Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26935 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 26/11/2020), n.26935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6864-2019 proposto da:

PEGASO SRL SERVIZI FIDUCIARI, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN TOMMASO

D’AQUINO 83, presso lo studio dell’avvocato FILOMENA MOSSUCCA,

rappresentata e difesa dall’avvocato FILOMENA FASANO;

– ricorrente –

contro

F.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.M.SCALISE

36, presso lo studio dell’avvocato IACULLI ANTONIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALESSANDRO DI PALMA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6291/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 04/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 07/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 6291 pubblicata il 4.1.2019 la Corte d’Appello di Napoli ha respinto l’appello di PEGASO srl Servizi Fiduciari, confermando la decisione del Tribunale di Napoli (sentenza n. 9834 del 2.12.2015) che aveva parzialmente accolto l’opposizione al precetto proposta dalla citata società;

2. la Corte territoriale ha premesso che, in separato procedimento concluso con sentenza del Tribunale di Napoli n. 8633/2007, era stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimato a F.S. e la società datoriale PEGASO srl Servizi Fiduciari era stata condannata alla reintegra e al risarcimento dei danni pari alle retribuzioni dalla data del recesso fino alla reintegra; che la Corte d’appello (sentenza n. 9236/2007) aveva annullato tale sentenza per nullità della notifica del ricorso introduttivo e rimesso le parti dinanzi al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c.; a seguito di ricorso per cassazione del F., la sentenza d’appello era stata cassata con rinvio (sentenza Cass. n. 17336/2012); nel giudizio di rinvio la Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, aveva emesso la sentenza n. 3014/2014 con cui aveva rigettato l’originario appello della società e confermato la sentenza di primo grado n. 8633/2007;

3. a seguito della sentenza emessa in sede di rinvio, la difesa del F. ha notificato alla società atto di precetto; quest’ultima ha proposto opposizione al precetto e agli atti esecutivi; il Tribunale di Napoli con sentenza n. 9834 del 2.12.2015 ha parzialmente accolto l’opposizione riducendo la somma dovuta a titolo di risarcimento danni da licenziamento illegittimo;

4. la Corte di merito ha respinto l’appello della società affermando che la sentenza di primo grado n. 8633/2007 confermata in appello costituisse titolo esecutivo atto a legittimare il precetto e gli atti esecutivi;

5. avverso tale sentenza la PEGASO srl Servizi Fiduciari ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico articolato motivo, cui ha resistito con controricorso F.S.; entrambe le parti hanno depositato memoria;

6. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

7. con l’unico motivo di ricorso la PEGASO srl Servizi Fiduciari ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione di norme di diritto per omessa ricerca e interpretazione della norma regolatrice del caso concreto in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, e agli artt. 336,112,474 e 475 c.p.c.;

8. ha premesso di aver instaurato un giudizio di opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 1, e dell’art. 618c.p.c., (rectius art. 618 bis c.p.c.), e di avere dedotto che il lavoratore non potesse invocare quale titolo esecutivo la sentenza del Tribunale di Napoli n. 8366/2007 in quanto annullata in appello e quindi cancellata e sostituita dalla sentenza d’appello n. 9236/2007, sia pure poi cassata con rinvio, ed ha richiamato l’orientamento consolidato della Suprema Corte (Cass. n. 6113 del 2013; n. 2955 del 2013; n. 6911 del 2002; n. 5901 del 1994; n. 16934 del 2013); che neppure potesse valere come titolo esecutivo la sentenza n. 3014/2014 emessa in sede di rinvio in quanto priva degli elementi a tal fine necessari. La sentenza emessa dalla Corte d’appello in sede di rinvio non conteneva una statuizione di condanna specifica o specificabile ed inoltre faceva riferimento, confermandola, ad una sentenza di primo grado di cui non indicava neppure il numero identificativo (le sentenze di merito richiamate nel ricorso, l’atto di precetto e il ricorso in opposizione sono allegati al ricorso in esame e puntualmente localizzati);

9. ha aggiunto di avere, nel ricorso in appello, denunciato la violazione degli artt. 431 e 282 c.p.c., in relazione all’art. 336 c.p.c., per essere stata apposta la formula esecutiva sia sulla sentenza n. 3014/2014 emessa nel giudizio di rinvio, sebbene questa non contenesse specifico riferimento alla pronuncia di primo grado confermata, e persino sulla sentenza di primo grado n. 8633/2007, annullata dai giudici di secondo grado, così ignorando l’effetto devolutivo dell’appello;

10. la società ha argomentato la violazione degli artt. 474 e 475 c.p.c., anche in relazione all’art. 153 disp. att. c.p.c., per avere il lavoratore ottenuto un titolo esecutivo creato nel giudizio di opposizione all’esecuzione in quanto la sentenza emessa in sede di rinvio non conteneva alcun credito certo, liquido, esigibile, determinato oppure determinabile mediante semplici operazioni aritmetiche;

