Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26930 del 29/11/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 26930 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA

cu

sul ricorso proposto da:

c .

FAVALI Giuliano Giovanni, rappresentato e difeso, in forza di
procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Giovanni
Bianchini, con domicilio per legge presso la cancelleria civile della Corte di cassazione;
– ricorrente contro
AGOSTINI Eros, rappresentato e difeso, in forza di procura
speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Alessandro Garibotti, con domicilio eletto nello studio dell’Avv. Francesco
Alessandro Magni in Roma, via Caio Mario, n. 27;
– controricorrente e contro

Data pubblicazione: 29/11/2013

CECCHINI Francesca;
– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze, depositata il 14 settembre 2011.

za del 4 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott. Alberto
Giusti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Pro-

curatore Generale dott. Ignazio Patrone, che ha concluso per
l’inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del ricorso.
Ritenuto che il Tribunale di Lucca rigettò l’opposizione

proposta da Giuliano Giovanni Favali al decreto con il quale,
su richiesta di Eros Agostini e Francesca Cecchini, gli era
stato ingiunto il pagamento della somma di euro 18.603,49, a
titolo di penale per il ritardo nell’ultimazione dei lavori
edili (ristrutturazione di un appartamento di civile abitazione in Castelnuovo Garfagnana) commissionatigli con il contratto di appalto del 4 marzo 1999, avendo il Favali, con la sottoscrizione della seconda postilla, riconosciuto di avere ultimato l’opera soltanto il 16 agosto 2002;
che la Corte d’appello di Firenze, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 14 settembre 2011,
ha revocato il decreto ingiuntivo e condannato il Favali a pagare in favore dei committenti la minore somma di euro

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Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udien-

6.179,29, oltre interessi, ponendo a carico del Favali la metà
delle spese del doppio grado;
che la Corte d’appello ha rilevato che, con la postilla
“anzi terminati il 16 agosto 2002”, le parti, nel legittimo

vanificare un (eventuale) negozio unilaterale recettizio costituito da una precedente accettazione dell’opera;
che, in ordine al

quantum della penale (fissata in lire

30.000 per giorno di ritardo), la Corte d’appello l’ha ridotta
in via equitativa alla metà, essendo emerso che da prima della
fine dell’estate 1999 la parte committente aveva iniziato ad
abitare, sia pure saltuariamente, l’immobile, così di fatto
conseguendo, sia pure in modo non integrale, la concreta utilità cui era finalizzato l’appalto;
che per la cessazione della sentenza della Corte d’appello
il Favali ha proposto ricorso, con atto notificato il 17 settembre 2012, sulla base di due motivi;
che ha resistito, con controricorso, l’Agostini, mentre la
Cecchini non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione di
una motivazione in forma semplificata;
che con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1321 cod. civ., sostenendosi che la seconda postilla si riferiva a lavori diversi, extra appalto,
mentre soltanto la prima postilla (che dava atto

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esercizio del loro potere dispositivo, hanno comunque voluto

dell’ultimazione dei lavori alla data del 31 luglio 1999) riguardava i lavori appaltati;
che, ad avviso del ricorrente, questa diversa interpretazione sarebbe confermata dalle univoche e concordanti risul-

per testi, c.t.u. e documenti prodotti);
che il secondo motivo lamenta omessa, insufficiente motivazione circa il mancato accoglimento delle risultanze della

c .t.u.;
che i due motivi – i quali, data la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati;
che il giudice d’appello, confermando la valutazione del
primo giudice, ha spiegato, dandone congrua motivazione, perché la postilla (con cui il Favali dava atto dell’ultimazione
dei lavori nel 2002, così riconoscendo il proprio ritardo) si
riferiva, non a lavori diversi, extra appalto, ma a quelli
previsti originariamente;
che parte ricorrente contesta i risultati cui è pervenuta
la sentenza impugnata senza specificarne intrinseche carenze
logico-argomentative, ma puramente e semplicemente proponendo
la propria lettura critica dei fatti di causa :
che, con i due motivi, il ricorrente sollecita questa Corte ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto
sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazio-

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tanze istruttorie (interrogatorio formale del convenuto, prova

ne del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito
giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto
di fatti e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza processuale,

condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata, quasi
che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti
di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità;
che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato;
che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da
dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e

condanna il ricorrente al

rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi euro 1.700, di cui euro 1.500
per compensi, oltre ad accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 4 ottobre
2013.

quanto ancora le opinioni espresse dal giudice di appello non

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