Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26936 del 22/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 22/10/2019), n.26936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI M. Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 25809/14, proposto da:

P.A. e P.G., rappresentati e difesi dall’avv.to

Petrecca Nicola Domenico, che li rappresenta e difende, giusta

mandato in calce alla comparsa di costituzione di nuovo difensore,

unitamente e disgiuntamente all’avv.to Mendolia Stefano,

elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv.to Mendolia, in

Roma, Via Ennio Quirini Visconti n. 20;

– ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 1511/65/14 depositata il 20/03/2014, non notificata;

udita la relazione del consigliere Rosita D’Angiolella all’udienza

del 27 giugno 2109.

Fatto

RITENUTO

Che:

La presente controversia tre origine da una verifica fiscale a carico della società cooperativa Asolana Due, esercente l’attività di lavori generali di costruzione edifici, nel corso della quale veniva rilevato che la società aveva acquistato da P.A. e P.G., un terreno di 2559 m2, sito in (OMISSIS), per la costruzione e vendita di villette ai propri consorziati, il tutto per un prezzo pari ad Euro 107.478,00, oltre Iva del 20% come da fatture emesse in data 21.10.005. I verificatori chiedevano chiarimenti su alcune incongruenze al legale rappresentante della società acquirente, che dichiarava che, a fronte del prezzo dichiarato, pari a Euro 214.956,00, più Iva al 20%, la società Asolana Due aveva versato ai venditori l’ulteriore somma di Euro 112.596,00, senza emissione di fattura. In verbale, il legale rappresentante della società dichiarava, inoltre, che il valore di mercato del terreno acquistato era pari ad Euro 130.000,00 al metro quadrato e che, perciò, solo attraverso il versamento della somma ulteriore, la società era riuscita ad acquistare al prezzo inferiore dichiarato. Il legale rappresentante esibiva, altresì, dichiarazioni sottoscritte dai soci della società Asolana Due per il versamento delle somme ulteriori, ciascuno per la propria quota, nonchè il contratto di mutuo stipulato dalla società presso la Mantova Banca 1896, per Euro 1.600.000,00 allo scopo di finanziare l’acquisto del terreno e delle successive unità abitative. A seguito della verifica, dunque, l’Ufficio emetteva due avvisi di accertamento in cui venivano ripresi a tassazione in capo ai contribuenti, pro quota, i ricavi derivanti dall’omessa fatturazione della somma di Euro 112.596,00 oltre Iva.

I contribuenti impugnavano detti avvisi innanzi alla Commissione Provinciale di Brescia, lamentando la violazione dell’art. 24 Cost., della L. n. 212 del 2000, art. 7, assumendo di aver percepito soltanto la somma di cui alla fattura numero 6 del 21/10/2005, per l’importo di Euro 214.956,00. La Commissione Provinciale adita accoglieva il ricorso dei contribuenti.

L’Ufficio proponeva appello e la Commissione Tributaria Regionale adita (di seguito, per brevità, CTR), con la sentenza in epigrafe, lo accoglieva, affermando che l’avviso di accertamento era stato correttamente motivato tramite il rinvio per relationem agli atti dell’accertamento, riproducendone il contenuto essenziale, sicchè i contribuenti erano stati messi nella condizione di svolgere compiutamente le proprie difese, senza riuscire a fornire la controprova a loro favore.

Avverso la sentenza in epigrafe propongono ricorso per Cassazione P.A. e P.G..

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

I contribuenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Col primo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 212 del 2000, art. 7,D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 42,D.P.R. n. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 56,D.Lgs. n. 32 del 2001, artt. 1-2, per non aver la CTR rispettato le norme che regolano la motivazione degli atti amministrativi.

1.1. Il motivo è infondato. L’insussistenza della carenza di motivazione dell’atto impositivo, emerge chiaramente solo a leggere le trascrizioni dell’atto riportate in ricorso dalle quali emerge chiaramente l’oggetto dell’accertamento (v. pag. 14 del ricorso) e, non di meno, considerando che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte – da cui non v’è motivo di discostarsi – è ampiamente sufficiente a giustificare la motivazione per relationem, il rinvio che l’avviso di accertamento fa ai verbali di verifica, nonostante la mancata allegazione, qualora sia stato riprodotto nell’atto il contenuto essenziale della verifica, così mettendo il contribuente in condizioni di individuare gli elementi essenziali dell’atto richiamato e, conseguentemente, di esercitare il proprio diritto di difesa senza alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 4396 del 23/02/2018, Rv. 647547-01, secondo cui “L’avviso di accertamento può essere motivato “per relationem”, ossia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, anche ove lo stesso si concreti nel richiamo alle risultanze di un’indagine di mercato, purchè, nell’ipotesi di mancata allegazione, nell’atto ne venga riprodotto il contenuto essenziale, allo scopo di consentire al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato”; cfr. Sez. 6-

5, Ordinanza n. 14275 del 04/06/2018, Rv. 648869-01, secondo cui anche l’avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii “per relationem” a quello riguardante i redditi della società, ancorchè solo a quest’ultima notificato, soddisfa l’obbligo di motivazione, proprio perchè il socio ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto).