11. ha censurato la sentenza impugnata per non aver motivato in alcun modo sulle questioni in diritto sollevate dalla società e per aver statuito che la sentenza n. 3014/2014 emessa in sede di rinvio aveva confermato la decisione del Tribunale n. 8633/2007, sebbene la prima non contenesse un esplicito riferimento alla seconda;

12. il ricorso è infondato, dovendosi tuttavia correggere in parte la motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c.;

13. occorre premettere che il giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della sentenza d’appello può assumere carattere prosecutorio (rinvio cd. proprio) oppure restitutorio (rinvio cd. improprio);

14. si è precisato che il giudizio di rinvio proprio, che consegue alla cassazione della sentenza d’appello per i motivi di cui ai all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, “non costituisce la prosecuzione della pregressa fase di merito e non è destinato a confermare o riformare la sentenza di primo grado, ma integra una nuova ed autonoma fase che, pur soggetta, per ragioni di rito, alla disciplina riguardante il corrispondente procedimento di primo o secondo grado, ha natura rescissoria (nei limiti posti dalla pronuncia rescindente), ed è funzionale alla emanazione di una sentenza che, senza sostituirsi ad alcuna precedente pronuncia, riformandola o modificandola, statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti” (cfr. Cass. n. 1824 del 2005; n. 14892 del 2000);

15. il rinvio c.d. improprio o restitutorio alla corte d’appello si verifica quando la sentenza impugnata, senza entrare nel merito, si sia limitata ad una pronuncia meramente processuale; in tal caso la corte territoriale, diversamente da, quanto accade nel caso di rinvio c.d. prosecutorio, conserva, tutti i poteri connaturati alla funzione di giudice dell’impugnazione avverso la sentenza del tribunale, e deve pertanto esaminare tutte le questioni ritualmente proposte che non incidano sul suo obbligo di conformarsi al principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. n. 23314 del 2018; n. 4290 del 2015; n. 25250 del 2013);

16. con riferimento all’ipotesi in cui la cassazione della sentenza impugnata sia avvenuta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per un errore che abbia precluso al giudice d’appello l’esame del merito della causa, di talchè questi non abbia avuto modo di esprimere alcun convincimento sulla stessa, si è chiarito che “il rinvio assume carattere meramente restitutorio e giustifica pertanto la designazione, ai fini del nuovo esame della causa, dello stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, atteso che non è riconducibile alla fattispecie suddetta l’ipotesi di cui all’art. 383 c.p.c., nella parte in cui prevede la cassazione con rinvio della causa ad altro giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza cassata, norma la cui ratio è quella di consentire che il nuovo accertamento venga effettuato senza preconcetti o condizionamenti di sorta, anche soltanto indiretti, in una situazione di oggettività ed imparzialità” (Cass. n. 17780 del 2003; cfr. anche Cass. n. 6326 del 2019 che si è pronunciata con riferimento all’art. 383 c.p.c., comma 4);

17. è necessario ancora precisare che il giudizio di rinvio, anche di carattere improprio o restitutorio, rappresenta una nuova ed autonoma fase processuale di natura rescissoria, fase ulteriore del procedimento originario (cfr. Cass. n. 1301 del 2017; n. 779 del 2016; S.U. n. 19701 del 2010; n. 14892 del 2000); difatti, “nel sistema delle impugnazioni, soltanto all’appello va legittimamente riconosciuto carattere “sostitutivo” rispetto alla precedente pronuncia, nel senso che la sentenza di secondo grado è destinata a prendere il posto di quella di primo grado (cfr. Cass. n. 14892 del 2000 cit.);

18. poste queste premesse, occorre affrontare la questione oggetto del ricorso in esame che attiene alla individuazione, in ipotesi di cassazione con rinvio (nel caso di specie improprio), della sentenza che abbia valore di titolo esecutivo;

19. costituisce orientamento consolidato di questa Corte, correttamente richiamato nel ricorso in esame, quello secondo cui “Nell’ipotesi di esecuzione fondata su titolo esecutivo costituito da una sentenza di primo grado, la riforma in appello di tale sentenza determina il venir meno del titolo esecutivo, atteso che l’appello ha carattere sostitutivo e pertanto la sentenza di secondo grado è destinata a prendere il posto della sentenza di primo grado; tuttavia, nell’ipotesi in cui la sentenza d’appello sia a sua volta cassata con rinvio, non si ha una reviviscenza della sentenza di primo grado, posto che la sentenza del giudice di rinvio non si sostituisce ad altra precedente pronuncia, riformandola o modificandola, ma statuisce direttamente sulle domande delle parti, con la conseguenza che non sarà mai più possibile procedere in “executivis” sulla base della sentenza di primo grado (riformata della sentenza d’appello cassata con rinvio), potendo una nuova esecuzione fondarsi soltanto, eventualmente, sulla sentenza del giudice di rinvio”, (Cass. n. 16934 del 2013; n. 6113 del 2013; n. 29021 del 2018);

