Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26935 del 02/12/2013


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Civile Ord. Sez. U Num. 26935 Anno 2013
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: SALVAGO SALVATORE

ORDINANZA

sul ricorso 24426-2012 proposto da:
GULISANO MASSIMO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA CICERONE 49, presso lo studio dell’avvocato
GIUFFRIDA ROBERTO, rappresentato e difeso dall’avvocato
2013

PATERNITI LA VIA PIETRO, per delega a margine del

509

ricorso;
– ricorrente contro

PROCURA REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE

Data pubblicazione: 02/12/2013

DELLA CORTE DEI CONTI PER LA REGIONE LOMBARDIA, in
persona

del

Procuratore

Regionale

pro-tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BAIAMONTI 25;
– controricorrente –

ANDERLINI MASSIMO, elettivamente domiciliato in ROMA,

IZZO RAFFAELE, che lo rappresenta e difende unitamente
all’avvocato BONATTI STEFANO, per delega a margine del
controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale contro

COMMISSIONE EUROPEA, in persona del Direttore Generale
pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
GORIZIA 52, presso lo studio dell’avvocato AFFENITA
DOMENICO, rappresentata e difesa dall’avvocato FAVIT
SALVATORE, per delega in calce al controricorso al
ricorso incidentale;
– controricorrente all’incidentale non chè contro

CANOSSI STEFANIA, FIDELANGELI MAURO, MACCIONI ERCOLE,
MIGLIAVACCA ANDREA GIOVANNI, BRIGNONE ANDREA, RONDENA
SIMONE;
– intimati –

per regolamento di giurisdizione in relazione al
giudizio pendente n.

27344 20t2.

della CORTE DEI CONTI

Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia;
uditi gli avvocati Pietro LA VIA PATERNITI, Salvatore

LUNGOTEVERE MARZIO 3, presso lo studio dell’avvocato

FAVIT;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 08/10/2013 dal Consigliere Dott.
SALVATORE SAL VAGO;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore

Corte di voler dichiarare inammissibili i ricorsi per
violazione dell’art. 366 c.p.c.; nel merito, di
respingerli, affermando la giurisdizione italiana e
quella della sezione giurisdizionale della Corte dei
conti.

..

Generale dott. Ignazio PATRONE, il quale chiede alla

Svolgimento del processo
1. Con ricorso per regolamento di giurisdizione Massimo Gulisano ha
chiesto alla Corte di Cassazione di dichiarare il difetto assoluto di
giurisdizione (del giudice italiano), ed in subordine la giurisdizione
ordinaria, sulla controversia promossa dalla Procura regionale della
Lombardia della Corte dei Conti,con citazione del 25 gennaio 2012,onde
conseguire la restituzione in favore della Commissione dell’Unione europea

società gestite dalla s.p.a. SINEURA, tra cui la fondazione IOM di cui il
ricorrente era il responsabile scientifico (progetto Match): e ciò attraverso
una serie di truffe finalizzate ad incamerare contributi della Commissione
europea destinati ad incentivare la ricerca tecnologica in ambito
internazionale, che avevano indotto la Procura della Repubblica di Milano
ad instaurare procedimento penale a carico del Gulisano e di altri partecipi
a dette attività delittuose per i reati di cui agli art.416 e 640 bis cod. pen.;
per i quali il ricorrente con decreto del 15 dicembre 2012 era stato rinviato
a giudizio.
Alle domande ha aderito, con ricorso incidentale, Massimo Anderlini,
rappresentante legale della Sineura fino al 2006, anch’egli soggetto al
medesimo procedimento penale,concluso con il patteggiamento della
pena, ed al quale la Procura Regionale della Corte dei Conti ha chiesto la
restituzione della somma di C 688.502,15 (progetto Dicoems).
Hanno resistito con controricorso sia la Commissione europea che la
Procura della Corte contabile, le quali hanno chiesto che fosse dichiarata la
giurisdizione della Corte dei Conti anche per le azioni di responsabilità
amministrativa dirette a perseguire il danno arrecato all’erario europeo; ed
alla richiesta si è associato il P.G. presso questa Corte.

