Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26909 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 26/11/2020), n.26909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17226-2019 proposto da:

ATHOS SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL GESU’ 62, presso lo

studio dell’avvocato LEONARDO PULCINI, rappresentata e difesa

dall’avvocato EZIO CALDERAI;

– ricorrente –

contro

ABI ASSOCIAZIONE BANCARIA ITALIANA, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO AMILCARE

PONCHIELLI 6, presso lo studio dell’avvocato MARIA DINA LISANTI, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7726/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 5/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2013 Athos S.r.l., proprietaria di unità immobiliare ubicata nel “(OMISSIS)” sito in (OMISSIS), convenne in giudizio ABI Associazione Bancaria Italiana (di seguito indicata, per brevità, ABI) innanzi al Tribunale di Roma, per far accertare e dichiarare l’obbligo della convenuta a corrispondere all’attrice il 75% della quota condominiale annuale di pertinenza di parte attrice, comprensiva di spese ordinarie e straordinarie, a far data dal 2006 e fino alla revisione dei meccanismi di calcolo delle quote condominiali, e, per l’effetto, far condannare ABI al pagamento della somma di Euro 43.274,25, oltre interessi.

A sostegno delle proprie ragioni Athos S.r.l. dedusse che: aveva impugnato giudizialmente la Delib. condominiale 12 luglio 2006, con cui l’assemblea aveva autorizzato ABI ad utilizzare in via esclusiva i cortili interni del già indicato palazzo per alcuni giorni del mese di settembre del 2006 per consentire l’allestimento e lo svolgimento di un evento culturale organizzato dalla stessa convenuta; ABI aveva contattato i legali di Athos S.r.l. per ricercare una soluzione transattiva, formalizzata in una lettera predisposta da ABI, poi sottoscritta per accettazione dalla società attrice, con la quale ABI aveva proposto di assumersi l’impegno di pagare il 75% della quota condominiale annuale di competenza di Athos per spese ordinarie e straordinarie come determinate nel bilancio preventivo dell’esercizio annuale del, condominio, purchè Athos S.r.l. abbandonasse il giudizio di impugnazione della Delib.; in tale scrittura era inoltre previsto che il rimborso delle somme da parte di ABI sarebbe avvenuto di volta in volta, dietro presentazione delle singole quietanze emesse dall’amministratore del condominio, e che detto impegno sarebbe durato sino alla revisione da parte del condominio, dei meccanismi di calcolo delle quote condominiali; in esecuzione dell’accordo Athos S.r.l. aveva rinunziato all’azione giudiziale, mentre ABI aveva disatteso gli impegni assunti omettendo il pagamento del 75% della quota condominiale dell’attrice sia con riguardo all’esercizio del 2006, che per i successivi, nonostante non si fosse ancora proceduto alla revisione delle tabelle millesimali; stante l’esito negativo di una procedura di mediazione ed il mancato riscontro ai solleciti di pagamento, Athos S.r.l. aveva adito le vie giudiziali.

Si costituì ABI, eccependo in via principale la nullità/inefficacia della scrittura del 7 settembre 2006 per indeterminatezza dell’oggetto, o, comunque, perchè contenente l’accollo di un debito futuro o per omessa indicazione dell’importo massimo dell’obbligazione; in via subordinata, eccepì che il preteso obbligo riguardava esclusivamente l’importo del 75% delle spese condominiali ordinarie relative all’esercizio del 2006; concluse per il rigetto della domanda, o, in via subordinata per l’accoglimento della stessa limitatamente alle spese ordinarie dell’esercizio del 2006, o in via ulteriormente subordinata, limitatamente alle spese ordinarie e straordinarie relative all’esercizio del 2006.

Il Tribunale adito, con sentenza n. 70/2017, depositata in data 5 gennaio 2017, interpretò l’accordo intervenuto tra le parti nel senso di limitare l’impegno assunto da ABI ad una sola annualità, riconobbe valenza di condizione risolutiva alla clausola di revisione dei criteri di riparto, escluse dal calcolo le spese straordinarie in quanto la relativa pattuizione, riportata in forma manoscritta, era stata disconosciuta dalla convenuta, senza che l’attrice avesse proposto istanza di verificazione e, quindi, ricondannò ABI al pagamento, in favore di Athos S.r.l., della somma di Euro 3.540,00, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, e compensò integralmente le spese del giudizio.

Avverso tale sentenza Athos S.r.l. propose appello, chiedendo, in subordine, la condanna di ABI al pagamento della somma di Euro 14.100,00, oltre interessi, pari al 75% delle quote condominiali per soli oneri ordinari dovute da essa Athos S.r.l. per il periodo 20062012.

L’appellata si costituì chiedendo il rigetto del gravame e proponendo, a sua volta, appello incidentale.

La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 7726/2018, pubblicata il 5 dicembre 2018, rigettò sia l’appello principale che l’appello incidentale e dichiarò interamente compensate tra le parti le spese di quel grado.

Avverso la sentenza della Corte di merito Athos S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione – basato su un unico motivo e illustrato da memoria -, cui ha resistito ABI con controricorso.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo è così rubricato, “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1366,1369 e 1371 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

La ricorrente, con il mezzo all’esame, sostiene che la Corte territoriale avrebbe violato “i canoni legali di ermeneutica contrattuale” ed avrebbe violato altresì “la gerarchia dei mezzi ermeneutici previsti dalla legge, adottandone altri integrativi, contraddittori gli uni con gli altri, di nessun riferimento al documento”, nel ritenere che l’impegno assunto da ABI fosse limitato al solo anno 2006, in base al preventivo relativo al bilancio 2007/08, identico a quello del 2006/07.

1.1. Il motivo è inammissibile, alla luce del principio già affermato da questa Corte e che va ribadito in questa sede, secondo cui l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss.c.c.. Questa Corte ha pure precisato che la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., ord., 27/06/2018, n. 16987; Cass. 28/11/2017, n. 28319; Cass. 15/11/2017, n. 27136; Cass. 17/03/2014, n. 6125, Cass. 20/11/2009, n. 24539)

Nella specie, la ricorrente ha proposto contestazioni che solo apparentemente censurano l’errata applicazione, da parte della Corte territoriale, dei criteri di ermeneutica ma tendono, in sostanza, inammissibilmente ad attribuire alle espressioni contenute nel testo negoziale un valore e un significato più conforme alle proprie aspettative (v. ricorso p. 8 in particolare) rispetto a quelli attribuiti motivatamente dal predetto giudice (v. sentenza p. 7 e 8), non senza evidenziare che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, il carattere prioritario dell’elemento letterale non va inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell’art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti comporta che l’elemento letterale, sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, ben può essere pure riguardato alla stregua di ulteriori criteri ermeneutici (v. ex multis Cass. 22/11/2016, n. 23701; Cass. 28/03/2017, n. 7927; Cass. 19/03/2018, n. 6675).

2. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo tra le parti costituite.

4. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

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