Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26912 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud. 15/10/2020, dep. 26/11/2020), n.26912

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22983-2019 proposto da:

D.A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, alla via PAOLO

EMILIO, n. 34, presso lo studio dell’avvocato MARCELLA DE NINNO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALFREDO BRAGAGNI;

– ricorrente –

contro

M.I., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato MASSIMILIANO BARBANERA;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 96/2019 della CORTE d’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 17/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. Cristiano

Valle, osserva quanto segue.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

D.A.M. impugna, con atto affidato a tre motivi, la sentenza definitiva della Corte di Firenze, n. 96 del 17/01/2019, che ha statuito su opposizione all’esecuzione e dedotti vizi di realizzazione di lavori edili, da lui fatti valere in primo grado dinanzi al Tribunale di Montepulciano, che aveva rigettato l’opposizione e la domanda di accertamento dei vizi.

Resiste con controricorso M.I..

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile e comunque manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Il primo motivo di ricorso censura la sentenza d’appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 cit. codice, per omessa pronuncia sulla domanda di restituzione della somma di oltre quattromila Euro versta in favore della M. a seguito dell’illegittima procedura esecutiva e sulla domanda di condanna della stessa ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 2

Il mezzo è inammissibile in quanto intende rimettere in discussione statuizioni, relative a somme – delle quali viene richiesta la restituzione – portate da assegni postali postdatati, di cui alla sentenza d’appello non definitiva, per le quali non vi era stata impugnazione, nè riserva di impugnazione e che, devono, pertanto, ritenersi coperte da giudicato sul punto, con la conseguenza che è precluso ogni esame ulteriore.

Il giudicato risulta essersi formato in quanto le affermazioni della sentenza non definitiva della Corte di Appello di Firenze non risultano essere state fatte oggetto di riserva facoltativa di impugnazione, secondo quanto previsto dall’art. 361 c.p.c., nè la stessa è stata oggetto di ricorso immediato per cassazione.

Il secondo mezzo proposto dal ricorrente è così formulato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1665,2226 c.c., e dell’art. 1668 c.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo di ricorso riguarda la denuncia dei vizi dei lavori appaltati ed è inammissibile alla luce della motivazione della Corte d’Appello, che ha esaminato il materiale istruttorio, e segnatamente la deposizione testimoniale, pervenendo alla conclusione che l’unica teste addotta dal D.A. fosse inattendibile.

Sul punto si richiama la costante giurisprudenza di legittimità in tema di insindacabilità delle scelte del giudice di merito sul materiale istruttorio (Cass. n. 13485 del 13/06/2014 Rv. 631330 – 01: “In tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultane del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni”.

Il terzo motivo è sulle spese di lite, ed investe la sentenza d’appello per violazione e (o), falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 92 c.p.c., comma 2.

Il mezzo è inammissibile: la Corte territoriale anche in questo caso motiva ampiamente sulle ragioni per le quali era stata ritenuta congrua una liquidazione in leggero eccesso a carico del D.A..

In ogni caso deve ribadirsi che la denuncia di violazione della norma di cui all’art. 91 c.p.c., comma 1, in questa sede di legittimità trova ingresso solo quando le spese siano poste a carico della parte integralmente vittoriosa (Cass. n. 18128 del 31/08/2020 Rv. 658963 – 01: “In materia di spese giudiziali, il sindacato di legittimità trova ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, e ciò vale sia nel caso in cui la controversia venga decisa in ognuno dei suoi aspetti, processuali e di merito, sia nel caso in cui il giudice accerti e dichiari la cessazione della materia del contendere e sia, perciò, chiamato a decidere sul governo delle spese alla stregua del principio della cosiddetta soccombenza virtuale”.) e tanto non è dato cogliere dal motivo all’esame.

Il ricorso, inoltre, omette di considerare adeguatamente che è la decisione di compensazione delle spese giudiziali che deve formare oggetto di adeguata motivazione, non la decisione del giudice di non procedere a compensazione, totale o anche soltanto parziale (Cass. n. 10009 del 24/06/2003 Rv. 564510 – 01 ed altre successive in termini quali Cass. n. 11744 del 24/06/2004 Rv. 573878 – 01).

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese di lite di questa fase di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto del valore della controversia.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 1.300,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione VI civile 3, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

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