Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26938 del 02/12/2013


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Civile Sent. Sez. U Num. 26938 Anno 2013
Presidente: RORDORF RENATO
Relatore: PICCININNI CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Cassani Traverso Edilia Maria e Boschi Orlandini
Federico, elettivamente domiciliati in Roma, via
Crescenzio 25, presso l’avv. Piero Nodaro, che con gli
avv. Riccardo Ravera e Tommaso Limardo li rappresenta e
difende giusta delega in atti;

– ricorrenti e controri correnti al ricorso
incidentale contro

Data pubblicazione: 02/12/2013

De Stefano Carmelo e Buchignani Nada, elettivamente
domiciliati in Roma, via Vespucci 29/1, presso l’avv.
Piero Amenta, che con l’avv. Gianni Bissocoli li
rappresenta e difende giusta delega in atti;

controricorrenti ricorrenti incidentali

849/06 del 12.8.2006.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22.10.2013 dal Relatore Cons. Carlo
Piccininni;
Uditi gli avv. Nodaro per Cassani Traverso e Sivieri su
delega per De Stefano;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Umberto Apic, che ha concluso per il
rigetto del primo motivo del ricorso principale.
Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione del 5.3.1987 i coniugi Carmelo
De Stefano e Nada Buchignani convenivano in giudizio
davanti al Tribunale di Genova Paola Boschi, chiedendo
che fosse accertata l’autenticità della sottoscrizione
apposta da quest’ultima nella scrittura privata del
25.4.1960, con la quale era stata trasferita in loro
favore la proprietà di un immobile sito in Genova, via
Vespucci 29 ( del quale peraltro la proprietaria aveva
mantenuto in parte la disponibilità ), e fosse inoltre

2

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n.

dichiarato che con il detto contratto – e per effetto
dell’intervenuta alienazione – era stata costituita una
rendita vitalizia a vantaggio della cedente ovvero,
subordinatamente, che il bene era stato ceduto con
riserva di proprietà in favore dell’alienante, fino

ratei pattuiti.
Secondo gli attori i patti originari sarebbero stati
però modificati nel 1979, e per l’effetto sarebbero
stati concordati: un nuovo corrispettivo, che in
precedenza era stato stabilito con obbligo di
versamento mensile di somma composta da rata di prezzo
e canone di locazione; un diverso criterio di
adeguamento del dovuto, da aggiornare continuativamente
in relazione agli indici del costo della vita; una
maggiore ampiezza della disponibilità dell’immobile da
parte degli acquirenti, il cui possesso si sarebbe
esteso anche all’appartamento sito al piano terreno, di
cui la Boschi aveva dapprima mantenuto il godimento.
Tale asserita modifica degli accordi veniva tuttavia
contrastata

dall’originaria

convenuta

che,

costituitasi, deduceva da una parte l’inesistenza di
interventi modificativi e, dall’altra, l’inadempimento
degli attori rispetto all’obbligo di pagamento del
corrispettivo, quale aggiornato secondo gli accordi

3

alla data della morte o dell’integrale pagamento dei

fissati con la prima pattuizione.
Per effetto dei denunciati inadempimenti sollecitava
quindi la declaratoria di risoluzione del contratto, in
applicazione della clausola risolutiva espressa
negozialmente prevista o, in subordine, per eccessiva

2. Il 13.5.1988 la stessa Boschi poi citava in giudizio
De Stefano e Buchignani per sentirli condannare al
rilascio dell’immobile in questione, in quanto occupato
senza titolo, giudizio che veniva riunito al precedente
e che veniva concluso con sentenza non definitiva del
30.6.1992, con la quale il tribunale, nell’opposizione
dei coniugi De Stefano che sostenevano di aver
acquisito la disponibilità anche dell’appartamento del
piano giardino inferiore a seguito delle intese del
1979, dichiarava autentiche le sottoscrizioni apposte
sulla scrittura privata del 25.4.1960; dichiarava
intervenuta la vendita dell’immobile, con riserva di
proprietà in favore della venditrice fino alla morte
ovvero fino all’integrale pagamento dei ratei pattuiti;
respingeva la domanda di risoluzione; condannava gli
attori al pagamento delle differenze di corrispettivo,
– da determinare nel prosieguo secondo l’originario
criterio di adeguamento stabilito, nonché al rilascio
dell’appartamento al piano terreno con box e porzione

4

onerosità ex art. 1467 c.c.

di giardino, oltre al risarcimento del danno per la sua
occupazione a far tempo dal l ° gennaio 1987,
risarcimento da quantificare in separata sede.
3. La decisione veniva impugnata da entrambe le parti e
la Corte di appello, con sentenza del 22.9.1997,

aumenti dei ratei del corrispettivo previsti dal
contratto 25.4.1960 per il periodo antecedente al
gennaio 1977, dichiarava inoltre ” il box posto al
piano fondi della villa di cui al contratto 25.4.1960
di pertinenza ” di Di Stefano e Buchignani, e quindi
non

dovuta

alcuna

indennità

per

la

relativa

utilizzazione, rigettava infine le ulteriori richieste.
7.

