Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26929 del 23/12/2016


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Cassazione civile, sez. lav., 23/12/2016, (ud. 11/10/2016, dep.23/12/2016),  n. 26929

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 751-2013 proposto da:

I.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DELLA BALDUINA 66, presso lo studio dell’avvocato PAOLO

IMPERATO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIUSEPPE SPAGNUOLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, PUBBLICO MINISTERO in

persona del Sostituto P.G. presso la SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 12499/2012 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 19/07/2012 R.G.N. 27967/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO AMENDOLA;

udito l’Avvocato IMPERATO PAOLO anche per conto dell’Avvocato

SPAGNUOLO GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per inammissibilità o in subordine

rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza n. 12499 del 19 luglio 2012 questa Corte ha respinto il ricorso per cassazione proposto da I.G. nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno confermativa della pronuncia di primo grado la quale aveva respinto l’impugnativa del provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro intercorso tra le parti per superamento del periodo di comporto, sull’assunto che il licenziamento, consegnato il 27 ottobre 2005 dai Carabinieri di Amalfi, era stato impugnato oltre il termine di 60 giorni previsto dalla L. n. 604 del 1966, art. 6.

La citata pronuncia di questa Corte, per quanto qui immediatamente rileva, esaminando il primo motivo di ricorso, ha ritenuto che correttamente la Corte territoriale avesse considerato che la L. n. 604 del 1966, art. 2 come modificato dalla L. n. 108 del 1990, “esige che il licenziamento sia comunicato per iscritto al lavoratore, senza prescrivere particolari modalità della comunicazione stessa, essendo necessario e sufficiente che l’atto di recesso datoriale sia portato a conoscenza del lavoratore”; pertanto nel caso di specie – secondo la sentenza impugnata – “la comunicazione dell’atto di recesso a mezzo di ufficiale di p.g., ancorchè quest’ultimo fosse sprovvisto dei requisiti soggettivi per procedere a una vera e propria notifica, costituisce comunque una modalità idonea per la comunicazione del licenziamento in ragione appunto della libertà della forma del licenziamento, purchè per iscritto”.

2.- Per la revocazione di tale sentenza ha proposto ricorso I.G. ai sensi dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, depositando altresì memoria ex art. 378 c.p.c.. Non ha svolto attività difensiva il Ministero intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

3.- Con il ricorso per revocazione si denuncia un errore “percettivo e cognitivo” da parte della sentenza impugnata avuto riguardo al primo motivo di impugnazione, in quanto la Corte avrebbe omesso di rilevare che la pur unitaria censura si articolava non solo nella doglianza circa l’inefficacia del provvedimento espulsivo per violazione della L. n. 604 del 1966, art. 2 perchè consegnato a mezzo ufficiale di p.g., ma anche sotto il diverso profilo secondo cui, una volta che la pubblica amministrazione aveva attivato il procedimento della L. n. 241 del 1990, ex art. 7 la stessa si era autovincolata, obbligandosi a che anche l’atto finale intervenisse nel rispetto della qualificata forma conoscitiva imposta dall’art. 21-bis cit. Legge (notifica a mani proprie, attraverso il servizio postale ovvero con il rito degli irreperibili).

4.- Il gravame non può trovare accoglimento.

L’ipotesi di revocazione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4 sussiste se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa; vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita.

Per pacifica giurisprudenza di legittimità tale genere di errore presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purchè, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti (per tutte Cass. SS.UU. n. 5303 del 1997; v. poi Cass. SS.UU. n. 15979 del 2001).Pertanto in generale l’errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e l’interpretazione dei fatti storici; deve avere i caratteri dell’assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa.

In particolare, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 22569 del 2013; n. 4605 del 2013, n. 16003 del 2011) l’unico errore percettivo denunziabile ex art. 391-bis c.p.c. è quello che si sostanzia nella mancata percezione da parte della Corte della esistenza di un motivo, come tale ignorato nella pronuncia, nel mentre fuoriesce dal travisamento rilevante ogni errore che attinga la interpretazione del quadro processuale che esso denunziava, in coerenza con una scelta che deve lasciar fermo il valore costituzionale della insindacabilità delle valutazioni di fatto e di diritto della Corte di legittimità.

E’ stato precisato che, pur non essendo sufficiente ad escludere detto errore il segno grafico di avere esaminato il fatto materiale o processuale, è tuttavia sufficiente una espressione concettuale dialettica di esame (Cass. n. 24953 del 2014). Inoltre non è idoneo ad integrare errore revocatorio l’ipotizzato travisamento, da parte della Corte di cassazione, di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale – quand’anche risulti errata – di revocazione (Cass. n. 14108 del 2016; Cass. n. 13181 del 2013)Orbene, nella specie, dalla sentenza impugnata risulta che il primo motivo, pure riassunto, è stato esaminato dal Collegio che, rispetto ad esso, si è posto in articolata posizione dialettica esplicitata in plurime proposizioni, concludendo nel senso che il licenziamento, così come comunicato, era idoneo a far decorrere il termine di decadenza. La non condivisione di tale assunto avente natura assorbente, lungi dal consumare un errore percettivo, si traduce in una diversa valutazione patrocinata dalla parte, che in ogni caso non può attingere l’interpretazione dei contenuti espoitivi del motivo implicante attività valutativa. Nè la Corte aveva necessità di confutare ogni aspetto profilato nel corpo del medesimo motivo, essendo sufficiente che, rispetto ad esso, caratterizzato dalla omogeneità della direzione della doglianza finalizzata a contestare la ritualità della comunicazione del provvedimento risolutivo, abbia espresso il fondamento del decisum.

5.- Conclusivamente il ricorso per revocazione deve essere respinto. Nulla per le spese in difetto di attività difensiva del Ministero intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2016

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