Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26913 del 14/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 14/12/2011, (ud. 07/11/2011, dep. 14/12/2011), n.26913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

V.P., domiciliato per legge in Roma, alla piazza

Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione,

unitamente all’avv. MARRA ALFONSO LUIGI, dal quale è rappresentato e

difeso in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro

p.t., domiciliato per legge in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dalla quale è

rappresentato e difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli depositato il 15

febbraio 2010;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7

novembre 2011 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. VELARDI Maurizio, il quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 15 febbraio 2010, la Corte di Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da P. V. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio amministrativo promosso dall’istante nei confronti del Comune di Torre del Greco, del Ministero del Tesoro e del Ministero dell’Interno per il riconoscimento del diritto all’inclusione dell’indennità integrativa speciale nel calcolo della retribuzione utile ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto dovuto per il servizio non di ruolo prestato fino all’inquadramento nel ruolo del personale comunale.

Premesso che il giudizio presupposto, iniziato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania con ricorso depositato il 27 aprile 1999 e conclusosi in primo grado con sentenza del 13 giugno 2006, era proseguito dinanzi al Consiglio di Stato con appello del 31 luglio 2007 ed era stato definito in secondo grado con sentenza del 16 ottobre 2007, la Corte ha rilevato che la domanda di equa riparazione era limitata al danno derivante dall’eccessiva durata della prima fase, e, determinata in tre anni la ragionevole durata della stessa, ha liquidato equitativamente il danno non patrimoniale in complessivi Euro 2.000,00, in considerazione della natura della pretesa azionata, del carattere collettivo del ricorso e dell’esito sfavorevole del giudizio.

2. – Avverso il predetto decreto l’istante propone ricorso per cassazione, articolato in dodici motivi, illustrati anche con memoria. Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con i primi cinque motivi d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e degli artt. 1 e 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nella liquidazione del danno non patrimoniale, la Corte d’Appello si è discostata dagli standards europei, senza fornire un’adeguata motivazione, avendo conferito rilievo alla natura collettiva del ricorso, non incidente sul patema d’animo connesso al protrarsi della vicenda processuale, nonchè all’esito sfavorevole del giudizio, dal quale ha arbitrariamente desunto che egli era pienamente consapevole dell’infondatezza della propria pretesa.

2. – Le censure, che vanno esaminate congiuntamente in quanto attinenti alla comune tematica della liquidazione dell’indennizzo, sono fondate.

Questa Corte ha affermato ripetutamente che il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU. dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che a liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass., Sez. 1^, 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009, n. 21840).

Tali criteri non appaiono puntualmente applicati nel decreto impugnato, con il quale la Corte d’Appello ha riconosciuto al ricorrente, in relazione all’accertato ritardo di quattro anni e due mesi nella definizione del giudizio presupposto, un indennizzo complessivo di Euro 2.000,00, pari ad Euro 500.00 circa per anno, in tal modo operando una consistente riduzione rispetto ai parametri elaborati dalla Corte EDU, che non trova adeguata giustificazione negli elementi posti a fondamento della decisione.

2.1. – E’ pur vero, infatti, che, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, l’esito sfavorevole del giudizio presupposto, pur non impedendo di ravvisare una lesione del diritto alla definizione della controversia in un termine ragionevole, e non escludendo pertanto il riconoscimento dell’equa riparazione in favore della parte che abbia dovuto sopportare l’eccessiva durata del processo, può incidere riduttivamente sulla misura dell’indennizzo, ove la domanda sia stata proposta in un contesto tale da far apparire la pretesa azionata, se non temeraria, quanto meno fortemente aleatoria (cfr. Cass., Sez. 1, 30 agosto 2010, n. 18875; 13 novembre 2009, n. 24107). La considerazione di tali circostanze, pur consentendo al giudice di merito di discostarsi in senso peggiorativo dai parametri elaborati dalla Corte EDU, non legittima tuttavia il riconoscimento di un importo irragionevolmente inferiore a quello risultante dall’applicazione dei predetti criteri, dal momento che la liquidazione di un indennizzo poco più che simbolico o comunque manifestamente inadeguato contrasterebbe con l’esigenza, posta a fondamento della L. n. 89 del 2001, di assicurare un serio ristoro al pregiudizio subito dalla parte per effetto della violazione dell’art. 6 della CEDU (cfr. Cass., Sez. 1, 6 giugno 2011, n. 12173).

Tanto meno la predetta riduzione può trovare giustificazione nella circostanza che il ricorso al giudice amministrativo sia stato avanzato da una pluralità di attori, in quanto la proposizione della domanda in forma collettiva e indifferenziata può comportare un ridimensionamento del danno patrimoniale, in ragione della più limitata incidenza delle spese processuali, ma non vale certamente a trasferire sul gruppo, come entità amorfa, e quindi a neutralizzare situazioni di angoscia o patema d’animo riferibili specificamente a ciascun singolo consorte in lite (cfr. Cass., Sez. 1, 29 marzo 2011, n. 7148; 20 novembre 2008. n. 27610).

3. – L’accoglimento delle predette censure. comportando la caducazione del decreto impugnato anche nella parte concernente il regolamento delle spese processuali, rende superfluo l’esame degli ulteriori motivi, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 24, della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6, par. 1, della CEDU, nonchè l’omessa, insufficiente, contraddittoria o incongrua motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nella liquidazione delle spese, la Corte d’Appello non ha tenuto conto della natura contenziosa del procedimento e si è comunque discostata immotivatamente dalle tariffe professionali vigenti e dalla nota specifica da lui depositata.

4. – Il decreto impugnato va pertanto cassato, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il riconoscimento in favore del ricorrente di un indennizzo che, avuto riguardo all’accertato ritardo nella definizione del giudizio presupposto ed ai parametri elaborati dalla Corte EDU, può essere quantificato complessivamente in Euro 3.400,00, oltre interessi legali con decorrenza dalla data di proposizione della domanda.

5. – Le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo, con attribuzione al procuratore dichiaratosi anticipatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore di V.P. della somma di Euro 3.400,00, oltre interessi legali dalla domanda, nonchè al pagamento delle spese processuali, che si liquidano per il giudizio di merito in complessivi Euro 928,00, ivi compresi Euro 450,00 per onorario, Euro 378,00 per diritti di avvocato ed Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, e per il giudizio di legittimità in complessivi Euro 615,00, ivi compresi Euro 565,00 per onorario ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, con distrazione in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra, antistatario.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, il 7 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2011

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