Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26941 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud. 15/10/2020, dep. 26/11/2020), n.26941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6933-2018 proposto da:

G.F., G.P., in proprio e nella qualità di

eredi di G.R.E., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA ORTIGARA 3, presso lo studio dell’avvocato CATERINA ALAGGIO,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIANNI FERRARA;

– ricorrenti –

contro

M.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE CITTA

D’EUROPA 623, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO LA RUSSA,

rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO RUSSO;

– controricorrente –

contro

C.S., C.F., C.D.,

P.B.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1455/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 27/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.F. convenne in giudizio G.R.E., G.F., G.P. e M.S. per sentirli condannare all’eliminazione delle infiltrazioni che interessavano il locale di mq. 361, posto a piano terra di un edificio condominiale sito in (OMISSIS), di cui era proprietaria per due terzi, e possessore per l’intero, nonchè all’eliminazione delle cause di tali infiltrazioni, sostenendo che queste provenissero dal sovrastante appartamento di proprietà dei G. e condotto in locazione da M.S.; chiese, altresì, la condanna dei convenuti alla rimozione di una veranda realizzata dalla M. sul terrazzino interno dell’appartamento da essa condotto in locazione, perchè causa di stillicidio nell’adiacente terrazzino di sua proprietà, e la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni patiti anche da mancata locazione del magazzino, con vittoria di spese ed onorari del giudizio.

Si costituirono G.R.E., G.F. e G.P., contestando la fondatezza della domanda attorea, ed indicando M.S. quale unica responsabile dei danni lamentati dall’attrice, perchè aveva più volte impedito ai proprietari dell’appartamento in questione la realizzazione dei necessari interventi volti ad eliminare le infiltrazioni e le loro cause.

Si costituì pure M.S., contestando ogni tipo di responsabilità per le infiltrazioni lamentate, sostenendo, invece, che fossero i proprietari dell’appartamento dalla medesima condotto in locazione a dover provvedere a realizzare gli interventi di straordinaria manutenzione; si impegnò ad eliminare il lamentato stillicidio proveniente dalla veranda posta sul terrazzino interno dell’appartamento; chiese, pertanto, l’estromissione dal processo per carenza di legittimazione passiva, con vittoria di spese di lite.

Nelle more del giudizio, con ricorso ex artt. 688 e 669-quater c.p.c., P.F. denunciò il timore di subire un imminente danno al suo locale, atteso lo stato di degrado del solaio.

Il giudice, rilevato che il C.T.U. all’uopo nominato aveva riconosciuto il pericolo di crollo del solaio ed aveva ritenuto l’esigenza di agire con urgenza all’eliminazione di tale pericolo, con provvedimento del 17 maggio 2011, ordinò ai G. di eseguire le opere indicate dal consulente d’ufficio ed a M.S. di cooperare al fine di consentire la realizzazione dei lavori.

Il Giudice, su richiesta di P.F., con ordinanza del 20 settembre 2011, autorizzò l’istante ad eseguire in proprio i lavori inerenti al proprio locale, la cui esecuzione era stata già ordinata ai G., e ritenne irrilevante la deduzione di questi ultimi in merito alla eventuale nuova e diversa causa delle infiltrazioni – a seguito del ritrovamento nella colonna della rete fognaria di un tubo metallico rispetto a quelle indicate dal CTU.

I G. allegarono nuovamente tale circostanza, nel giudizio di merito, chiedendo di essere autorizzati a chiamare in causa il Condominio, richiesta rigettata dal giudice, in quanto tardiva.

Con sentenza n. 2463/2013, depositata il 14 ottobre 2013, il Tribunale di Catanzaro condannò in solido G.F., G.P. e G.R.E. al rifacimento completo degli impianti idrico e fognario dell’appartamento di loro proprietà, alla sostituzione della tubazione di scarico delle acque piovane per porre fine allo stillicidio lamentato, secondo le indicazioni specificate dal C.T.U. nel supplemento alla consulenza tecnica, al pagamento, in solido tra loro, della somma di Euro 3.841,73, oltre rivalutazione monetaria a titolo di danno emergente, al pagamento, in solido tra loro, della somma di Euro 1.068,56 per ogni mese di mancata utilizzazione del locale della P. per il periodo “tra agosto 2006 sino a dicembre 2011”, oltre rivalutazione monetaria ed interessi; rigettò tutte le domande proposte nei confronti di M.S. e regolò tra le parti le spese di quel grado, in esse comprese quelle di c.t.u..

Avverso tale sentenza, proposero appello G.F. e G.P., in proprio ed in qualità di eredi di G.R.E..

