Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26918 del 14/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 14/12/2011, (ud. 07/11/2011, dep. 14/12/2011), n.26918

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.R.C., A.A. e A.M., in

qualità di eredi di A.D., domiciliati per legge in

Roma, alla piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di

cassazione, unitamente all’avv. MARRA ALFONSO LUIGI, dal quale sono

rappresentati e difesi in virtù di procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro p.t,

domiciliato per legge in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso

l’AVVOGATURA GENERALE DELLO STATO, dalla quale è rappresentato e

difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli depositato il 28

maggio 2010;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

novembre 2011 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. VELARDI Maurizio, il quale ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 28 maggio 2010, la Corte di Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da D.R.C., A.A. e A.M., in qualità di eredi di A.D., nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, promosso dal dante causa degl’istanti nei confronti della Regione Campania per l’annullamento del provvedimento con cui era stato disposto l’avvio della procedura di recupero di somme precedentemente erogate a titolo di retribuzione.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato con ricorso depositato il 3 agosto 1999, non si era ancora concluso alla data del decesso del de cuius, verificatosi il (OMISSIS), la Corte ne ha determinato la ragionevole durata in tre anni, avuto riguardo all’ordinaria complessità della controversia, non coinvolgente questioni di rilievo tale da imporre uno straordinario sforzo di efficienza all’apparato giudiziario; rilevato inoltre che nel giudizio presupposto l’ A. non aveva chiesto la sospensione dell’esecutorietà del provvedimento impugnato, mentre l’Amministrazione non aveva provveduto a darvi esecuzione, e tenuto altresì conto della minima entità delle somme in contestazione e della natura collettiva del ricorso, la Corte ha liquidato equitativamente il danno non patrimoniale in complessivi Euro 3.000,00, da ripartirsi tra gli eredi in proporzione delle rispettive quote.

2. – Avverso il predetto decreto gl’istanti propongono ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi. Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con i cinque motivi d’impugnazione, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e degli artt. 1 e 6, par. 1, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nella liquidazione del danno non patrimoniale, la Corte d’Appello si è discostata dagli standards europei, senza fornire un’adeguata motivazione, ed ha ridotto l’indennizzo in misura superiore a quella consentita dalla valutazione della modestia della posta in gioco e dell’inerzia della parte.

2. – Le censure, che vanno esaminate congiuntamente in quanto attinenti alla comune tematica della liquidazione dell’indennizzo, sono fondate.

Questa Corte ha affermato ripetutamente che il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass. Sez. 1^, 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009, n. 21840).

Tali criteri non appaiono puntualmente rispettati nel decreto impugnato, con cui la Corte d’Appello ha riconosciuto ai ricorrenti, in relazione all’accertato ritardo di cinque anni e dieci mesi nella definizione del giudizio presupposto, un indennizzo complessivo di Euro 3.000,00, pari ad Euro 600,00 circa per anno; la consistente riduzione in tal modo operata rispetto ai parametri elaborati dalla Corte EDU non trova peraltro adeguata giustificazione nell’affermata modestia della posta in gioco, desunta dalla natura collettiva del ricorso, dalla minima entità delle somme in contestazione e dalla mancata proposizione dell’istanza di sospensione del provvedimento impugnato.

2.1. – Secondo l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, infatti, la valutazione dell’entità della pretesa patrimoniale azionata (cd. posta in gioco), alla quale occorre procedere per accertare l’impatto dell’irragionevole ritardo sulla psiche della parte richiedente, al fine di giustificare l’eventuale scostamento, in senso sia migliorativo che peggiorativo, dai parametri indennitari fissati dalla Corte EDU, postula l’effettuazione di un giudizio di comparazione con la situazione socioeconomica dell’istante, tale da evidenziare la reale portata dell’interesse di quest’ultimo alla decisione, in ordine al quale il giudice di merito è tenuto a fornire una puntuale motivazione (cfr.

Cass. Sez. 1^, 24 luglio 2009. n. 17404; 2 novembre 2007, n. 23048), assolutamente assente nel decreto impugnato.

La valutazione in esame, pur consentendo al giudice di merito di discostarsi dai parametri elaborati dalla Corte EDU, non legittima comunque il riconoscimento di un importo irragionevolmente inferiore a quello risultante dall’applicazione dei predetti criteri, dal momento che la liquidazione di un indennizzo poco più che simbolico o comunque manifestamente inadeguato contrasterebbe con l’esigenza, posta a fondamento della L. n. 89 del 2001, di assicurare un serio ristoro al pregiudizio subito dalla parte per effetto della violazione dell’art. 6 della CEDU (cfr. Cass., Sez. 1^, 6 giugno 2011, n. 12173).

Tanto meno la predetta riduzione può trovare giustificazione nella circostanza che il ricorso al giudice amministrativo sia stato avanzato da una pluralità di attori, in quanto la proposizione della domanda in forma collettiva e indifferenziata può comportare un ridimensionamento del danno patrimoniale, in ragione della più limitata incidenza delle spese processuali, ma non vale certamente a trasferire sul gruppo, come entità amorfa, e quindi a neutralizzare situazioni di angoscia o patema d’animo riferibili specificamente a ciascun singolo consorte in lite (cfr. Cass., Sez. 1^, 29 marzo 2011, n. 7148; 20 novembre 2008, n. 27610).

3. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il riconoscimento di un indennizzo che, avuto riguardo all’accertato ritardo nella definizione del giudizio presupposto ed ai parametri elaborati dalla Corte EDU, può essere quantificato complessivamente in Euro 5.083,00, da ripartirsi tra i ricorrenti in proporzione delle rispettive quote ereditarie, oltre interessi legali con decorrenza dalla data di proposizione della domanda.

4. – Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di D.R.C., A. A. ed A.M., in qualità di eredi di A. D., della somma di Euro 5.083,00, da ripartirsi tra i ricorrenti in proporzione delle rispettive quote ereditarie, oltre interessi legali dalla domanda, nonchè al pagamento delle spese processuali, che si liquidano per il giudizio di merito in complessivi Euro 928,00, ivi compresi Euro 450,00 per onorario, Euro 378,00 per diritti ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e per il giudizio di legittimità in complessivi Euro 615,00, ivi compresi Euro 565,00 per onorario ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 7 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2011

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