20. risulta pertanto erronea in diritto la statuizione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui “la sentenza di primo grado n. 8633/2007, confermata in appello (rectius in sede di rinvio) costituisce senza dubbio alcuno titolo esecutivo che legittima il precetto e gli atti esecutivi”, potendo nel caso di specie attribuirsi efficacia di titolo esecutivo unicamente alla sentenza pronunciata in sede di rinvio;

21. sul connesso problema dei requisiti del titolo esecutivo giudiziale, occorre richiamare l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 11066 del 2012) secondo cui “Il titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., comma 2, n. 1, non si identifica, nè si esaurisce, nel documento giudiziario in cui è consacrato l’obbligo da eseguire, essendo consentita l’interpretazione extratestuale del provvedimento, sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato. Ne consegue che il giudice dell’opposizione all’esecuzione non può dichiarare d’ufficio la illiquidità del credito, portato dalla sentenza fatta valere come titolo esecutivo, senza invitare le parti a discutere la questione e a integrare le difese, anche sul piano probatorio” (nello stesso senso Cass. n. 19641 del 2015; n. 26567 del 2016; n. 5049 del 2020);

22. questa Corte (sentenza n. 9161 del 2013), nel dichiarare ammissibile l’integrazione della sentenza d’appello realizzata mediante rinvio espresso alla condanna operata in primo grado, benchè contenuta in pronuncia dichiarata nulla in sede di impugnazione, ha sottolineato come nella fattispecie esaminata non si trattasse di interpretare la prima sentenza e/o la seconda al fine di individuare la portata precettiva della condanna da mettere in esecuzione, ma soltanto di ricorrere ad un documento esterno al titolo esecutivo, ma da questo chiaramente richiamato, al fine di operare una mera integrazione materiale; ha aggiunto che “L’integrazione, in questo caso, non presuppone la valutazione dell’attività di giudizio e del suo risultato, ma il comando contenuto nel titolo esecutivo viene ad essere solo materialmente individuato mediante il ricorso ad un documento ad esso esterno, ma idoneamente e chiaramente richiamato, in modo che la volontà espressa nel titolo esecutivo risulta univoca e certa, senza necessità di svolgere ulteriori attività interpretative e, men che meno, cognitive.

Nè a confutare tale risultato vale assumere che esso sarebbe reso impossibile dall’intervenuta dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado, destinata ad integrare quella di secondo grado. Ed invero, se la sentenza di primo grado non può essere considerata come se non fosse mai esistita, addirittura per la sua valenza giuridica… di certo non potrebbe esserlo dal punto di vista meramente documentale, essendone venuta meno soltanto la portata precettiva e la funzione di titolo esecutivo”;

23. tali argomenti, assolutamente condivisibili, ben si attagliano al caso in oggetto in cui la sentenza di primo grado, contenente le statuizioni di condanna, è stata annullata con sentenza della Corte d’appello a sua volta cassata con rinvio e la decisione assunta nel giudizio di rinvio si è limitata a richiamare e confermare la sentenza di primo grado;

24. pur nella diversità tra giudizio di appello e giudizio di rinvio, per quanto sopra chiarito, non vi è dubbio che per la sentenza emessa nel giudizio di rinvio debba operare, ai fini della valutazione di conformità del titolo esecutivo al paradigma legale dell’art. 474 c.p.c., lo stesso principio di integrazione extratestuale sopra enunciato;

25. nè ha alcun fondamento la censura mossa dalla società ricorrente sulla incertezza del riferimento contenuto nella sentenza emessa in sede di rinvio a quella di primo grado in quanto non specificamente indicata, atteso che l’unicità del processo che prosegue in sede di rinvio rende necessariamente univoco il riferimento alla pronuncia di primo grado;

26. va quindi ribadito che il titolo esecutivo giudiziale, di cui all’art. 474 c.p.c., comma 2, n. 1, non si esaurisce nel documento in cui è consacrato l’obbligo da eseguire, essendo consentita l’integrazione del provvedimento con elementi extratestuali, purchè idoneamente richiamati e che è ammissibile, a tal fine, l’integrazione della sentenza emessa dal giudice di appello in sede di rinvio realizzata mediante rinvio espresso alla condanna operata in primo grado, anche se contenuta in una pronuncia dichiarata nulla in sede di impugnazione;

27. nel caso in esame, deve quindi riconoscersi valore di titolo esecutivo alla sentenza emessa in sede di rinvio, con possibilità di integrazione extratestuale della stessa con la sentenza di primo grado, anche se annullata dai giudici di appello;

28. così rettificata la motivazione della sentenza impugnata, il ricorso deve essere respinto;

29. la regolazione delle spese di lite segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

30. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. Alessandro Di Palma, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

 

 

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