Si costituirono C.S., C.F., C.D., in persona del suo procuratore generale C.V., e P.B., tutti eredi di P.F., chiedendo, per quanto ancora rileva in questa sede, l’inammissibilità o il rigetto dell’atto di appello e, in via incidentale, il riconoscimento della responsabilità concorrente di M.S. e la riforma della sentenza sul punto della condanna della P. al pagamento della metà delle spese di lite sostenute dalla M., da porre a totale carico, invece, dei G., con condanna delle controparti al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio.

Si costituì, altresì, M.S., chiedendo il rigetto dell’appello, e, in via subordinata, il rinnovo della c.t.u., con vittoria delle spese del giudizio in favore del proprio procuratore distrattario.

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza n. 1455/17, pubblicata il 27 luglio 2017, accolse in parte l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, rigettò la domanda proposta nell’atto di citazione da P.F. nei confronti di G.F., G.P. e G.R.E. avente ad oggetto la condanna alla rimozione delle opere abusivamente realizzate sul terrazzino dello stesso appartamento che causano stillicidio nell’adiacente terrazzino di proprietà della stessa P.; dichiarò inammissibile l’appello incidentale; compensò per 1/3 le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito tra gli appellanti in via principale e gli appellati eredi P., spese che pose, per i restanti due terzi, a carico dei primi e compensò le spese di quel grado tra le altre parti e confermò, nel resto, la decisione impugnata.

Avverso la sentenza della Corte di merito G.F. e G.P., in proprio e nella qualità di eredi di G.R.E., hanno proposto ricorso per cassazione basato su cinque motivi, cui ha resistito M.S. con controricorso.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, i ricorrenti sostengono che la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che la causa delle infiltrazioni lamentate sia da ricondursi alle condizioni degli impianti situati nell’appartamento dei G. sarebbe erronea, in quanto dalle c.t.u. fatte proprie dalla Corte di merito non risulterebbe provata la causa delle infiltrazioni in questione essendosi gli ausiliari del giudice, ing. M. e ing. A., limitati a verificare lo stato dei luoghi e ad ipotizzare che la causa delle infiltrazioni risiedesse nello stato di usura degli impianti idrici e fognari dei G., senza visionare tali impianti “a nudo”; lamentano che i Giudici di merito abbiano emesso la sentenza impugnata in base alle deduzioni logiche fatte dai C.T.U. e ritenuto irrilevante la circostanza che in sede di esecuzione dell’ordinanza del 17 maggio 2011 era stato accertato che all’interno della colonna di scarico, nella fase di sturamento, era stato rinvenuto un tubo di piombo che provocava l’intasamento nella stessa colonna, facendo fuoriuscire l’acqua all’interno dell’appartamento.

Rappresentano, inoltre, i ricorrenti di aver evidenziato la ricordata circostanza al Tribunale e chiesto di essere autorizzati a chiamare in causa il condominio e di disporre una nuova c.t.u., istanze disattese dal primo Giudice.

Ad avviso dei ricorrenti, “non solo l’impianto idrico e fognario degli appellanti (oggi ricorrenti) non ha avuto alcun(a) conseguenza sulle infiltrazioni d’acqua, ma le cause individuate confermano e non escludono la responsabilità del condominio circa la causa delle infiltrazioni di acqua, dovuta al rinvenimento del tubo di carico che provocava l’intasamento nella stessa facendo fuoriuscire l’acqua all’interno dell’appartamento”.

Conclusivamente, ritengono i ricorrenti che la sentenza impugnata in questa sede si porrebbe “in violazione degli artt. 2051 e 2697 c.c., poichè ha ritenuto la responsabilità dei G., malgrado la causa delle lamentate infiltrazioni non può essere ricondotta agli impianti situati nell’appartamento degli appellanti”.

1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto con lo stesso si deduce, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., ord., 4/04/2017, n. 8758); comunque, si rileva pure che non sono state riportate testualmente, almeno per la parte che rileva in questa sede, le relazioni dei C.T.U. nè è stato specificamente indicato quando è stata prodotta e ove sia ora reperibile la dichiarazione del 21 giugno 2011 del legale rappresentante della ditta RP Costruzioni S.r.l., R.V., cui si fa riferimento nel mezzo all’esame, non valendo, al riguardo, le generiche indicazioni fornite a p. 12 del ricorso, nell’illustrazione del secondo motivo.

2. Con il secondo motivo, lamentando l'”omesso esame di un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″, i ricorrenti denunciano che la Corte di merito abbia emesso la sentenza impugnata omettendo di valutare sia la dichiarazione del legale rappresentante della ditta RP Costruzioni S.r.l., già richiamata, e relativa al rinvenimento di un tubo di piombo all’interno della colonna di scarico, sia le tre foto in atti prodotte unitamente a tale dichiarazione e al ricorso ex art. 613 c.p.c..