Motivi della decisione
2.

Le Sezioni Unite devono anzitutto ribadire che nel giudizio di

cassazione, che è dominato dall’impulso d’ufficio, non trova applicazione
l’istituto della interruzione del processo per uno degli eventi previsti dagli
artt. 299 e segg. cod. proc. civ., onde, una volta instauratosi il giudizio, il
decesso di una delle parti non produce l’interruzione del giudizio, pur se
comunicato dal difensore, il quale può continuare successivamente nella
sua attività difensiva. Per cui non può essere dichiarata l’interruzione del
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della somma di C 361.174,64 indebitamente percepita da numerose

giudizio per il fatto che il difensore del prof. Gulisano ha comunicato la
morte del proprio assistito (Cass. 22624/2011; sez. un. 14385/2007):
salvo rimanendo il potere della Corte dei Conti di individuare e distinguere
le poste dell’obbligazione di costui che si estinguono con la sua morte,da
quelle che possono essere richieste anche ai successori.
Devono, poi, disattendere l’eccezione di inammissibilità dell’intervento
della Comunità europea, formulata dall’Anderlini, per essersi l’ente avvalso

dell’Avvocatura dello Stato come prescritto dal d.p.r. 173 del 1981: in
quanto detta normativa non ha imposto, né poteva imporre alcuna
obbligazione di tal genere ad un ente sovranazionale, ma si è limitata a
dare piena attuazione alle disposizioni degli art. 47 Tue e 335 TFUE,
autorizzando l’Avvocatura dello Stato, ove richiesta, “ad assumere la
rappresentanza e la difesa nei giudizi attivi e passivi….” in cui sia parte la
Commissione europea davanti alle autorità giudiziarie, anche
amministrative: come del resto si ricava dal tenore letterale del
menzionato d.p.r. 173 significativamente rivolto non alla Comunità o alla
Commissione, bensì all’Avvocatura cui è consentito di assumere il
patrocinio legale di un ente soltanto in presenza di un’espressa
disposizione legislativa al riguardo.
3. Con la domanda principale i ricorrenti chiedono che venga dichiarato il
difetto assoluto di giurisdizione del giudice italiano, e quindi della Corte dei
Conti sulla richiesta di recupero dei contributi comunitari, in quanto: a) gli
art. 12 e 13 dei contratti di ricerca, dopo avere stabilito che la legge
applicabile al rapporto è quella belga, devolvono qualsiasi controversia tra
la Comunità ed i contraenti sulla validità,interpretazione ed applicazione
del contratto alla giurisdizione della Corte di prima istanza ovvero della
Corte di giustizia della Comunità europea; b) l’art. 272 del TFUE introduce
un esplicito rimedio a favore della Commissione, costituito dalla clausola
compromissoria inserita nei vari contratti di finanziamento che ne devolve
la cognizione alla Corte di Giustizia,destinata a prevalere in base all’art.
274 su quella degli Stati membri; c) il successivo art. 299 prevede il
diritto-dovere della Commissione di emettere le opportune decisioni sulla
restituzione aventi efficacia di titolo esecutivo, nonché di precetto: pur
esse devolute alla cognizione esclusiva della Corte di Giustizia; cui le

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dell’assistenza e difesa di un avvocato del libero foro invece che

Condizioni generali approvate dalla Commissione europea attribuiscono il
potere di irrogare sanzioni amministrative e finanziarie in conformità al

