Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26913 del 22/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 22/10/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 22/10/2019), n.26913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5841 del ruolo generale dell’anno 2016

proposto da:

Auchan s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dagli Avv.ti Giuseppe Camosci e Francesco

Falcitelli per procura speciale a margine del ricorso, elettivamente

domiciliata in Roma, via Gian Giacomo Porro, n. 8, presso lo studio

dei medesimi difensori (CGP Studio legale tributario);

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, n.

7482/2/2015, depositata in data 23 luglio 2015;

udita la relazione svolta in camera di consiglio del 9 aprile 2019

dal Consigliere Dott. Triscari Giancarlo;

Fatto

RILEVATO

che:

dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti della società contribuente cinque avvisi di rettifica del valore dichiarato nelle bollette doganali delle merci importate dalla Cina, con i quali venivano recuperati i maggiori dazi e irrogate le conseguenti sanzioni; avverso i suddetti atti impositivi la contribuente aveva proposto separati ricorsi che erano stati accolti, previa riunione, dalla Commissione tributaria provinciale di Salerno; avverso la suddetta pronuncia l’Agenzia delle dogane aveva proposto appello, nel contraddittorio con la contribuente;

la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, ha accolto l’appello; in particolare ha ritenuto che: era fondato il motivo di appello relativo al difetto di motivazione della pretesa impositiva, in quanto dall’esame del contenuto della medesima si evincevano chiaramente gli elementi da cui l’amministrazione doganale aveva fatto derivare la sussistenza dei fondati dubbi legittimanti il recupero a posteriori, in particolare la rilevata non congruità del valore dichiarato rispetto a quello relativo a merci identiche o similari nonchè il fatto che il suddetto valore era al di sotto della soglia dei costi sostenuti per la produzione nel Paese di origine dei beni acquistati; rispetto a tale prospettazione, parte ricorrente si era limitata ad allegare le offerte ricevute da fornitori nazionali ed esteri ma relativamente a prodotti omogenei, sicchè la stessa non aveva assolto al proprio onere di provare il reale valore dei beni importati; l’amministrazione doganale, peraltro, aveva indicato, in sede di contraddittorio endoprocedimentale, quali documenti erano necessari per la verifica del valore dichiarato, sicchè la ricorrente era a conoscenza delle finalità dell’attività di verifica in corso;

avverso la suddetta pronuncia Auchan s.p.a. ha proposto ricorso affidato a tre motivi di censura;

l’Agenzia delle dogane e dei Monopoli si è costituita depositando controricorso;

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, comma 5-bis, e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, per avere ritenuto che, ai fini della valutazione della sufficienza della motivazione dell’atto impositivo, non è necessario che siano portati a conoscenza del contribuente gli atti istruttori utilizzati per l’accertamento della violazione tributaria, in particolare le schede di lavorazione sulla cui base l’amministrazione doganale aveva verificato che il costo di produzione della merce importata era inferiore al valore dichiarato al momento dell’importazione;

il motivo è infondato;

il requisito formale della motivazione dell’atto impositivo è previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7 e, per quanto specificamente attiene agli avvisi di rettifica in materia doganale, del D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11, comma 5-bis, secondo cui, in particolare, “la motivazione dell’atto deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale ai fini della difesa”;

l’osservanza del suddetto obbligo motivazionale, va precisato, può avvenire anche mediante rinvio per relationem ad altro atto, purchè richiamato e del quale ne sia riportato il contenuto essenziale, come risulta avvenuto nel caso di specie, ove la stessa parte ricorrente riferisce che l’atto impositivo ha fatto rinvio al processo verbale di revisione;

in linea con la suddetta previsione, la pronuncia censurata ha valutato il contenuto dell’atto impositivo ed ha ritenuto che nello stesso erano stati chiaramente indicati gli elementi sulla cui base si era fondata la pretesa impositiva;

parte ricorrente non censura lo specifico passaggio motivazionale con il quale il giudice del gravame ha espresso la propria valutazione circa la sufficienza della motivazione, ma lamenta la mancata conoscenza delle schede di lavorazione cui ha fatto riferimento l’amministrazione doganale, negli atti impugnati, al fine di supportare la ritenuta sussistenza dei fondati dubbi legittimanti il recupero a posteriori dei dazi non corrisposti;

tuttavia, la specifica conoscenza del contenuto delle schede di lavorazione non attiene al profilo della motivazione dell’atto impugnato, ove, come nel caso di specie, la pronuncia censurata ha ritenuto che questo è, di per sè, idoneo a rappresentare le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda la pretesa;

va precisato, a tal proposito, che l’obbligo di allegazione dell’atto o documento al quale è disposta la “relatio” ha “funzione integrativa” delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, con la conseguenza che non si estende a quegli atti, pur indicati nell’avviso di accertamento, che non rivestono carattere essenziale in quanto non svolgono alcuna funzione esplicativa “dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche” sui quali è fondata la determinazione dell’Ufficio tributario (Cass. civ., 18 dicembre 2009 n. 26683);

il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perchè ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente, come ritenuto dal giudice del gravame, in quanto indica i presupposti di fatto e di diritto sui quali si fonda la pretesa;

