Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26934 del 22/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 22/10/2019), n.26934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 18994/2014 RG, proposta da:

C.G., rappresentato e difeso dall’avv.to Nicola

Pennella, in virtù di procura a margine al ricorso, presso il quale

è elettivamente domiciliato, in Roma, Piazza Venezia n. 11;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– Controricorrente –

avverso la sentenza n. 612/12/14 della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, depositata in data 22.1.2014, non

notificata;

Udita la relazione svolta dal Consigliere d’Angiolella Rosita nella

camera di consiglio del 27 giugno 2019.

Fatto

RILEVATO

che:

La Commissione Tributaria Regionale della Campania (di seguito, per brevità, CTR) accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate riformando la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno (di seguito per brevità, CTP) con la quale, veniva accolto il ricorso proposto dal contribuente, C.G., avverso l’avviso di accertamento ai fini Irpef, Irap ed Iva, per l’anno 2005, “anche perchè non preceduto da debita instaurazione del contraddittorio.”.

La CTR della Campania, con la pronuncia in epigrafe, accoglieva il gravame dell’Amministrazione erariale di cui confermava l’operato.

C.G., ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe, affidandosi ad un unico motivo.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Il ricorrente, ha presentato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. C.G., con un unico motivo di ricorso, denuncia la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della L. n. 146 del 1998, art. 10, riguardante “Modalità di utilizzazione degli studi di settore in sede di accertamento”. Nel lungo motivo di ricorso, articola più censure, che, riportate ad estrema sintesi, riguardano la violazione della L. cit., art. 10, in riferimento all’applicazione del regime probatorio riguardante l’accertamento con metodo analitico-induttivo in luogo di quello relativo all’accertamento basato sugli studi di settore, nonchè la violazione della norma citata per aver la CTR ritenuto la legittimità dell’accertamento, senza considerare l’obbligatorietà del preventivo contraddittorio con il contribuente, nella specie mancante, ledendo, così, il principio di parità di trattamento tra i soggetti e il diritto all’istruttoria amministrativa.

2. Occorre premettere che la CTR della Campania ha lungamente motivato sulla questione relativa alla legittimità dell’accertamento, che ha definito “di natura composita… (fondato oltre che sullo studio di settore sull’antieconomicità e sull’elevata incidenza del costo del carburante rispetto a i ricavi conseguiti nell’attività, avuto riguardo alle medie di settore in questione)”, evidenziando, all’uopo, che “l’Amministrazione pur avendo fatto riferimento ai dati contenuti nello studio di settore, ha proceduto all’accertamento del maggior reddito con metodo analitico-induttivo (o extracontabile) ai sensi e per gli effetti del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)” (v. sentenza pagina 3 e 4). Sulla base di tanto, con specifico esame di merito – avente ad oggetto la non congruità dei ricavi dichiarati per l’anno 2005 rispetto a quelli effettivi, la persistente incoerenza, nel triennio 2003-2007, secondo i parametri degli studi di settore, nonchè l’antieconomicità della gestione – ha accolto l’appello dell’Ufficio, evidenziando la mancanza di sufficienti elementi di prova a discarico offerti dal contribuente.

3. Orbene, come da orientamento di questa Corte, da cui non v’è motivo di discostarsi (cfr., Cass., Sez. 5, Sentenza n. 14288 del 13/07/2016, Rv. 640541-01; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10242 del 26/04/2017, Rv. 643929-01), “i parametri o studi di settore previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 181 e 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rilevano valori che, quanto eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 39, comma 1, lett. d”, fermo restando l’onere per il contribuente di “allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento”.

Orbene, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi, in quanto, in base ad un accertamento di fatto non sindacabile in questa sede, ha escluso che il contribuente avesse fornito prova idonea per dimostrare il conseguimento di minori ricavi ed ha quindi ritenuto non vinta la presunzione legale di cui agli artt. 2729 c.c. e s.s.. Ed infatti, la CTR, dopo aver individuato la natura composita dell’accertamento, ne ha affermato la legittimità, sul rilievo che l’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 39, comma 1, lett. d), può essere basato oltre che su altri elementi emergenti dalla documentazione contabile, anche sugli studi di settore, elementi tutti offerti dall’Amministrazione, rispondenti ai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c. (cd. semplici) e non superati da prova contraria (v. sentenza pagina 3 e 4).

4. Con riferimento all’ulteriore censura proposta dal contribuente, si tratta di accertare se vi sia stata violazione dei diritti e delle garanzie del contribuente, in relazione all’obbligo del preventivo contraddittorio. Anche tale censura si disvela infondata, in considerazione degli esiti della giurisprudenza di questa Corte in materia.

5. Ed invero, le Sezioni Unite, con la sentenza n. 24823 del 09/12/2015, Rv. 637605-01, hanno da tempo chiarito che l’accertamento condotto ai sensi dell’art. 39, lett. d), pur se basato, oltre sullo scostamento degli studi di settore anche su altri elementi, non necessita del preventivo contraddittorio endoprocedimentale, allorquando si tratti di accertamento ai fini Irpeg ed Irap (cd. tributi non armonizzati), in quanto tali tributi sono assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”. Viceversa, per l’Iva, trattandosi di tributo cd. armonizzato, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto. In tale ultimo caso, tuttavia, il contribuente è onerato ad enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, senza potersi limitare a formulare un’opposizione meramente pretestuosa (cfr. Sez. Un. 24823 del 2015, cui ha dato seguito la costante giurisprudenza di questa Sezione, tra cui, Sez. 6-5, n. 1969 del 25/01/2017; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11560 del 11/05/2018, Rv. 648381-02; Sez. 6-5, Ordinanza n. 27421 del 29/10/2018, Rv. 651437-01). In altri termini, mentre per i tributi “non armonizzati”, non è rinvenibile nella legislazione nazionale alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, tale obbligo risulta specificamente sancito per i tributi “armonizzati”, sempre che il contribuente enunci le ragioni da far valere in sede di contraddittorio con l’Amministrazione.

6. Applicando tali principi di diritto alla fattispecie in esame, non ha errato la CTR a supporre la validità dell’atto impositivo svolto senza il preventivo contraddittorio, posto che per l’accertamento ai fini Irpef ed Irap, tale obbligo non è previsto dalla legge, trattandosi di indagine cd. “a tavolino”; per l’accertamento ai fini Iva, sebbene l’obbligo del preventivo contraddittorio sussisterebbe in astratto, nella specie, la sua mancanza non ha determinato l’invalidità dell’atto, in quanto il contribuente non ha enunciato le ragioni che avrebbe potuto far valere, limitandosi, invece, ad un’opposizione meramente pretestuosa. Rettamente, dunque, la CTR ha accertato la complessiva inattendibilità della dichiarazione fiscale del contribuente – incongruità dei ricavi dichiarati e di quelli effettivi, derivante da un incidenza del costo/carburante sui ricavi pari al 56,96% di valore superiore a quello riscontrato in soggetti esercenti lo stesso tipo di attività, antieconomicità della gestione comprovata da un reddito d’impresa notevolmente inferiore a quello dei dipendenti – e ha concluso per la conferma dell’accertamento D.P.R. cit. ex art. 39, comma 1, lett. d), in quanto “sufficientemente sostenuto sul terreno probatorio” in ragione dei vari elementi di fatto, evidenziati in sentenza.

7. Il ricorso va, dunque, rigettato.

8. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate liquidate in complessivi Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione Civile, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2019

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