6 ,3

Regolamento.
Con quella subordinata deducono che in ogni caso la giurisdizione
appartiene al giudice ordinario, in quanto: d) l’art. 1 legge 20 del 1994
attribuisce alla Corte dei Conti la responsabilità amministrativa degli
amministratori e dipendenti di enti che abbiano indebitamente percepito

membri – e non anche quelli diretti arrecanti danno al solo erario europeo;
e) non dimostra il contrario l’art.325 TFUE che non costituisce norma di
attribuzione diretta della giurisdizione, ma si dirige esclusivamente agli
Stati membri onde obbligarli ad adottare specifiche misure per tutelare gli
interessi finanziari dell’Unione: come d’altra parte confermano quelle
indicate nei Regolamenti nonché nella legislazione nazionale in materia
penale,amministrativa e tributaria.
4. Il ricorso è infondato sotto tutti i profili esposti.
Le Sezioni Unite devono anzitutto ribadire la propria consolidata
giurisprudenza in materia di contributi comunitari indiretti – quelli cioè
disciplinati dall’art. 53 ter del Regolamento finanziario comunitario che
entrano nel bilancio dell’amministrazione nazionale (statale, regionale o
locale) per poi essere attribuiti ai vari aspiranti attraverso apposite
procedure – secondo la quale: I) tra l’amministrazione erogante e la
persona fisica o giuridica destinatarie della risorsa pubblica si instaura un
rapporto di servizio di tipo funzionale o addirittura semplicemente un
rapporto di fatto che in tutti i casi di indebita percezione,distrazione o
cattiva utilizzazione, per la natura del danno arrecato all’ente pubblico
risulta idoneo a radicare la giurisdizione della Corte dei Conti di cui agli
art. 13 e 52 r.d. 1214 del 1934; II) detto rapporto e la conseguente
giurisdizione contabile si estendono anche alle persone fisiche che abbiano
diretto o rappresentato o amministrato quelle giuridiche beneficiarie dei
finanziamenti comunitari, comunque incidendo sulla realizzazione del
programma imposto dalla P.A. (Cass. sez. un. 295/2013; 5019 e
9963/2010; 20434/2009): soprattutto in conseguenza della legge 20 del
1994 che ha escluso la necessità dell’appartenenza dell’agente
responsabile all’amministrazione o all’ente pubblico danneggiato, rendendo

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contributi/finanziamenti europei indiretti – erogati cioè attraverso gli stati

applicabile l’azione suddetta pur nel caso di danno (c.d. obliquo) nei
confronti di amministrazione diversa dall’ente di appartenenza. E
spostandone il baricentro dalla qualità del soggetto e da quella dell’atto di
investitura – che ben possono essere “privati” – all’evento dannoso
prodotto,nonché alla natura del danno e degli scopi perseguiti (Cass. sez.
un. 19815/2008; 14825/2008; 4511/2006).
Ritengono tuttavia i ricorrenti che questa giurisprudenza non possa trovare

beneficiato di contributi comunitari “diretti”, destinati ad incentivare la
ricerca tecnologica in ambito internazionale, perciò non entrati neppure
temporaneamente nel bilancio delle amministrazioni nazionali, ma gestiti
in toto a partire dal bando e fino all’erogazione direttamente ai sensi
dell’art.53 del Regolamento europeo,dalla stessa Commissione europea;
con conseguente pregiudizio esclusivamente all’erario o patrimonio
dell’Unione europea, ed applicazione dei soli rimedi previsti dalla
legislazione comunitaria che escluderebbero la interpositio legislatoris in
favore della Corte dei Conti: deputata, quale giudice speciale nazionale, a
conoscere esclusivamente del pregiudizio arrecato all’erario nazionale, e
non anche al patrimonio sovranazionale.
4. Sennonchè l’intera costruzione come già evidenziato dalle Sezioni Unite
con la recente decisione 20701/2013, muove da un duplice erroneo
presupposto: che sussista un rapporto di conflittualità e di esclusività – al
pari di quelli disciplinati dalla legge 218 del 1995, nonché dalle
Convenzioni internazionali – fra l’ambito della giurisdizione italiana e quella
comunitaria, in presenza della quale la prima è comunque tenuta a
cedere,in materia di indebita percezione, distrazione o illecita utilizzazione
di finanziamenti o contributi comunitari;e che la giurisdizione della Corte
dei Conti sia sostitutiva – precludendone l’esercizio – dei normali rimedi
derivanti dai singoli rapporti intercorrenti tra l’amministrazione ed i
soggetti danneggianti.
Ma quest’ultimo presupposto è smentito dalle Sezioni Unite,le quali hanno
ripetutamente evidenziato l’autonomia del giudizio amministrativo
contabile e quindi dell’azione di responsabilità esercitata dal Procuratore
presso la Corte dei Conti rispetto ai rapporti civili, amministrativi e
disciplinari che possono intercorrere tra i soggetti passivi dell’azione

