Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2693 del 04/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 04/02/2011, (ud. 04/10/2010, dep. 04/02/2011), n.2693

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe V. A. – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze e Agenzia delle Entrate,

rappresentatati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

cui sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrenti –

contro

CREMONINI s.p.a., già CA.FIN. s.p.a., elettivamente dom.to in Roma,

viale Parioli 43, presso lo studio dell’avv.to d’Ayala Valva

Francesco, dal quale è rappresentata e difesa con l’avv.to Carmelo

Barillaro, per procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 18/01/03 della Commissione tributaria

regionale di Bologna, emessa il 24 gennaio 2003, depositata il 21

febbraio 2003, R.G. 2235/00;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 4 ottobre 2010

dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito l’Avvocato Diana Ranucci per l’Avvocatura generale dello Stato;

udito l’Avvocato Francesco D’Ayala Valva per la controricorrente;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La controversia ha per oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società Cremonini e basato sul recupero a tassazione dell’I.V.A., per l’anno 1995, portata in detrazione dalla società Cremonini relativamente a una operazione di acquisto di bovini ritenuta dall’Agenzia delle Entrate di Modena soggettivamente inesistente perchè effettuata mediante l’interposizione di una cd. società cartiera che non aveva provveduto al pagamento dell’I.V.A.;

2. La società ricorrente ha contestato il carattere fittizio della transazione;

3. La C.T.P. ha respinto il ricorso mentre la C.T.R. ha accolto l’appello della società Cremonini ritenendo insussistente la prova della fittizietà dell’operazione;

4. Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate unitamente al Ministero dell’Economia e delle Finanze;

5. Si difende con controricorso la società contribuente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

6. Per quanto riguarda l’ammissibilità del ricorso notificato, come ha evidenziato la stessa parte ricorrente, usufruendo della sospensione dei termini processuali prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 6, si richiama la giurisprudenza delle SS.UU. civili di questa Corte secondo cui In tema di condono fiscale, la L. n. 289 del 2002, art. 16, nella parte in cui prevede la definizione delle liti pendenti e le relative condizioni, nonchè la sospensione dei termini di impugnazione, non comporta una rinuncia dell’Amministrazione all’accertamento dell’imposta (già effettuato e contestato nella sua legittimità), bensì la definizione di una lite in corso con “il contribuente, in funzione della riduzione del contenzioso in atto, secondo parametri rapportati allo stato della lite al momento della domanda di definizione, garantendo la riscossione di un credito tributario incerto, sulla base di un trattamento paritario tra i contribuenti. Esso, pertanto, nella parte in cui si riferisce alle controversie in materia di IVA, non può essere disapplicato per contrasto con la 6^ direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, neppure a seguito della sentenza della Corte di Giustizia CE del 17 luglio 2008, in causa C-132/06, con la quale, in esito ad una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, è stata dichiarata l’incompatibilità con il diritto comunitario (in particolare con gli artt. 2 e 22 della 6^ direttiva cit.) degli artt. 8 e 5 della citata legge, nella parte in cui prevedono la condonabilità dell’IVA alle condizioni ivi indicate, dovendo tale pronuncia essere interpretata restrittivamente (Cass. Civ., SS.UU. n. 3676 del 17 febbraio 2010 con la quale in applicazione del sopra riportato principio, è stata respinta l’eccezione di inammissibilità, per tardività, del ricorso per cassazione dell’Ufficio delle entrate, che aveva beneficiato della sospensione dei termini di impugnazione prevista dall’art. 16 cit., eccezione avanzata sul presupposto che l’articolo in questione avrebbe dovuto essere disapplicato “in toto”, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia);

7. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, e art. 54 dato che la C.T.R. ha sostanzialmente affermato il principio secondo cui dal solo fatto di aver corrisposto l’I.V.A. sorgerebbe il diritto alla detrazione di imposta;

8. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria in quanto la C.T.R. non considera che la fittizietà della interposizione dei vari soggetti “primi acquirenti” era il frutto, evidentemente, dell’esistenza di un accordo fraudolento per evitare il versamento dell’I.V.A. di cui beneficiavano soprattutto i “secondi acquirenti”. Inoltre la C.T.R., a giudizio delle amministrazioni ricorrenti, da per scontata la totale buona fede della società omettendo qualsiasi riferimento agli elementi evidenziati nell’avviso e nei relativi allegati e affermando (in modo del tutto illogico) che la prova dell’estraneità al disegno criminoso si evincerebbe dal fatto che le due società non sono state denunciate all’autorità giudiziaria mentre una simile circostanza non può, di per sè, precludere un diverso accertamento di responsabilità in sede tributaria, anche in via presuntiva;

9. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, e art. 54 e dell’art. 2729 cod. civ., nonchè la motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria. Secondo la ricorrente se la C.T.R. avesse fatto corretta applicazione dei principi in tema di onere della prova del diritto a detrazione dell’I.V.A. assolta e se avesse analizzato nel merito gli elementi in suo possesso non avrebbe potuto che confermare la legittimità dell’avviso;

10. Tutti i motivi di ricorso devono ritenersi fondati.

11. Quanto al primo motivo deve rilevarsi che in tema di IVA, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 17 e 19 – per cui “è detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione – interpretati in coerenza con quanto prescritto dagli artt. 17 e 20 della sesta direttiva del Consiglio C.C.C. del 15 maggio 1977, n. 77/388 C.C.C., e del principio affermato dalla Corte di giustizia delle Comunità con la sentenza 13 dicembre 1989, (c. 342/87), l’esercizio del diritto di detrazione è limitato soltanto alle imposte dovute, vale a dire alle imposte corrispondenti ad un’operazione soggetta all’IVA o versate in quanto dovute, e non si estende all’imposta che sia stata pagata per il semplice fatto di essere stata indicata in fattura (fra le molte decisioni conformi Cass. civ. n. 8786 del 27 giugno 2001, Cass. Civ. 12146 del 26 maggio 2009);

12. Il secondo motivo è anch’esso fondato perchè risulta palese nella motivazione della C.T.R. una insufficienza di considerazioni e una inappropriatezza di argomentazioni che rende assolutamente superficiale e illogico l’iter decisionale in ordine alla valutazione della prova della consapevolezza della società controricorrente relativamente alla esistenza di un meccanismo fraudolento di evasione dell’IVA in cui veniva ad essere coinvolta;

13. il terzo motivo di ricorso è fondato nella misura in cui la decisione della C.T.R. non ha rispettato il criterio giurisprudenziale di ripartizione dell’onere della prova in questa materia. Ritiene infatti la giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 15395 dell’11 giugno 2008) che, in materia di IVA, in ipotesi di fatture che l’Amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, grava su di essa l’onere di provare che le operazioni, oggetto delle fatture, in realtà non sono state mai poste in essere.

Ma, se l’amministrazione fornisca validi elementi -alla stregua del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2, – per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate;

14. Il ricorso va pertanto accolto con cassazione della sentenza impugnata e rinvio ad altra sezione della C.T.R. dell’Emilia Romagna che deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione;

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della C.T.R. dell’Emilia Romagna che deciderà anche sulle spese processuali del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 ottobre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2011

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