Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26908 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 26/11/2020), n.26908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13708-2019 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 50, presso

lo studio dell’avvocato EMANUELA MAZZOLA, rappresentata e difesa

dall’avvocato LUIGI PIRILLO;

– ricorrente –

contro

ASSITALIA LE ASSICURAZIONI D’ITALIA SPA, S.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 143/2018 del TRIBUNALE di CASTROVILLARI,

depositata il 13/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA

SCRIMA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Assitalia Le Assicurazioni d’Italia S.p.a., quale impresa designata per la Regione Calabria, L. n. 990 del 1969, ex art. 20 propose appello avverso la sentenza del Giudice di pace di Rossano, n. 304/2007, depositata il 23 maggio 2007, con la quale quel giudice dopo aver riunito le cause relative al risarcimento dei danni in parola, proposte rispettivamente dai genitori della C., all’epoca minorenne, nei confronti del solo S.E. e dalla medesima C. nei confronti del predetto e della già indicata società, nella dedotta qualità – aveva accertato l’esclusiva responsabilità dello S. in relazione alla causazione del sinistro avvenuto in data (OMISSIS), in (OMISSIS), allorchè C.S., all’epoca minorenne, era stata investita dall’auto di proprietà e condotta dallo S. ed aveva condannato la detta società assicuratrice, nella dedotta qualità, in solido con S.E., al pagamento, in favore della C., della somma di Euro 4.429,06, a titolo di risarcimento dei danni, oltre interessi e rivalutazione, nonchè alle spese di lite.

L’appellata C. resistette all’appello e propose, a sua volta, appello incidentale.

S.E. rimase contumace anche in secondo grado.

Il Tribunale di Castrovillari, con sentenza n. 143/2018, pubblicata il 13 marzo 2018, accolse l’appello principale e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigettò la domanda proposta da C.S. nei confronti di Assitalia Le Assicurazioni d’Italia S.p.a.; accolse, per quanto di ragione, l’appello incidentale proposto da C. nei confronti di S. e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannò S.E. al pagamento, in favore di C.S., della somma di Euro 4.392,91, a titolo di danno non patrimoniale, oltre interessi, come indicato nel dispositivo della sentenza di secondo grado, nonchè della somma di Euro 36,15, a titolo di danno patrimoniale, oltre rivalutazione e interessi, come pure precisato nel dispositivo di quella sentenza, e dichiarò integralmente compensate tra tutte le parti le spese relative ad entrambi i gradi di giudizio.

Avverso la sentenza del Tribunale C.S. ha proposto ricorso per cassazione basato su tre motivi.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia “Violazione falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. nonchè degli artt. 24 e 111 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3)”, sostenendo di aver allegato con certezza in citazione che la vettura di S. non era assicurata, tanto che quest’ultimo era stato convenuto dai genitori dell’attrice dinanzi al Giudice di pace senza il coinvolgimento di una società assicuratrice, di cui non si era conosciuto il nominativo neppure con tale iniziativa giudiziale, sicchè, a fronte di tale affermazione della danneggiata, sarebbe stato onere della società convenuta dedurre specificamente l’assenza di scopertura assicurativa; pertanto, in difetto di tale specifica contestazione l’attrice non aveva, ad avviso della medesima, attuale ricorrente, alcun onere probatorio al riguardo. Secondo C.S., in conseguenza della denunciata violazione – da parte del Tribunale – “del principio dell’onere di contestazione specifica e della equivocità delle difese avverse sul punto”, non vi sarebbe stato un contraddittorio in condizioni di parità, sicchè si sarebbe determinata la violazione dell’art. 111 Cost. nonchè dell’art. 24 Cost..

1.1. Il motivo va disatteso.

E’ pur vero che, secondo la giurisprudenza di legittimità, il convenuto, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., è tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di “non contestazione” a seguito della modifica dell’art. 115 c.p.c., a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata ad una contestazione generica (Cass. 6/10/2015, n. 19896). Va, tuttavia, evidenziato che il principio di non contestazione, con conseguente relevatio dell’avversario dall’onere probatorio, postula che la parte che lo invoca abbia per prima ottemperato all’onere processuale a suo carico di compiere una puntuale allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali l’altra parte è tenuta a prendere posizione, sicchè la mancata allegazione specifica dei fatti costitutivi, modificativi o estintivi, rispetto ai quali opera il principio di non contestazione (Cass. 13/09/2016, n. 17966; Cass., 19/08/2019, n. 21460) -, esonera il convenuto, che abbia genericamente negato il fatto altrettanto genericamente allegato, dall’onere di compiere una contestazione circostanziata, perchè ciò equivarrebbe a ribaltare sullo stesso convenuto l’onere di allegare il fatto costitutivo dell’avversa pretesa (arg. ex Cass. 17/02/2016, n. 3023; v. pure Cass. 29/09/2020, n. 20525). Ed invero l’onere di contestazione in ordine ai fatti costitutivi del diritto si coordina con l’allegazione dei medesimi e, considerato che l’identificazione del tema decisionale dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni o non contestazioni, ne consegue che l’onere di contribuire alla fissazione del thema decidendum opera identicamente rispetto all’una o all’altra delle parti in causa, sicchè, a fronte di una generica deduzione da parte dell’attore, la difesa della parte convenuta non può che essere altrettanto generica, e pertanto idonea a far permanere gli oneri probatori gravanti sulla controparte (Cass. 19/10/2016, n. 21075).