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applicazione nella fattispecie in cui la s.r.l. Sineura e gli incolpati hanno

contabile ed i soggetti danneggiati ed esporre i primi a subire i giudizi
penali (come è appunto avvenuto nella specie); ed hanno più volte
enunciato la regola che l’azione proposta dal Procuratore contabile non si
identifica con quella che l’amministrazione può autonomamente
promuovere nei confronti dei propri funzionari e/o di quelli dell’ente
esterno autori del danno per farne valere la responsabilità (anche
solidale).

104/1989 (ribadita dalla recente pronuncia 1/2007) della Corte
Costituzionale,la quale ha specificato che il Procuratore Generale della
Corte dei conti, nella promozione dei giudizi, agisce nell’esercizio di una
funzione obiettiva e neutrale, rivolta alla repressione dei danni erariali
conseguenti ad illeciti amministrativi: rappresentando l’interesse generale
al corretto esercizio, da parte dei pubblici dipendenti, delle funzioni
amministrative e contabili, e cioè un interesse direttamente riconducibile
al rispetto dell’ordinamento giuridico nei suoi aspetti generali ed
indifferenziati; ed ha rilevato le notevoli differenze tra questo giudizio e
quello in cui le singole amministrazioni ritengano di far valere l’interesse
particolare e concreto in relazione agli scopi specifici che ciascuna di esse
persegue; b) dall’art.7 legge 97/2001, secondo cui “La sentenza
irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati
nell’articolo 3… è comunicata al competente procuratore regionale della
Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale
procedimento di responsabilità per danno erariale…”. Laddove l’art. 17
comma 30 ter legge 103 del 2009 ha ribadito, rendendola di carattere
generale, la regola che “Le procure della Corte dei conti possono iniziare
l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione di danno erariale a
fronte di specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie
direttamente sanzionate dalla legge”: a prescindere, dunque dalla
possibilità delle amministrazioni interessate di promuovere l’ordinaria
azione civilistica di responsabilità (Cass. 27092/2009; 25495-25503/2009;
10667/2009; 6581/2006).
Per cui le Sezioni Unite devono dare ulteriore continuità alla propria
giurisprudenza che anche in tema di concessione di contributi nazionali,
locali o comunitari, la giurisdizione erariale per l’azione di risarcimento dei

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Hanno tratto conferma di detta assoluta autonomia: a) dalla nota sentenza

danni derivanti all’Amministrazione dalla violazione degli obblighi del
concessionario e/o del contraente beneficiario o per quella contrattuale
diretta a far valere l’adempimento, ovvero le conseguenze
dell’inadempimento nascenti dal rapporto concessorio, – quale prevista
nella fattispecie dagli art. 12 e 13 dei contratti – sono reciprocamente
indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono il
medesimo fatto materiale; e l’eventuale interferenza, che può