Prima della pubblicazione della sentenza ora

richiamata, confermata in sede di legittimità in data
14.7.2000, veniva emessa dal Tribunale di Genova ( il
9.2.1996 ) anche la sentenza definitiva, che condannava
De Stefano e Buchignani al pagamento in favore della
Boschi di £. 64.652.774, oltre interessi e spese, per
adeguamento canoni e ripianamento degli arretrati,
importo ulteriormente lievitato per l’avvenuto
riconoscimento del danno da svalutazione monetaria in
sede di gravame ( sentenza della Corte di appello del
24.5.1999 ), e che veniva poi corrisposto alla
creditrice con due distinti versamenti di £. 80.758.244

5

C–

dichiarava prescritto il diritto della Boschi agli

( assegno circolare con valuta 8.5.1996 ) e di L.
102.488.881 ( bonifico del 2.7.1999 ).
5.

Successivamente

all’avvenuto

regolamento

del

rapporto fra le parti, e più precisamente in data
16.9.1999, Edilia Cassani Traverso, nella qualità di

citava quindi nuovamente in giudizio la coppia De
Stefano – Buchignani, chiedendo la risoluzione del
contratto del 25.4.1960 per inadempimento dell’obbligo
di rivalutazione del corrispettivo contrattuale nel
periodo successivo all’instaurazione del precedente
giudizio, avvenuta il 13.5.1988, nonché il pagamento di
quanto dovuto dai convenuti per differenza canoni ( o
per indennità di occupazione ), oltre al risarcimento
del danno.
I convenuti, costituitisi, deducevano l’inammissibilità
e comunque l’infondatezza della domanda – che veniva
poi sostenuta nel corso del giudizio da Edilia Cassani
Traverso e Federico Boschi Orlandini, quali eredi di
Paola Boschi nel frattempo deceduta -, prospettazione
che il Tribunale di Genova in composizione monocratica
accoglieva parzialmente con sentenza non definitiva del
19.9.2002, con la quale escludeva la configurabilità
di un giudicato implicito sulla non importanza
dell’inadempimento di De Stefano – Buchignani per il

6

procuratore generale di Edilia Boschi vedova Cassani,

periodo successivo all’introduzione del giudizio di
risoluzione ( avvenuta il 13.5.1988 ), mentre viceversa
affermava l’esistenza di un giudicato implicito, con
riferimento alla vigenza del contratto nel periodo
13.5.1988 – 31.12.1994.

stesso tribunale di Genova dichiarava poi inammissibile
la domanda di nullità del contratto del 25.4.1960, e
respingeva le altre domande dell’attrice e dei suoi
successori, ” dando atto dell’efficacia liberatoria, ai
sensi dell’art. 1210 c.c., del deposito effettuato da
De Stefano Carmelo e Buchignani Nadia, come da verbale
28.3.2003 “.
5 a ). Entrambe le sentenze ( definitiva e non )
venivano impugnate davanti alla Corte di appello, che
confermava la contestata decisione osservando
segnatamente, sui diversi punti sottoposti al s
esame: che ” la rilevanza della contestata gravità
dell’inadempimento ” non sarebbe stata componente del
giudicato della sentenza 658/1997, successivamente
confermata dal giudice di legittimità con sentenza
9536/2000, e ciò in quanto la prospettazione dello
stesso argomento proposto con la precedente azione di
risoluzione ” non significa di per sé riproporre la
stessa domanda

che ai fini della valutazione

Con successiva sentenza definitiva del 4.6.2004 lo

dell’importanza

dell’inadempimento

occorre

fare

riferimento esclusivo alla situazione esistente al
momento della proposizione dell’azione giudiziaria; che
alla luce dell’indicato parametro i ritardi e gli
omessi adeguamenti di quanto dovuto da parte di De

considerati di scarsa importanza; che infatti fino al
marzo 1996 i predetti coniugi si sarebbero attenuti
agli accordi del 1979, ” da loro non temerariamente
ritenuti validi ” e inficiati soltanto da un vizio di
forma; che a partire dall’aprile 1996 gli stessi
avrebbero proceduto all’adeguamento del canone in
conformità del disposto della sentenza 350/1996 del
tribunale; che gli arretrati di cui alle sentenze
350/1996 e 411/1999 sarebbero stati pagati
rispettivamente nel maggio 1996 e nel luglio 1999; che
dopo il 31.12.1994 il comportamento della coppia De
Stefano – Buchignani sarebbe stato conforme agli
accordi originari del 25.4.1960, salvo il mancato
adeguamento correlato alla variazione dell’indice
verificatosi nel maggio 1997, peraltro mai segnalato o
fatto valere dalla Boschi; che comunque sarebbero stati
apprezzabili anche

NN

non trascurabili aspetti di

inadempienze di parte Boschi “, che avrebbe sottratto
alla disponibilità delle controparti entità

8

Stefano Buchignani avrebbero dovuto essere

immobiliari poi riconosciute giudizialmente a loro
spettanti “; che la prova dell’avvenuta comunicazione
della variazione dell’indice del maggio 1997 sarebbe
stata affidata a documentazione prodotta tardivamente,
e quindi non suscettibile di considerazione.