va, infatti, distinta, al riguardo, la questione relativa alla esistenza della motivazione dell’atto impositivo, quale “requisito formale di validità” dell’avviso di accertamento, da quella attinente, invece, alla indicazione ed alla effettiva sussistenza di elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria (Cass. civ., 17 gennaio 1997 n. 459; Cass. civ., 5 giugno 1998 n. 5544; cass. civ., 1 agosto 2000 n. 10052), indicazione che non è richiesta quale elemento costitutivo della validità dell’atto impositivo, e chè rimane disciplinata dalle regole processuali proprie della istruzione probatoria che trovano applicazione nello svolgimento dell’eventuale giudizio introdotto dal contribuente con il ricorso di opposizione all’atto impositivo;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 181-bis del Regolamento Cee n. 2454/1993, per non avere considerato che l’amministrazione doganale non aveva seguito la procedura prevista dalla suddetta previsione normativa, in particolare, dopo la richiesta di documentazione, non aveva comunicato alla ricorrente i motivi per cui persistevano i fondati dubbi legittimanti la rideterminazione del valore della merce;

il motivo è inammissibile;

lo stesso prospetta una ragione di doglianza, consistente nel mancato rispetto della procedura di cui all’art. 181-bis DAC, che non risulta esaminata dal giudice del gravame nè, in violazione del principio di specificità, proposta dalla ricorrente nelle precedenti fasi di merito;

in ogni caso, risulta dalla sentenza che l’amministrazione doganale aveva richiesto alla ricorrente la produzione di specifici documenti che provassero una serie di dati sulla base dei quali potere operare le verifiche del valore dichiarato;

risulta, altresì, che, nella medesima sentenza, nel riportare le ragioni di contestazione dell’Agenzia delle dogane, la ricorrente non aveva prodotto la documentazione richiesta, ma aveva provveduto, solo in fase contenziosa, alla produzione di documentazione, ritenuta dal giudice del gravame non conferente;

nell’articolare il presente motivo di censura, parte ricorrente, in violazione del principio di specificità, non precisa di avere provveduto a depositare, in sede precontensiosa, la documentazione richiesta ovvero altra documentazione ritenuta necessaria al fine di contrastare la prospettata esistenza di fondati dubbi circa la non veridicità del valore delle merci indicato nelle dichiarazioni di importazione, ma si limita a lamentare che l’Agenzia delle dogane successivamente alla richiesta di documentazione afferente le importazioni verificate non ha mai comunicato alla Società i motivi per i quali i dubbi che avevano avviato la verifica sarebbero stati fondati, concedendo alla stessa una ragionevole possibilità di rispondere adeguatamente (vd. pagg. 13 e 14, ricorso);

va, quindi, osservato che l’art. 181-bis DAC, prevede, al secondo paragrafo che “le autorità doganali, in presenza dei dubbi di cui al paragrafo 1, possono richiedere che siano fornite delle informazioni complementari tenuto conto di quanto stabilito all’art. 178, paragrafo 4. Se tali dubbi dovessero persistere, le autorità doganali, prima di adottare una decisione definitiva, sono tenute ad informare la persona interessata, per iscritto a sua richiesta, dei motivi sui quali questi dubbi sono fondati, concedendole una ragionevole possibilità di rispondere adeguatamente. La decisione definitiva con la relativa motivazione è comunicata alla persona interessata per iscritto”;

la necessità della preventiva comunicazione è correlata, dalla previsione normativa in esame, alla risposta del contribuente alla richiesta di informazioni formulata dall’amministrazione doganale, in quanto la stessa, in questo caso, è tenuta a chiarire le ragioni per le quali, nonostante quanto risposto dal contribuente, persistono i fondati dubbi;

come detto, nella fattispecie, parte ricorrente non ha in alcun modo allegato di avere provveduto a dare risposta alla richiesta di informazioni, sicchè non correttamente lamenta la mancata comunicazione informativa prima dell’adozione della decisione definitiva;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, non avendo tenuto conto della produzione documentale compiuta in giudizio dalla ricorrente, in particolare delle offerte commerciali relative a prodotti omogenei a quelli importati rilasciate da fornitori nazionali e cinesi e riferibili a periodi vicini a quello dell’importazione;

il motivo è inammissibile;

l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 (conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) applicabile alla fattispecie in considerazione del fatto che la pronuncia è stata depositata in data 23 luglio 2015, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo;

di per sè, quindi, l’omesso esame di elementi istruttori non integra il vizio di un omesso esame di un fatto decisivo se il fatto storico, rilevante in causa, è stato comunque preso in considerazione dal giudice, anche se in sentenza non ha dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053);

nella controversia in esame, il giudice ha valutato se l’atto impositivo era motivato sotto il profilo della sussistenza dei fondati dubbi che legittimavano l’amministrazione doganale all’accertamento a posteriori ed ha, altresì, precisato che la documentazione prodotta dalla contribuente non era idonea a contrastare la non correttezza del valore della merce dichiarato in dogana, posto che era relativa a prodotti omogenei, quindi non conferente al caso di specie;

pertanto, non solo il giudice del gravame si è pronunciato sulla questione della sussistenza dei presupposti legittimanti il controllo a posteriori, ma ha, altresì, valutato la documentazione prodotta dalla ricorrente, ritenendola non conferente;

in conclusione, va dichiarato infondato il primo motivo, inammissibili il secondo e il terzo, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite che si liquidano in complessive Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.

Depositato in cancelleria il 22 ottobre 2019

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