di responsabilità davanti alla Corte dei conti (nonché di eventuale
osservanza del principio “ne bis in idem”), e non una questione di
giurisdizione.
5. D’altra parte, siffatta autonomia del giudizio di responsabilità
amministrativa non trova ostacolo nella disciplina comunitaria, che anzi la
salvaguardia, stabilendo l’art. 274 del Trattato che “Fatte salve le
competenze attribuite alla Corte di Giustizia dell’Unione europea dai
Trattati, le controversie nelle quali l’Unione sia parte non sono, per tale
motivo, sottratte alla competenza delle giurisdizioni nazionali”. Sicchè
nell’ambito di applicazione della norma comunitaria deve essere compresa
anche la specifica giurisdizione della Corte dei Conti, la quale non può
essere preclusa da eventuali rimedi attribuiti alla Comunità europea per il
recupero dei finanziamenti o per l’esercizio di proprie sanzioni e/o azioni di
inadempimento contrattuale posto che le relative azioni restano, pur esse,
reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali: così come lo
sarebbe stato l’azione risarcitoria intrapresa dalla Commissione europea
nei confronti del ricorrente per avere riportato condanna definitiva per i
delitti di cui agli art. 416 e 640 bis cod. pen. costituendosi parte civile nel
relativo procedimento o esercitando l’ordinaria azione risarcitoria davanti
al giudice civile (Cfr. Corte Giust. 5 marzo 1991, Grifoni C330/88).
In tale sistema vanno inclusi gli specifici rimedi, perciò meramente
alternativi e concorrenti, apprestati dal Trattato all’Unione europea,
invocati dai ricorrenti, di cui la Commissione significativamente non si è
avvalsa, quali: I) la clausola compromissoria indicata dall’art. 272 del
Trattato che attribuisce alla Corte di giustizia la competenza a giudicare
allorchè detta clausola sia contenuta in un contratto di diritto pubblico o di
diritto privato stipulato dall’Unione o per conto di questa. Anche perché

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determinarsi tra tali giudizi, pone un problema di proponibilità dell’azione

secondo la giurisprudenza comunitaria detta competenza costituisce una
deroga rispetto al diritto ordinario e va interpretata restrittivamente nel
senso di attribuire alla Corte di giustizia la cognizione soltanto delle
domande che derivano da un contratto stipulato dalla comunità
(contenente la clausola) o che siano in relazione diretta con le obbligazioni
derivanti dal contratto: e quindi la competenza sulle sole controversie
sorte tra la Comunità e la parte contraente riguardo alla validità,

conseguente sottrazione di tale azione contrattuale (e soltanto di essa) al
giudice nazionale; al quale,per converso viene mantenuta ogni altra
tipologia di giudizio “di competenza delle giurisdizioni nazionali” (Corte
Giust. 20 febbraio 1997, IDE C114/94; Trib. 3 marzo 2011, Caixa
T401/07); II) la facoltà della Commissione (anch’essa nel caso non
esercitata) di irrogare le sanzioni amministrative o finanziarie predisposte
dal Regolamento,nonché di emettere ex art.299 del Trattato atti
costituenti titolo esecutivo per il recupero dei crediti: costituente una sorta
di esercizio del potere di autotutela rimesso alla mera discrezionalità
dell’ente creditore che non interferisce neppure sul diritto delle parti di
chiedere la tutela giurisdizionale in ordine all’accertamento,o per converso,
alla non spettanza del credito (art. 263 e 274 Trattato); né impedisce a
ciascuna di esse di procedere rispettivamente ad esecuzione forzata e/o di
proporre opposizione alla stessa: peraltro regolate “dalle norme di
procedura civile vigenti nello Stato sul cui territorio essa viene effettuata”
(art. 299, 2° e 3° comma).
6. Assolutamente inconsistente è infine l’ultimo presupposto su cui i
Gulisano-Anderlini incentrano il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti
(in subordine a favore di quella ordinaria), che il danno che ne giustifica
l’intervento sia limitato dall’art. 52 r.d. 1214/1934 a quello arrecato allo
Stato o ad altro ente pubblico nazionale; e che per i pregiudizi causati
direttamente al bilancio dell’Unione europea mancherebbe comunque
l’interpositio legislatoris richiesta dalla Costituzione per giustificare detta
giurisdizione speciale.
Nessun elemento testuale può infatti giustificare siffatta limitazione,non
ricavabile dall’ampia formula adottata dalla norma che, facendo
riferimento ad ogni amministrazione ed ente pubblico cui la condotta