Federico Boschi proponevano ricorso per cassazione
articolato in sette motivi, cui hanno resistito De
Stefano e Buchignani con controricorso contenente
eccezione di inammissibilità del primo motivo di
impugnazione, nonché ricorso incidentale condizionato
sostenuto da un unico motivo, atti entrambi poi
ulteriormente illustrati da memoria.
Successivamente all’udienza del 6.3.2012, fissata per
la trattazione, il Collegio ravvisava l’opportunità di
rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventua A/Z”’
e
assegnazione alle Sezioni Unite, avendo rilevato che
con il primo motivo di impugnazione era stata
denunciato il mancato apprezzamento, da parte del
giudice del gravame, della nullità della sentenza di
primo grado, vizio che sarebbe derivato dal fatto che
la decisione era stata emessa da giudice diverso da
quello dinanzi al quale le parti avevano precisato le
definitive conclusioni.
Sul punto era stata infatti riscontrata una non

6. Avverso la sentenza Edilia Cassani Traverso e

univocità degli orientamenti giurisprudenziali di
questa Corte, risultando

\\

controversa sia la

qualificazione del vizio che inficia la sentenza emessa
e sottoscritta da giudice diverso da quello dinanzi al
quale siano state precisate le conclusioni ( senza

dell’intervenuta sostituzione del giudice
precedentemente investito della legittimazione alla
trattazione e alla decisione della causa ) e sia, per
converso, l’individuazione del regime giuridico della
inerente invalidità e degli effetti ad essa
ricollegabili ”
La controversia,

devoluta quindi all’esame delle

Sezioni Unite della Corte, veniva infine decisa
all’esito dell’udienza del 22.10.2013, previo deposito
di ulteriore memoria a cura di entrambe le parti.
Motivi della decisione
7. Disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art.
335 c.p.c., si osserva che con il ricorso principale
Edilia Maria Cassani Traverso e Federico Boschi
Orlandini hanno rispettivamente denunciato:
1 ) violazione degli artt. 161, 174, 340, 354 c.p.c. e
vizio di motivazione, con riferimento alla diversità
del giudice estensore della sentenza di primo grado
emessa dal tribunale in composizione monocratica,

10

alcuna rimessione della causa sul ruolo, a seguito

rispetto a quello di fronte al quale erano state
precisate le conclusioni.
Il vizio rappresentato avrebbe dato causa alla
inesistenza della decisione, che in quanto tale avrebbe
dovuto essere rilevato di ufficio, pur in assenza di

2 ) violazione degli artt. 1453 e 1455 c.c. e vizio di
motivazione, in relazione al giudizio secondo il quale
l’inadempimento dei coniugi De Stefano – Buchignani
sarebbe stato di scarsa importanza.
Il detto giudizio infatti sarebbe errato per l’omessa
valutazione del detto inadempimento nel periodo 1988 1994 ” come componente di una consolidata condotta
anticontrattuale, protrattasi praticamente nel corso
dell’intera esecuzione del contratto, dalle gravi
conseguenze economiche circostanza questa che a
torto aveva indotto a ritenere che per effetto del
pagamento del dovuto il sinallagma contrattuale si
fosse ristabilito.
Non vi sarebbe stata poi preclusione al riesame della
questione relativa al denunciato inadempimento per
effetto del precedente giudicato, atteso che la Boschi
avrebbe richiesto nel precedente giudizio soltanto
l’esatta e puntuale esecuzione del contratto, anziché
la sua risoluzione, sicchè non vi sarebbe stata

11

specifica impugnazione sul punto;

coincidenza fra ” petitum ” e ” causa petendi ” nei due
processi.
Quanto al merito del giudizio emesso dalla Corte
territoriale, questo non sarebbe condivisibile anche
per altro verso, e cioè sia per il fatto che la mancata

sentenza di condanna ( come verificatosi nella specie )
legittimerebbe la proposizione dell’azione di
risoluzione,

sia per l’erroneità dell’affermazione

secondo la quale

la maggiore frazione delle

differenze ” fra il pagato ed il dovuto sarebbe
maturata nel periodo gennaio 1995 – marzo 1996, essendo
viceversa vero il contrario;
3 ) violazione degli artt. 1453, 1455 c.c., per aver il
giudice del merito ritenuto l’inadempimento di De
Stefano