D’altra parte, come pure la giurisprudenza di questa Corte non ha mancato di precisare (con riferimento al novellato art. 115 c.p.c., ma, come sopra evidenziato, il principio di non contestazione era implicito nell’ordinamento anche prima di tale esplicitazione legislativa), spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass., ord., 7/02/2019, n. 36809 e tale accertamento è sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass., ord., 28/10/2019, n. 27490), nei limiti in cui lo stesso sia tuttora denunciabile, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 novellato.

Nella specie il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi sopra riportati e ha motivatamente ritenuto (v. sentenza p. 5) generica l’allegazione di parte attorea relativa alla dedotta scopertura assicurativa dell’auto del convenuto S. (si evidenzia che dallo stesso atto di citazione, riportato in ricorso per quanto rileva in questa sede, risulta che l’attrice, nell’atto di citazione, si era limitata a dedurre che “nonostante i ripetuti tentativi fatti al fine di conoscere il nominativo dell’assicuratore che garantiva la vettura dello S. all’atto dell’occorso, non si è riusciti ad acquisire alcuna notizia al riguardo” e a sostenere, quindi, che “non risultando la vettura dello S. assicurata al momento dell’occorso, l’attrice ha diritto di essere risarcita”).

2. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2227, 27299 e 2697 c.c. e dell’art. 115c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) – Omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5)”, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che la danneggiata non abbia assolto, neppure in via presuntiva, l’onere di dimostrare che la vettura di S. non fosse assicurata, sul rilievo che l’unico elemento presuntivo offerto dalla C. (il silenzio serbato da S. in relazione alla richiesta formulata nei confronti di questi, a mezzo posta raccomandata A.R., dai genitori dell’allora figlia minore S. circa i dati assicurativi della vettura coinvolta nel sinistro di proprietà dello stesso S.) non fosse sufficiente a far presumere la sussistenza della scopertura assicurativa e ha, per tale motivo, rigettato la domanda nei confronti della società ora intimata nella dedotta qualità.

Deduce la ricorrente che quello appena indicato non sarebbe l’unico elemento presuntivo offerto, in quanto, oltre al mancato riscontro alla richiesta a mezzo lettera raccomandata, altri elementi presuntivi sarebbero stati forniti: a) dalla mancata comunicazione dei dati della propria assicurazione da parte dello S. a seguito della sua citazione sia nel giudizio introdotto dai genitori della C. che nel giudizio iniziato da quest’ultima nei confronti di S. e di Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia S.p.a., nella dedotta qualità, nonchè a seguito della notifica della comparsa di risposta di detta società con domanda di regresso nei suoi confronti e della notifica della comparsa di risposta con appello incidentale dell’attuale ricorrente; b) dalla condotta stragiudiziale tenuta dalla società attualmente intimata, che non avrebbe formulato alcuna contestazione in occasione della sua messa in mora; c) dalla mancata comunicazione dei dati del proprio assicuratore da parte di S., pur avendo avuto notizia, con le modalità già indicate, che, a seguito dell’intervento del FGVS, sarebbe stato esposto all’azione di regresso per quanto eventualmente corrisposto alla C. a titolo risarcitorio. In particolare, lamenta la C. che il Tribunale avrebbe omesso di esaminare che lo S., pur non costituitosi, avrebbe potuto comunicare il nominativo della propria assicurazione e si sarebbe, invece, limitato a valutare che la contumacia di detta parte non ha rilevanza probatoria.

Sostiene la ricorrente che il Tribunale avrebbe violato gli artt. 2727 e 2729 c.c. in quanto avrebbe dovuto tener conto di tutti gli elementi presuntivi rinvenibili in atti da cui complessivamente inferire la prova dell’assenza dell’assicurazione in questione, valutando puntualmente la fattispecie concreta portata al suo esame.

La ricorrente lamenta, altresì, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che il Tribunale avrebbe omesso di considerare sia la circostanza della mancata comunicazione da parte del danneggiante dei dati della sua assicurazione, nonostante la notifica dei detti atti, sia il comportamento extra processuale di Assitalia – Le Assicurazioni d’Italia S.p.a..