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all’applicazione, all’interpretazione ed all’adempimento del contratto con

dell’agente abbia cagionato un danno vi comprende indistintamente
qualsiasi categoria di persona giuridica pubblica:fra le quali gli art. 47 Tue
e 335 TFUE includono la Comunità europea disponendo: a) che l’Unione
europea ha personalità giuridica (di diritto pubblico); b) che in ciascuno
degli Stati membri ha la più ampia capacità giuridica riconosciuta alle
persone giuridiche dalla legislazione nazionale; c) che è ivi rappresentata
(per quanto qui interessa) dalla Commissione europea. Per cui,

amministrativa appartenente alla giurisdizione della Corte dei Conti, è
stata estesa dall’art. 1, 4 0 comma legge 20 del 1994 anche all’ipotesi in
cui il danno sia cagionato ad amministrazione diversa dall’ente di
appartenenza del suo autore, e che quest’ultima norma costituisce una
valida interpositio legislatoris in tutte le fattispecie di finanziamenti erogati
indirettamente dalla Comunità europea, non è consentito introdurne una
discriminazione applicativa in funzione del carattere sovranazionale
dell’amministrazione tutelata o della natura del contributo/finanziamento
dalla stessa erogato; che risulta ancor più arbitraria in considerazione,da
un lato, dell’utilizzazione anche da parte della norma del 1994 dell’identica
formula omnicomprensiva ed ormai non più casuale “amministrazioni ed
enti pubblici diversi…”. E, dall’altro, che le ricordate disposizioni
comunitarie ne impongono, al contrario, una opzione ermeneutica logicosistematica che attribuisca alla Commissione europea “la più ampia”
capacità giuridica e tutela fra quelle riconosciute alle persone giuridiche
pubbliche nazionali; che dunque divengono un parametro di comparazione
minimo e non riducibile neppure dal legislatore nazionale.
7. Ma la limitazione prospettata dai ricorrenti si pone anche sotto altro
profilo, in palese contrasto con gli stessi precetti inerenti al collegamento
tra la normativa interna e quella comunitaria, enunciati sia dalla Corte
Costituzionale (sent. 348 e 349/2007), che dalla Corte di Giustizia secondo
cui i giudici nazionali nell’applicazione del diritto interno devono
interpretarlo per quanto possibile alla luce del testo e dello scopo delle
disposizioni comunitarie, onde garantire il risultato perseguito da queste
ultime; ed a tal fine detti giudici sono tenuti a prendere in considerazione
il diritto interno nella loro interezza nonché ad applicare i metodi di
interpretazione riconosciuti da quest’ultimo al fine di assicurarne la piena

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riconoscendo gli stessi ricorrenti che la generale azione di responsabilità

efficacia delle norme comunitarie e pervenire ad una soluzione conforme
alla finalità perseguita da quest’ultima (Corte giust. 4 luglio 2006 in causa
C 212/04; 5 ottobre 2004 in cause C 397/01 e 403/01).
L’art. 325 del T.F.U.E. dispone, infatti, che “l’Unione e gli Stati membri
combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi
finanziari dell’Unione stessa mediante misure adottate a norma del
presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione

dell’Unione (comma 1). Gli Stati membri adottano, per combattere contro
la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che
adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari
(comma 2)”.
L’art. 4 3 0 comma del TUE ribadisce che “In virtù del principio di leale
cooperazione l’Unione e gli stati membri si rispettano e si assistono
reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai Trattati. Gli
stati membri adottato ogni misura di carattere generale o particolare atta
ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti
agli atti delle istituzioni dell’Unione”. E l’art.10 del Trattato CE completa
detto quadro imponendo agli stati membri di adottare tutte le misure atte
ad assicurare la portata e l’efficacia del diritto comunitario.
Questa normativa lungi dal ridursi ad una serie di direttive meramente
programmatiche come ritenuto dal Gulisano e dall’Anderlini, mostrando di
incorrere in una confusione concettuale con la diversa questione (Corte
giust. 14 luglio 1971, Muller C10/71) delle disposizioni comunitarie già di
per sé idonee (o non idonee) a creare diritti ed obblighi direttamente ed
utilmente in capo ai singoli, è stata costantemente interpretata dalla
giurisprudenza comunitaria anche meno recente nel senso che la stessa:
A) impone agli stati membri di adottare tutte le misure efficaci al fine di
sanzionare i comportamenti lesivi degli interessi finanziari dell’Unione: e
ciò anche se il legislatore dell’Unione non ha adottato una normativa
settoriale diretta a tutelarli nei confronti della condotta di taluni soggetti;
B) consente in particolare agli stati suddetti, in merito alla dissuasione ed
alla lotta contro la frode e le altre irregolarità, lesive degli interessi
finanziari dell’Unione, di mantenere o adottare diposizioni in tale specifico
settore e nei confronti degli autori, ove risultano necessarie a tale lotta e

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efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi

rispettino i principi dell’unione; C) richiede in ogni caso agli Stati, pur ad
essi conservando al riguardo la scelta dei rimedi e delle sanzioni,di
vegliare a che le violazioni in questione siano sanzionate sotto il profilo
sostanziale e procedurale in termini analoghi a quelli previsti per le
violazioni del diritto interno simili per natura ed importanza; e di conferire
in ogni caso alla sanzione prescelta un carattere di effettività, di
persuasività e di capacità dissuasiva (Corte giust. 28 ottobre 2010, in

Questi precetti esprimono il c.d. principio di assimilazione, già recepito
dalle Sezioni Unite della corte sia in materia penale (sent. 1235/2010) che
in quella civile (sent. 20701/2013 cit.),in forza del quale gli interessi
finanziari europei sono assimilati a quelli nazionali, con la conseguenza che
gli Stati sono tenuti ad agire con gli stessi mezzi e adottando le stesse
misure che sono previste dal diritto interno per la protezione dei medesimi
beni giuridici; per cui il Collegio deve – a maggior ragione – farne
applicazione anche in materia di giurisdizione della Corte dei Conti in tutte
le fattispecie di protezione del bilancio della comunità europea dalle frodi,
avendo la Corte di Giustizia specificato che detto obbligo degli Stati
necessariamente ricomprende “ogni azione di diritto amministrativo,
tributario o civile, diretta a riscuotere o a recuperare risorse ovvero
obbligazioni comunitarie conseguite o per converso eluse in modo
fraudolento, nonché ad ottenere il risarcimento del danno”.
Ed allora, siccome lo Stato italiano non ha adottato un’apposita legge che
impone la giurisdizione contabile anche in materia di danno all’erario
europeo per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari
dell’Unione, pur se si ritenesse, per mera ipotesi, che le disposizioni
contenute negli art. 53 r.d. 1214 del 1934 ed 1 legge 20 del 1994
l’abbiano in origine prevista esclusivamente per proteggere l’erario
nazionale, l’obbligatoria applicazione del principio di assimilazione
comporta necessariamente, e comunque, l’estensione di detta
giurisdizione anche in materia di danno sia esso diretto o indiretto
all’erario comunitario (Corte giust. 28 ottobre 2010 cit.; 4 luglio 2006,
Adeneler in C202/04; 15 gennaio 2004, in C 230/01). Anche perché
l’arbitraria distinzione prospettata dal ricorrente tra le due fattispecie di
frode a seconda che tragga origine dalla distrazione di

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C367/09; 8 luglio 1999 in C186/98; 21 settembre 1989 in C68/88).