Buchignani per il periodo 1.1.1995 –

16.6.1999 solo considerato, a c sa
dell’esclusione del periodo 13.5.1988 – 31.12.1994 ) di
scarsa importanza, pur a fronte di pagamenti effettuati
dopo l’instaurazione del giudizio, e quindi in un
momento in cui la posizione delle parti era già
compiutamente cristallizzata;
4 ) violazione degli artt. 1218, 1453, 1455 c.c. e
vizio di motivazione, in relazione a diverso profilo
per il quale l’inadempimento sarebbe stato di scarsa

12

esecuzione dell’obbligo di pagamento derivante da

importanza, atteso che il relativo giudizio, incentrato
su una pretesa buona fede degli asseriti inadempienti (
che peraltro non varrebbe a sollevarli da ogni
responsabilità al riguardo ), contrasterebbe con
l’intervenuta declaratoria di nullità dell’accordo per

5 ) violazione degli artt. 1228, 1335, 1453, 1455, 2697
c.c., 345 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, sempre
con riferimento al giudizio di non scarsa importanza
dell’inadempimento, erroneamente emesso perché a torto
focalizzato sulla mancata richiesta di pagamento e
sulla mancata comunicazione dell’indice di
rivalutazione del debito esistente, dati soltanto
prospettati dalla parte interessata e per di più
contrastanti con l’invio di raccomandate sollecitatorie
da parte del creditore sui punti di interesse;
6 ) violazione degli artt. 1218, 1453, 1455 c.c., 345
c.p.c. e vizio di motivazione, per la dichiarata
inammissibilità della produzione in grado di appello
delle due raccomandate, con le quali sarebbe stata
comunicata ai coniugi De Stefano la variazione
dell’indice di rivalutazione del debito e sarebbe stato
sollecitato il conseguente pagamento;
7 ) violazione degli artt. 1453, 1455, 1460 c.c., 112,
183, 189, 345 c.p.c. e vizio di motivazione per il

13

vizio di forma;

rilievo attribuito ai pretesi inadempimenti della
Boschi, rilievo a torto riscontrato, sia perché ove
esclusa ( come si sarebbe dovuto e si dovrebbe ) la
scarsa importanza dell’inadempimento automaticamente
verrebbe meno l’operato bilanciamento fra i due

stata dedotta per la prima volta in primo grado, con
memoria depositata ex art. 183 ultimo comma c.p.c., e
non sarebbe stata accompagnata da alcuna conclusione al
riguardo.
8. Con il ricorso incidentale condizionato De Stefano e
Buchignani, dal canto loro, hanno denunciato violazione
dell’art. 2909 c.c. e dei principi generali in tema di
” ne bis in idem “.
Nella prima causa di risoluzione conclusasi con la
sentenza 658/97, infatti, la Boschi aveva posto a
fondamento della domanda anche gli inadempimenti
successivi all’introduzione del giudizio ( avvenuta in
data 13.5.1988 ) e la Corte territoriale aveva
dichiarato inammissibile la domanda, con riferimento
agli inadempimenti successivi alla detta data.
Gli stessi argomenti già rappresentati sono stati poi
posti a fondamento della nuova domanda di risoluzione
sicchè, essendo identico il presupposto logico di un
unico rapporto giuridico ( la corresponsione del canone

14

comportamenti, sia perché la relativa eccezione sarebbe

nella misura risultante dagli accordi del 1979, anziché
da quelli originari del 1960, non aveva indotto il
giudice del merito a ritenere grave il constatato
inadempimento, e la medesima questione sarebbe stata
riproposta con il nuovo giudizio ), la Corte di appello

implicito.
9. Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti
principali hanno lamentato l’omessa rilevazione di
ufficio della nullità della sentenza di primo grado,
che sarebbe derivata dall’essere stata emessa da
giudice diverso da quello dinanzi al quale erano state
precisate le conclusioni.
Più precisamente Cassani Traversi e Boschi Orlandini
hanno denunciato un vizio della sentenza per difetto di
sottoscrizione, invocando la disciplina risultante
dall’art. 161, comma 2, c.p.c., vizio che per ciò
sarebbe rilevabile in ogni stato e grado del processo
ed il cui apprezzamento, nel concreto, avrebbe dovuto
comportare la rimessione della causa al giudice che lo
aveva determinato, vale a dire al tribunale di Genova.
Come

puntualmente

evidenziato

nell’ordinanza

rimessione a queste Sezioni Unite,

tuttavia,

di
il

giudizio in ordine alla fondatezza o meno della detta
prospettazione presuppone una preventiva qualificazione