Infine, la C. sostiene che alla luce di quanto da lei rappresentato, il Tribunale avrebbe omesso di valutare le prove offerte circa l’assenza della copertura assicurativa, con conseguente violazione dell’art. 115 c.p.c..

2.1. Il motivo non può essere accolto.

Rileva il Collegio che, secondo il condiviso principio della giurisprudenza di legittimità, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., sez. un., 5/08/2016, n. 16598, p. 14; Cass., ord., 23/10/2018, n. 26769;).

Inoltre, la violazione delle norme di cui agli artt. 2727 e 2729 cod. cìv. non risulta prospettata secondo i criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. un., 24/01/2018, n. 1785, in particolare p. 4 della motivazione; Cass., ord., 13/02/2020, n. 3541).

Le critiche proposte si risolvono, in realtà, in un diverso apprezzamento della ricostruzione della quaestio facti, e, in definitiva, nella prospettazione di una diversa ricostruzione della stessa quaestio e ci si pone su un terreno che non è quello dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1), ma è quello che sollecita un controllo sulla motivazione del giudice relativa alla ricostruzione della quaestio facti. Terreno che, come le Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare, vigente dell’art. 360 c.p.c., il nuovo n. 5 è percorribile solo qualora si denunci che il giudice di merito abbia omesso l’esame di un fatto principale o secondario, che avrebbe avuto carattere decisivo per una diversa individuazione del modo di essere della detta quaestio ai fini della decisione, occorrendo, peraltro, che tale fatto venga indicato in modo chiaro e non potendo esso individuarsi solo nell’omessa valutazione di risultanze istruttorie (Cass., sez. un., nn. 8053 e 8054 del 7/04/2014), nella specie riferite ad elementi indiziari peraltro non decisivi, nè di per sè nè unitariamente considerati.

Nella specie, in particolare, la lunga illustrazione del motivo non prospetta la falsa applicazione dell’art. 2729, comma 1 nei termini su indicati, ma si risolve nella prospettazione di pretese inferenze probabilistiche diverse sulla base della evocazione di emergenze istruttorie, con la conseguenza che il motivo non presenta le caratteristiche della denuncia di un vizio di falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., comma 1, e nemmeno quelle di un motivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 come novellato, evidenziandosi pure che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi ad affermare un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass., ord., 6/02/2020, n. 5279; Cass. 11/05/2007, n. 10847; Cass. 21/10/2003, n. 15737).

3. Con il terzo motivo si deduce la “nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè dell’art. 111 Cost. e dell’art. 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4”.

La ricorrente assume che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe viziata da omessa e contraddittoria motivazione sia per aver ritenuto che la mancata indicazione dei dati assicurativi del proprio veicolo da parte di S. in relazione alla richiesta fatta per lettera dai suoi genitori sarebbe l’unico elemento indiziario emergente dagli atti di causa, da solo non idoneo a rappresentare prova della carenza di copertura assicurativa, pur riconoscendo in astratto possibile che una sola presunzione possa essere sufficiente, sia per aver omesso di valutare i già richiamati elementi presuntivi acquisiti al processo senza spiegare per quali ragioni non si sia tenuto conto di tali elementi presuntivi; sostiene, altresì la ricorrente che neppure si comprenderebbe perchè il Tribunale avrebbe indicato che la prova in relazione alla copertura assicurativa avrebbe dovuto necessariamente darsi facendo ricorso ad una certificazione ANIA, deferendo interrogatorio formale al convenuto sulla circostanza in parola ovvero deducendo prova testimoniale in ordine all’esposizione del tagliando di assicurazione sul parabrezza, senza neppure specificare se tali modalità di prova avrebbero dovuto concorrere o meno, così pure esorbitando dai limiti del suo prudente apprezzamento richiesto per la valutazione delle prove ex art. 116 c.p.c..

3.1. Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Ed invero, le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione. Spetta, pertanto, al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (Cass. 11/05/2007, n. 10847; Cass. 27/10/2010, n. 21961).

Va pure evidenziato che la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) ricorre solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass., ord., 31/08/2020, n. 18092).

Orbene, nel caso all’esame, il Tribunale, in base ad un accertamento in fatto e con motivazione nè meramente apparente nè caratterizzata da “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o “perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass., sez. un., 7/04/2014, n. 8053) – sicchè sono infondate le censure proposte in relazione alla motivazione della sentenza impugnata -, ha ritenuto insussistente la prova, anche presuntiva della scopertura assicurativa, senza disattendere il principio della libera valutazione delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista, e senza, all’opposto, valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime, limitandosi (a p. 7 della sentenza impugnata) ad indicare, a mero titolo esemplificativo, quali elementi probatori la parte avrebbe potuto fornire.

4. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

5. Non vi è luogo a provvedere per le spese, non avendo le parti intimate svolto attività difensiva in questa sede.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

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