2.1. Il motivo è inammissibile, valendo al riguardo quanto appena evidenziato con riferimento al primo motivo circa le non specifiche indicazioni in relazione a quando siano state prodotte e ove siano ora reperibili la dichiarazione del 21 giugno 2011 del legale rappresentante della ditta RP Costruzioni S.r.l., R.V., e le foto a tale dichiarazione allegate, cui si fa riferimento nel mezzo all’esame, rilevandosi che neppure è stato precisato, nel predetto motivo, se il fascicolo relativo all’istanza ex art. 613 c.p.c., inerente all’esecuzione dell’ordinanza del 17 maggio 2011, sia stato allegato al fascicolo del giudizio di cognizione e se, comunque, sia stato prodotto agli atti del presente giudizio ed essendosi poi i ricorrenti limitati a precisare, soltanto nell’illustrazione del terzo mezzo, che il ricorso ex art. 613 c.p.c., è stato depositato in data 15 luglio 2011 ma non hanno indicato dove sia ora reperibile.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti, lamentando “violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., erronea valutazione del materiale probatorio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, ribadiscono che la Corte di merito non avrebbe valutato i fatti già ricordati nel primo motivo e di cui era stata dedotta la decisività e assumono che la valutazione delle prove operata dalla Corte territoriale sarebbe logicamente insostenibile, non risultando dimostrata dalle c.t.u. cui la predetta Corte ha fatto riferimento la causa della infiltrazioni in questione.

3.1. Il motivo è inammissibile, in quanto tende ad una rivalutazione del merito non consentita in questa sede; ed invero l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 2/08/2016, n. 16056).

Peraltro, si osserva che, come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 30/11/2016, n. 24434; Cass. 12/10/2017, n. 23940).

4. Con il quarto motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1227,2051, e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, i ricorrenti denunciano che la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto che la P. avesse assolto il proprio onere probatorio sia in ordine al danno emergente che al lucro cessante.

4.1. Il motivo è inammissibile in quanto tende ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede, come già osservato esaminando alcuni dei motivi che precedono.

5. Con il quinto motivo si lamenta “contraddittorietà ed omessa motivazione in ordine al rinnovo della CTU nonchè omesso esame di un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

I ricorrenti, oltre a reiterare le loro doglianze circa la valutazione operata dalla Corte territoriale in ordine alle cause delle infiltrazioni in parola, in quanto tale Corte non avrebbe tenuto conto che le conclusioni dei C.T.U., ing. M. e ing. A., sarebbero smentite dal rinvenimento di un tubo all’interno della colonna di scarico nè avrebbe approfondito tale circostanza ritenendola irrilevante e ribadiscono che, come già evidenziato nel primo motivo, “non solo l’impianto idrico e fognario degli appellanti (oggi ricorrenti) non ha avuto alcun(a) conseguenza sulle infiltrazioni d’acqua, ma le cause individuate confermano e non escludono la responsabilità del condominio circa la causa delle infiltrazioni di acqua”.

Infine, i ricorrenti lamentano che la Corte di merito, in relazione all’istanza di rinnovo della c.t.u., non avrebbe “speso una sillaba, limitandosi con l’ordinanza… depositata in cancelleria in data 27.01.2017 a dire che le richieste istruttorie appaiono inutili”.

5.1. Il motivo è inammissibile in quanto anche il mezzo all’esame tende, in sostanza, ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede.

A quanto precede va pure aggiunto che neppure è riportato il tenore letterale del verbale di udienza del 24 novembre 2000 (cui si fa riferimento a p. 16 del ricorso), relativo ad altra causa – avente NRG 103/1978 e inerente alla divisione dei beni di cui si discute -, non meglio specificata neppure in ordine all’A.G. dinanzi alla quale si svolge o si è già svolta, con conseguente difetto di specificità della censura proposta, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Infine, va osservato che il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova c.t.u., atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali di quel giudice, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (Cass. 29/09/2017, n. 22799); nè l’eventuale provvedimento negativo può essere censurato in sede di legittimità deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando – come nel caso all’esame – dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti comunque l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta (Cass., ord., 20/08/2019, n. 21525), tanto più quando, come nella specie, gli stessi ricorrenti hanno rappresentato che la Corte di merito ha ritenuto, con ordinanza, l’inutilità delle richieste istruttorie (v. ricorso p. 19) nè hanno dedotto di aver reiterato specificamente tale richiesta in sede di precisazione delle conclusioni in appello.

6. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

7. Atteso che i motivi di ricorso non investono direttamente la posizione della controricorrente, le spese del presente giudizio di legittimità ben possono essere compensate per intero tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

La corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa per intero tra i ricorrenti e la controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

 

 

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