15

avrebbe dovuto rilevare l’intervenuto giudicato

del

vizio

irregolarità
correttamente

rappresentato

(

dalla

inesistenza,

quale

discendere

solo

nullità,
può

l’individuazione

farsi
del

conseguente regime giuridico applicabile nel caso di
ritenuta invalidità della decisione, oltre che la

Sotto quest’ultimo aspetto, specificamente evidenziato
nella sopra citata ordinanza di rimessione, è infatti
configurabile

l’ulteriore

questione,

concernente

l’eventuale propagazione delle conseguenze
riconducibili alla accertata invalidità della sentenza
definitiva per la causale indicata sulla sentenza non
definitiva, emanata nello stesso giudizio da precedente
giudice munito però di ” potestas iudicandi ”
La rilevanza di tale profilo nella controversia oggetto
di esame è all’evidenza subordinata al giudizio di
inesistenza della sentenza impugnata, in sintonia con
quanto sostenuto da Cassani Traverso e Boschi Orlandini
con il primo motivo di impugnazione, giudizio rispetto
al quale questa Corte, intervenendo in passato su
questioni analoghe, non ha adottato soluzioni univoche.
9. a ) Più precisamente, in alcune decisioni si è
affermato l’orientamento secondo il quale la decisione
della causa da parte di un giudice diverso da quello
che ha raccolto la precisazione delle conclusioni

16

delimitazione degli effetti ad essa ricollegabili.

costituisce una ipotesi di nullità della sentenza per
vizio di sottoscrizione ex 161 c.p.c. ( C. 99/13831, C.
99/1473, e indirettamente C. 06/3161, C. 04/13061, C.
04/5854, C. 03/4468, C. 99/7055 ), che ne determina
l’inesistenza, è per ciò rilevabile in ogni stato e

regressione della causa nella fase in cui si è
verificata la nullità; a fianco a quello ora indicato
si è poi delineato un diverso indirizzo, per il quale
il vizio in questione costituisce un’ipotesi di nullità
dell’atto per difetto di costituzione del giudice, che
rientra nella previsione dell’art. 158 c.p.c. e che
pertanto va fatta valere mediante impugnazione per
effetto del richiamo all’art. 161 c.p.c. ivi contenuto
( circostanza da cui discende che, in mancanza, il
vizio resta sanato ), con l’ulteriore conseguenza che
il giudice del gravame deve limitarsi a rinnovare la
decisione nulla, senza operare alcuna rimessione in
favore del giudice di primo grado ( C. 09/20859, C.
09/8545, C. 05/15629, C. 03/14699, C. 02/4285 ).
Fermo restando, dunque, che entrambi gli orientamenti
sopra richiamati concordano sul fatto che nella fase
compresa

tra

l’udienza

di

precisazione

delle

conclusioni ed il deposito della sentenza la persona
del giudice non può essere sostituita, se non previo

17

grado del giudizio e comporta, come conseguenza, la

rinnovo della detta udienza, e che nel caso di
inosservanza del principio l’effetto che ne consegue è
quello della nullità della sentenza, il punto di
contrasto fra le due posizioni risulta individuabile
nella diversa qualificazione del vizio, riconducibile,

giudice ( art. 161, secondo comma, c.p.c. ) e, nel
secondo, ad un vizio di costituzione dello stesso.
9. b ) Ritiene il Collegio che nella specie sia
configurabile un’ipotesi di nullità per vizio di
costituzione del giudice ai sensi dell’art. 158 c.p.c.
Depone in tal senso, innanzitutto, la formulazione
dell’art. 161 c.p.c., che esclude l’applicabilità della
regola per la quale la nullità della sentenza può
essere fatta valere con i mezzi di impugnazione
soltanto quando questa manchi della sottoscrizione del
giudice, sottoscrizione che, da un punto di vista
grafico e materiale, è certamente esistente anche nel
caso sia stata apposta da giudice diverso da quello
assegnatario del processo in sede di precisazione delle
conclusioni, ma pur tuttavia addetto al medesimo
ufficio.
La contraria opinione, oltre a non essere confortata
sul piano letterale, poggia anche su una non
condivisibile interpretazione del vocabolo ” giudice “,

18

nel primo caso, ad un difetto di sottoscrizione del

utilizzato dal legislatore nella prescrizione contenuta
nel secondo comma dell’art. 161 c.p.c.
La tesi secondo la quale il difetto di sottoscrizione
del giudice sarebbe configurabile anche nel caso di
apposizione di firma da parte di magistrato delegato

appartenente all’ufficio, presuppone infatti che per
giudice il legislatore abbia inteso fare riferimento al
” giudice persona fisica “, mentre quello che interessa
ai fini indicati è l’ufficio giudiziario dal quale la
sentenza è stata emessa, rispetto al quale assume
rilevanza la qualità di componente dello stesso del
sottoscrittore, e ciò fatti salvi gli eventuali
ulteriori riflessi derivanti da una non irrituale
investitura del processo.
A voler sostenere il contrario, e cioè che la decisione
adottata da giudice non coin•idente con quello
designato a trattare la controversia in sede di
conclusioni configuri il vizio di inesistenza della
sentenza, si dovrebbe coerentemente ancorare la ,
potestas iudicandi “, e quindi l’attribuzione della
legittimazione a decidere, alla constatata titolarità
del processo al momento della celebrazione dell’udienza
di precisazione delle conclusioni, presupposto questo
la cui fondatezza non trova viceversa alcuna conferma

