chiesto di avvalersi del metodo di valutazione automatica, possa, poi rimettere in discussione l’intero rapporto tributario, contestando la valutazione stessa”).

Va d’altra parte rilevato che la Corte costituzionale – nel dichiarare non fondata, con riferimento all’art. 24 Cost., comma 2, la questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 70 del 1988, art. 12, nella parte in cui non prevede che il certificato contenente l’attribuzione della rendita da parte dell’u.t.e. trasmesso all’ufficio del registro sia anche comunicato e notificato al contribuente (cfr. sent. n. 463 del 1995; cfr. anche l’ord. n. 367 del 1998, che ha dichiarato manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., la medesima questione) – ha affermato che “la trasmissione del certificato in parola rimane tutta interna al procedimento impositivo, costituendo semplice atto prodromico alla determinazione del valore imponibile”, aggiungendo che l’attribuzione della rendita acquista rilevanza per il contribuente, solo in quanto produttiva della determinazione forfetaria che egli a-veva richiesto come limite al potere di accertamento dell’ufficio e che, “prodottasi questa, nel giudizio dinanzi alla commissione tributaria adita per impugnare l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro (come pure dell’INVTM), l’interessato ha accesso all’impugnativa dell’atto di classamento e dunque la possibilità di offrire anche elementi atti a dimostrare una valutazione dell’immobile erronea e non conforme ai parametri legali: esattamente come se, venuto a conoscenza attraverso l’avviso di liquidazione della rendita, egli autonomamente impugnasse l’atto di attribuzione, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 1 e 16 (secondo l’accezione estensiva che la giurisprudenza ormai consolidata conferisce a quest’ultima norma), nonchè a norma dell’ancor più esplicito dettato del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 2 e 19 lett. f)”.

2.3 – Non essendo seriamente dubitabile la diretta impugnabilità dell’atto di classamento, deve porsi in rilievo come nel ricorso si deduce vizio motivazionale, proponendosi una distinzione fra impugnabilità in astratto e in concreto ed alludendosi, per altro, (così contraddicendo tale distinzione, per il vero alquanto artificiosa), all’omessa integrazione del contraddittorio. In realtà la Commissione tributaria regionale non ha disconosciuto le censure rivolte “in concreto” all’atto di classamento, essendosi limitata a rilevare (correttamente, come verrà appresso evidenziato) la necessità di impugnare il classamento stesso nei confronti dell’UTE:

deve pertanto osservarsi che il vizio di motivazione può riguardare solo un accertamento di fatto, onde sotto tale aspetto il ricorso si appalesa i-nammissibile.

2.4 – A ben vedere, la distinzione fra impugnabilità in astratto e in concreto dell’atto di classamento è per altro verso priva di utili approdi: soccorre, in proposito, l’insegnamento secondo cui la facoltà, riconosciuta al contribuente dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, comma 3, d’impugnare l’atto di attribuzione della rendita catastale, precedentemente non notificato, unitamente all’avviso di liquidazione della maggiore imposta che in funzione di esso veda definita la sua base imponibile, è condizionata alla proposizione dell’impugnativa non solo nei confronti dell’Ufficio che ha emanato l’avviso di liquidazione, rispetto al quale l’atto di classamento si configura come atto presupposto, ma anche nei confronti dell’UTE o dell’Agenzia del territorio, che tale atto hanno emesso. Il carattere impugnatorio del processo tributario, avente un oggetto circoscritto agli atti che scandiscono le varie fasi del rapporto d’imposta, e nel quale il potere di disapplicazione del giudice è limitato ai regolamenti ed agli atti amministrativi generali, implica infatti che legittimati a contraddire in merito all’impugnativa dell’atto presupposto siano unicamente gli organi che l’hanno adottato. Questi ultimi, peraltro, non assumono la posizione di litisconsorti necessari nel giudizio d’impugnazione dell’avviso di liquidazione, la cui autonomia rispetto all’impugnazione dell’atto di classamento comporta che alla carente instaurazione del contraddittorio non può rimediarsi attraverso l’ordine di integrazione ai sensi dell’art. 102 cod. proc. civ.: tra le due cause, infatti, sussiste soltanto un vincolo di pregiudizialita logica, che potrebbe dar luogo al “simultaneus processus” solo in via di riunione successiva ovvero di iniziale litisconsorzio facoltativo (Cass., 22 marzo 2006. n. 6386; Cass., 17 marzo 2008, n. 7107).

2.5 – L’ubi consistam della presente vicenda processuale va dunque individuato nell’insanabilità dell’omissione relativa all’impugnazione dell’atto di classamento nei confronti dell’UTE: il vizio motivazionale denunciato, oltre a presentare i profili di infondatezza e di inammissibilità evidenziati, appare, in relazione a tale aspetto, assolutamente privo del carattere della decisività.

2.6 – Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 7 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2011

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