2. Col secondo motivo, ricorrenti denunciano la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 comma 2, n. 4, art. 61 e 1, comma 2, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per essere la sentenza impugnata motivata solo in apparenza “(…) estrinsecandosi in argomentazioni inidonee a rilevarne la ratio decidendi (…)”.

2.2. Anche tale motivo è infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la motivazione per relationem della sentenza di appello è legittima qualora renda percepibili e comprensibili le ragioni della decisione, in relazione ai motivi di appello proposti; viceversa, nel caso in cui il giudice di merito non compia, o compia inadeguatamente, una disamina logica e giuridica degli elementi dai quali trae il proprio convincimento, rinviando genericamente e acriticamente alle motivazioni di altro giudice o al quadro probatorio acquisito, o, ancora, al nome della normativa ritenuta applicabile senza sussunzione alcuna della fattispecie concreta al precetto generale, incorre nel vizio di omessa o di apparente motivazione con conseguente nullità della sentenza. E’ evidente, infatti, che motivazioni di tal fatta svuoterebbero di contenuto la funzione dell’appello che, quale revisio prioris istantiae, è finalizzato ad esaminare, in modo specifico e adeguato alla sua funzione, le censure proposte dalle parti alla sentenza di primo grado, così da consentire – ai fini del giudizio di legittimità – un effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento adottato (cfr., Cass. 18/04/2017 n. 9745; Cass. 26/06/2017 n. 15884; Cass. 21/09/2017, n. 22022; Cass., 25/10/2018, n. 27112; Cass., 05/10/2018 n. 24452; Cass., 07/04/2017 n. 9105, tutte che richiamano i parametri minimi di motivazione indicati da Cass., Sez. U., 07/04/2014 n. 8053 e 03/11/2016n. 22232; cfr., altresì, per il vizio di motivazione collegato alla funzione dell’appello, Cass., 10/01/2003 n. 196).

2.3. Venendo al caso all’esame, il giudice a quo ha rigettato l’appello dei ricorrenti ritenendo non soddisfatto l’onere della prova su di essi incombente per contrastare le risultanze della verifica e, quindi, per contrastare le dichiarazioni, pure documentate (contratto di mutuo e controdichiarazione degli acquirenti circa il prezzo effettivamente versato), fatte dal legale rappresentate della società Asolana Due in sede di verifica circa il prezzo effettivamente versato per l’acquisto del terreno. All’uopo la CTR, in primo luogo, ha osservato, seppur con riguardo alla motivazione dell’atto impositivo, che il recupero dell’imposta nei confronti dei contribuenti risulta fondato su una serie di elementi inequivocabili che “confermano il pagamento delle somme in contanti ed “in nero” agli appellati nonchè il nominativo degli autori di tali dichiarazioni”; in secondo luogo, ha evidenziato che “gli atti impositivi riportano in modo dettagliato il contenuto degli elementi posti a base di recupero d’imposta (in particolare il contenuto delle dichiarazioni che confermano il pagamento di somme per contanti in nero degli appellati nonchè il nominativo degli autori di tali dichiarazioni). Per l’effetto, i contribuenti sono stati posti nella condizione di svolgere compiutamente le proprie difese ma non hanno formulato alcuna contestazione, in fatto ed in diritto, in ordine agli elementi probatori evidenziati dall’Agenzia delle Entrate (anche solo fine di rilevare la natura meramente presuntiva delle dichiarazioni dei Sigg. C. e C.)”.

2.4. Alla luce dei principi su richiamati, e tenuto conto delle logiche, quanto congrue, motivazioni appena riportate, la sentenza della CTR non appare affetta dal denunciato vizio di nullità, consentendo di cogliere chiaramente il thema decidendi (accertamento del prezzo effettivo di acquisto del terreno) e la ratio decidendi (pretesa impositiva fondata su inequivocabili elementi documentali non contrastati dalla prova a discarico dei contribuenti).

3. Col terzo motivo i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’erroneità della sentenza in epigrafe per aver fatto mal governo delle norme in materia di onere probatorio ed in particolare dell’art. 116 c.p.c., art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 1973 n. 600, artt. 38 e 39. Tale motivo è inammissibile.

3.1. La CTR ha fatto buon governo delle regole di riparto dell’onere probatorio, avendo considerato che, da un lato, gli elementi circostanziali raccolti dall’Ufficio per dimostrare il versamento, da parte dei ricorrenti, di somme di denaro ulteriori rispetto a quelle dichiarate nella compravendita del terreno, rivestissero i caratteri della gravità, precisione e concordanza, dall’altro, avendo considerato che, rispetto a tali elementi, i contribuenti non erano riusciti a confutare in alcun modo la verifica dell’Amministrazione (limitandosi a ribadire di aver ricevuto dalla società solo gli importi debitamente fatturati).

3.2. Inoltre, non può mancarsi di rilevare come, dalla lettura del motivo, traspare come esso lambisca profili di inammissibilità. Ed invero, contestandosi la idoneità degli indizi presi in considerazione dalla CTR a costituire prova presuntiva e dandone una diversa valutazione (v. pagg. 40 e 41 del ricorso), appare che si tenda ad introdurre surrettiziamente una nuova valutazione dei fatti oggetto del giudizio di merito, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690 – 01).

4. Il ricorso va, dunque, integralmente rigettato.

5. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione Civile, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2019

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