19

dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni, ma

nel dettato normativo e nei

generali principi

enucleabili dalla disciplina delineata dal codice di
rito.
9. c ) Conforta poi il giudizio ora formulato
l’intenzione del legislatore, quale si desume dalle

Dopo previsioni di carattere generale ( artt. 156, 157
c.p.c. ), invero, l’art. 158 c.p.c., in tema di nullità
per costituzione del giudice, stabilisce che la stessa
è insanabile e deve essere rilevata di ufficio, salva
la disposizione dell’art. 161 c.p.c., che ne prevede la
deduzione nei limiti e secondo le regole delle
impugnazioni, eccezion fatta, rispetto a quest’ultima
disposizione, alle ipotesi di sentenza priva della
sottoscrizione del giudice.
Risulta quindi all’evidenza come il legislatore abbia
inteso sottrarre i diversi vizi incidenti sulla
costituzione del giudice al regime dell’inesistenza (
soluzione che appare d’altro canto in linea con
l’esigenza di conferire stabilità e certezza alla
composizione giudiziaria delle controversie ), e ciò
comporta che, anche ove permanessero dubbi
interpretativi in ordine all’art. 161, secondo comma,
c.p.c., la norma dovrebbe essere comunque intesa in
termini restrittivi, e pertanto in modo da escludere

20

6_,

disposizioni dettate in tema di nullità.

che nella specie possa essere individuata una ipotesi
di inesistenza della sentenza.
9. d ) La conclusione sopra esposta, per la quale la
sentenza sottoscritta da giudice diverso da quello che,
già assegnatario del processo, aveva preso parte

sul principio dell’immutabilità del giudice, per il
quale dopo tale momento la sostituzione del giudicante
può avvenire soltanto nel caso di suo impedimento
assoluto ed avere corso unicamente con la rimessione
della causa sul ruolo, finalizzata a consentire alle
parti una nuova precisazione delle conclusioni.
Detto principio è stato dapprima configurato in
relazione al processo svolto davanti a giudice
collegiale, ma deve trovare conveniente attuazione
anche con riferimento a processo celebrato davanti a
tribunale in composizione monocratica.
Identica è infatti nei due casi la ragione della
disposizione, che va individuata nella ravvisata
esigenza che la causa venga decisa dal giudice che
l’aveva trattata e dinanzi al quale erano state svolte
le conclusive argomentazioni difensive; l’intenzione
del legislatore nel senso rappresentato è chiaramente
desumibile dalla formulazione dell’art. 190 bis c.p.c.,
oggi abrogato, che stabiliva ” per le cause che devono

21

all’udienza di precisazione delle conclusioni, è basata

essere decise dal giudice istruttore in funzione di
giudice

unico,

questi,

fatte

precisare

le

• conclusioni.., dispone lo scambio delle comparse
conclusionali e delle memorie di replica … e quindi
deposita la sentenza in cancelleria una

rinnovo delle conclusioni davanti al nuovo giudice
della causa determinerebbe una violazione del diritto
di difesa delle parti, sia in ragione di quanto ora
esposto sia, più specificamente, con riferimento alla
preclusione all’esercizio del diritto di dare corso ad
un procedimento di ricusazione nei confronti l
magistrato subentrato nella trattazione della causa.
9. e ) La sentenza impugnata, sottoscritta da giudice
diverso da quello che aveva raccolto le conclusioni
delle parti è dunque nulla, ma non inesistente, e
pertanto, non essendovi stata impugnazione sul punto,
resta assorbita ogni questione in ordine ai possibili
effetti della caducazione della sentenza definitiva
sulla sentenza non definitiva.
10. Alla luce delle esposte considerazioni, la mancata
impugnazione in sede di appello del vizio denunciato
con il primo motivo di ricorso determina una
preclusione a farlo valere, in ossequio del disposto
degli artt. 158, 161, primo comma, c.p.c. e comporta,

22

interpretazione della normativa che non prevedesse il

conseguentemente, un giudizio di infondatezza della
censura prospettata, dovendo trovare applicazione il
seguente principio di diritto ” La sentenza pronunciata
da un giudice diverso da quello dinanzi al quale sono
state precisate le conclusioni è affetta da nullità per