finanziamenti/contributi diretti, piuttosto che indiretti nei termini di cui si è
detto avanti, non soltanto non trova riscontro nel menzionato art. 325 del
T.F.U.E. ma è inequivocabilmente smentita dall’art. 1, comma 2° Reg.
com . 2988 del 1995, per il quale “Ai fini della tutela degli interessi
finanziari delle Comunità europee….costituisce irregolarità qualsiasi
violazione di una disposizione del diritto comunitario derivante da
un’azione o un’omissione di un operatore economico che abbia o possa

Comunità o ai bilanci da queste gestite, attraverso la diminuzione o la
soppressione di entrate provenienti da risorse proprie percepite
direttamente per conto delle Comunità, ovvero una spesa indebita” (Per la
nozione di frode cfr. art. 1 Conv. elab. dal Consiglio in base all’art. K3 del
TUE che la ravvisa in “qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa
all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi, inesatti
o incompleti cui consegua il percepimento o la ritenzione illecita di fondi
provenienti dal bilancio generale delle Comunità europee o dai bilanci
gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse”). Sicchè da detta
normativa si ricava semmai la conclusione opposta a quella dedotta dal
ricorrente, ed evidenziata dal P.G., che costituirebbe una violazione del
diritto dell’Unione proprio la mancata estensione alle frodi in danno del
bilancio comunitario, delle misure del diritto interno volte a dissuaderle ed
combatterle nell’ambito dell’ordinamento interno (Corte giust. 10 luglio
2003, BEI in C15/00; 8 luglio 1999, Nunes, in C186/98; 21 settembre
1989, Grecia in 68/88).
8. Le considerazioni svolte disvelano l’inconsistenza anche dell’ultima
richiesta del Gulisano, volta a conseguire il rinvio alla Corte di Giustizia
europea ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E. della questione nuovamente
incentrate sui rimedi di cui agli art. 274 e 299 a disposizione della
Commissione europea per conseguire il recupero dei contributi, e sul
conseguente pericolo di una concorrente decisione su di esso da parte del
giudice italiano (Corte dei Conti); nonché di altra questione sulla corretta
applicazione del successivo art.325 da interpretare nel senso di escludere
l’autorizzazione agli Stati membri a perseguire la tutela di pregiudizi
all’erario europeo.

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avere come conseguenza un pregiudizio al bilancio generale delle

Il collegio deve aggiungere che entrambe sono inammissibili non soltanto
perché detto rinvio non costituisce un rimedio giuridico esperibile
automaticamente a sola richiesta delle parti, spettando solo al giudice
stabilirne la necessità nel caso invece esclusa (Corte giust. 21 luglio 2011,

/)

Kelly, in C104/10; 22 giugno 2010, Melki in C188 e 189/10); ma
soprattutto perché la prima non ha alcuna influenza sul presente giudizio
pur nell’ipotesi di risposta favorevole da parte della Corte di Giustizia

esercitato taluno dei suddetti rimedi concessi dal Trattato, di guisa che
non è configurabile comunque l’esistenza di una seconda e contrastante
decisione sul suo obbligo di restituzione dei contributi richiesti dalla P.G.
presso la Corte dei Conti. Mentre l’altro quesito si concreta in una anomala
sollecitazione alla Corte di Giustizia attraverso il giudice nazionale di
riconsiderare l’ormai consolidata propria giurisprudenza da decenni
sfavorevole ai ricorrenti in ordine all’interpretazione ed alla portata della
normativa contenuta nel ricordato art. 325 TFUE, nonché sulla sua diretta
efficacia nei confronti degli ordinamenti degli Stati membri.
Va conclusivamente ribadita la giurisdizione della Corte dei Conti con
conseguente condanna di entrambi i ricorrenti in solido, in aderenza al
criterio legale della soccombenza, al pagamento delle spese processuali
che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte,a sezioni unite,rigetta il ricorso,dichiara la giurisdizione della
Corte dei Conti, e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese
processuali che liquida in favore della Commissione in complessivi
5.200,00 di cui € 200 per esborsi, oltre agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma l’8 ottobre 2013.

all’assunto del ricorrente avendo la Commissione escluso di avere

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