158 c.p.c., ed il vizio può essere fatto valere nei
limiti e secondo le regole proprie dei mezzi di
impugnazione ai sensi dell’art. 161, primo coma,
c.p.c. ”
10. a ) Con il secondo, il terzo, il quarto ed il
quinto motivo di impugnazione, che possono essere
esaminati congiuntamente perché fra loro connessi,
,

Cassani Traverso e Boschi Orlandini hanno denunciato
l’erroneità del giudizio relativo alla scarsa
importanza dell’inadempimento dei De Stefano, sotto
diversi aspetti che possono essere così sintetizzati: a
) a torto la Corte di appello avrebbe omesso di
considerare ( sotto il profilo della mancanza di
interesse e dell’esistenza di un giudicato implicito ),
ai fini del sollecitato giudizio in ordine
all’esistenza dei presupposti per la declaratoria di
risoluzione del contratto, il periodo di inadempimento
protrattosi per sette anni; analoga omissione sarebbe
riscontrabile con riferimento alla mancata esecuzione

23

vizio di costituzione del giudice, ai sensi dell’art.

spontanea della sentenza di condanna da parte del
debitore; errore di giudizio sarebbe stato poi posto in
essere in quanto il debito considerato sarebbe maturato
in un periodo più circoscritto ( 2 ° motivo ); b )
sarebbe stata attribuita errata rilevanza al pagamento

domanda di risoluzione, dovendo a tale scopo farsi
esclusivo riferimento alla situazione esistente al
momento dell’atto introduttivo della lite ( 3 ° motivo
); c ) sarebbe stata a torto riconosciuta valenza
giuridica alla condizione psicologica di buona fede del
debitore, e ciò sia perché la causa a lui imputabile
non risulterebbe rapportata all’impegno di cooperazione
che sarebbe stato viceversa necessario, sia perché
sarebbe comunque errato il formulato giudizio di buona
fede, a fronte della già dichiarata invalidità dei
patti per vizio di forma ( 4 ° motivo ); uguale errore
sarebbe stato commesso con riferimento al giudizio
emesso in ordine all’affermata mancata richiesta di
pagamento del dovuto ed alla pretesa omessa
comunicazione della variazione dell’indice su cui
determinare il canone, e ciò in quanto il detto
giudizio sarebbe basato unicamente sulla dichiarazione
del debitore ( 5 ° motivo ).
Le censure sono infondate.

24

del dovuto dopo l’inizio del processo conseguente alla

Osserva al riguardo il Collegio che la questione
relativa alla gravità dell’inadempimento era già
stata sottoposta alla Corte di Appello, che l’aveva
rigettata con ampia e congrua motivazione (pp. 16 e
segg. ), sorretta da una interpretazione

singoli profili rappresentati dei diversi dati
processuali acquisiti, interpretazione incentrata:
sui parametri comportamentali desumibili dal
contenuto del contratto stipulato dalle parti; sul
necessario rispetto dei principi di correttezza e
buona fede; sul non chiarissimo contenuto
dell’accordo che, secondo il giudicante, avrebbe
potuto dar luogo ad interpretazioni divergenti (
come in effetti sarebbe avvenuto ); sul fatto che,
a fronte di esplicita richiesta, i debitori
avrebbero prontamente saldato il loro debito; su
asseriti inadempimenti che avrebbe posto in essere
l’originaria venditrice.
Si tratta dunque di valutazione di merito
sufficientemente motivata che, non risultando
scalfita dalle singole censure formulate, non
risulta sindacabile in questa sede.
Per di più, nel concreto, le doglianze dei
ricorrenti essenzialmente focalizzate: sull’essersi

25

complessiva, e quindi assorbente rispetto ai

protratto

l’inadempimento

di

De

Stefano

e

Buchignani per un arco temporale maggiore ( per 7
anni ) di quello considerato; sull’omessa
considerazione del fatto che il pagamento del
dovuto sarebbe intervenuto a seguito dell’inizio di

fatto che il debito sarebbe maturato in un periodo
di tempo più circoscritto rispetto a quello preso
in esame dalla Corte territoriale; risultano anche
nel concreto inconsistenti.
La Corte di appello, infatti, non ha escluso che vi
fosse inadempimento da parte di De Stefano e
Buchignani, ma ha solo ritenuto che quello
accertato, apprezzato in relazione alle diverse
circostanze peraltro specificamente indicate, fosse
di scarsa importanza, sicchè il difforme giudizio
espresso al riguardo dai ricorrenti finisce per
incidere esclusivamente sulla valutazione di merito
operata con la sentenza impugnata, come detto non
sindacabile in questa sede di legittimità.
10. b ) Risulta funzionalmente collegato con i
motivi considerati sub 10 a ), pur essendo
connotato da una specifica autonomia rispetto ad
essi, il sesto motivo di impugnazione, con il quale
ricorrenti hanno denunciato l’erroneità della

azione esecutiva; sulla mancata percezione del

statuizione

nella

parte

in

cui

la

Corte

territoriale aveva affermato ” che tuttavia ai
debitori non venne mai, prima dell’attivazione del
presente giudizio, comunicata l’avvenuta variazione
nel coefficiente di calcolo né formulata alcuna

Ritiene invero il Collegio che la censura non sia
meritevole di accoglimento poiché la Corte di
appello ha precisato al riguardo che ” l’assunto
.. circa l’avvenuta comunicazione ai debitori della
variazione dell’indice del maggio 1997 è affidata
alla produzione, inammissibilmente .. effettuata
per la prima volta in questa sede di gravame, di
copia di due lettere raccomandate delle quali,
comunque, è stato contestato il ricevimento ” ( p.
22 ), profilo contestato in punto di fatto soltanto
con l’asserito deposito in primo grado di
raccomandata di cui il giudicante non avrebbe
tenuto conto, e quindi irritualmente, essendo
l’eventuale vizio deducibile soltanto ai sensi
dell’art. 391 bis c.p.c.
Cassani Traverso e Boschi Orlandini hanno poi
sostenuto che la pronuncia in questione sarebbe
viziata anche per altro verso, vale a dire per la
notorietà della variazione dell’indice che

27

richiesta “.

renderebbe

superflua

la detta

comunicazione,

censura che non coglie nel segno, considerato che
la Corte di appello non aveva affermato la
necessità di tale adempimento ( ” Orbene, senza
bisogno di prendere espressamente posizione in

del rapporto in essere gravasse o meno sulla parte
creditrice l’onere di sollecitare espressamente il
conguaglio in applicazione di un criterio analogo a
quella adottato per le

locazioni abitative

nell’art. 24 della l. 27 luglio 1978, n. 392 “, p.
21 ), ma aveva al contrario basato la propria
decisione su una ragione diversa da quella
rappresentata con il rilievo oggetto di esame.
La detta decisione, come d’altra parte sopra già
rilevato, è infatti incentrata sulla considerazion
” che l’inadempimento oggettivamente verificatosi
non ha vulnerato in modo tanto grave da
giustificare la risoluzione contrattuale lo spirito
di previdenza ed equità che nell’accordo del 25
aprile

1960

era

testualmente

richiamato

a

spiegazione della previsione di adeguamento .
p. 21 ), considerazione la cui correttezza non
risulta scalfita dal rilievo in questione.
10. c )

Resta infine l’ultimo motivo, con il quale è

28

r

questa sede circa il problema se, attesa la natura

stato denunciato l’irrituale riferimento da parte della
Corte di appello a pretese inadempienze della Boschi,
irritualità che sarebbe risultata dalla tardiva
contestazione effettuata in proposito da De Stefano e
Buchignani ( l’eccezione sarebbe stata formalizzata in

a seguito degli asseriti inadempimenti, fossero mai
intervenute conclusioni nel merito.

Anche tale ulteriore doglianza non risulta
meritevole di accoglimento, poiché i

m non

trascurabili aspetti di inadempienza di parte
Boschi individuati

V%

nella sottrazione alla

disponibilità dei coniugi De Stefano – Buchignani
di entità immobiliari poi riconosciute
giudizialmente a loro spettanti ” ( p. 21 ), non
sono stati rilevati ai fini di una non sollecitata
contestazione di un addebito, ma costituiscono
l’effetto di una semplice ( e incontestata )
constatazione in punto di fatto delle risultanze
emerse ( utilizzazione, poi risultata indebita, di
porzioni di immobili da parte della Boschi ),
valorizzata ai fini del giudizio in ordine al
comportamento tenuto dalle parti nel corso
dell’esecuzione del contratto e definita nel senso
che, da una parte, a fronte di un contratto dal

29

primo grado con la memoria ex 183 c.p.c. ) e senza che,

contenuto oggettivamente non chiarissimo,

vi

sarebbe un adempimento tardivo in limiti apprezzati
come accettabili e, dall’altra, sarebbe emerso un
comportamento astrattamente non immune da critiche,
in considerazione delle indebite utilizzazioni

E’

questa

una valutazione

di merito

che,

sufficientemente e non illogicamente motivata, non
risulta sindacabile nel giudizio di legittimità.
11. Conclusivamente deve essere rigettato il
ricorso principale, mentre resta assorbito quello
incidentale, in quanto condizionato.
Il contrasto giurisprudenziale esistente sul punto
oggetto di trattazione nel primo motivo del ricorso
principale induce alla compensazione delle spese
processuali del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale,
dichiara assorbito l’incidentale e compensa le
spese del giudizio di legittimità.
Roma, 22.10.2013

sopra richiamate.

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