Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 26907 del 26/11/2020

Cassazione civile sez. VI, 26/11/2020, (ud. 16/06/2020, dep. 26/11/2020), n.26907

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36385-2018 proposto da:

P.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DI PIETRA

26, presso lo studio dell’avvocato LISA BULDO, rappresentato e

difeso dall’avvocato EMILIA ABATE;

– ricorrente –

contro

AZIENDA OSPEDALIERA OO.RR. SAN GIOVANNI DI DIO E RUGGI D’ARAGONA DI

SALERNO, QBE INTERNATIONAL INSURANCE LTD;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1286/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 13/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 16/06/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE

POSITANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 12 aprile 2008, P.E. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Salerno, l’Azienda ospedaliera S. Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona deducendo di essere rimasto coinvolto in un sinistro stradale in occasione del quale aveva riportato una frattura della gamba sinistra e il (OMISSIS) era stato sottoposto ad un intervento chirurgico di riduzione della frattura della tibia e della fibula; il (OMISSIS) aveva subito un successivo intervento di rimozione dei mezzi di sintesi. Aggiungeva che, nel periodo successivo, aveva accusato forti dolori alla gamba sinistra per cui, rivoltosi ad uno specialista, era stato sottoposto il (OMISSIS) ad un terzo intervento, presso la Casa di cura privata, Villa Serena di Sant’Angelo (Perugia), per la rimozione del chiodo, con il moncone della vite precedentemente non rimossa. Sulla base di tali premesse, ritenuta sussistente la colpa grave dei sanitari dell’ospedale di Salerno, chiedeva il risarcimento di tutti danni subiti, temporanei, permanenti, patrimoniali, non patrimoniali, morali, biologici esistenziali, influenti sulla sfera individuale e sulle normali attività quotidiane, sulla capacità lavorativa specifica e generica;

si costituivano con unico atto l’Azienda ospedaliera e l’assicuratore QBE International Insurance LTD. I convenuti eccepivano la nullità della domanda per mancata esposizione dei fatti e degli elementi di diritto, contestavano la documentazione prodotta, anche sotto il profilo della conformità all’originale, eccependo la mancanza della prova del nesso causale, concludendo per il rigetto della domanda;

con sentenza del 7 novembre 2011 il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo insussistente la prova della ricostruzione dei fatti, avendo l’attore indicato i mezzi di prova senza individuare il nominativo dei testimoni, entro il termine assegnato e ritenendo insufficiente la documentazione medica depositata;

avverso tale sentenza P.E. proponeva appello, con atto di citazione del 17 gennaio 2012, reiterando le richieste di prova e di nomina del consulente medico legale. All’udienza del 27 novembre 2014, disattesa l’istanza di nomina di CTU, l’appellante produceva gli originali della documentazione medica già allegata agli atti e la Corte verificava la conformità di tale documentazione;

con sentenza del 13 settembre 2018. la Corte d’Appello di Salerno rigettava l’impugnazione. Riteneva tempestiva la produzione degli originali in sede di gravame, ma rilevava la mancanza di prova dei fatti dedotti a fondamento della responsabilità;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione P.E. affidandosi a cinque motivi che illustra con memoria. Le parti intimate non svolgono attività processuale in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la nullità del procedimento della sentenza per violazione degli artt. 62,112,115,116 e 198 c.p.c., nonchè dell’art. 2697 c.c.. Il giudice del gravame avrebbe dovuto ammettere la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio poichè, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., avrebbe potuto porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, attraverso l’applicazione delle presunzioni legali. Nel caso di specie, la consulenza medica avrebbe natura percipiente, essendo diretta dimostrare l’accadimento o meno di un fatto, la cui prova non può essere fornita in altro modo. Sotto tale profilo la mancata ammissione della consulenza evidenzierebbe un vizio di insufficienza, erroneità e contraddittorietà della motivazione. In sostanza, la mancata ammissione non sarebbe adeguatamente motivata, poichè il giudice non disponeva di elementi istruttori e cognizioni proprie sufficienti per adottare la decisione;

con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 la nullità del procedimento e della sentenza per l’omesso esame di un fatto storico rappresentato dall’accertamento delle condizioni di salute dell’attore in epoca successiva ai primi due interventi subiti presso il nosocomio di Salerno, dal quale emergerebbero gli esiti di una frattura della gamba sinistra, trattata in sede con inserimento di un chiodo endomidollare;

con il terzo motivo si lamenta, ai sensi art. 360 c.p.c., n. 4 la nullità del procedimento e della sentenza ai sensi dell’art. 112 c.p.c. per vizio di ultrapetizione in relazione all’accertamento delle condizioni di salute del P. a seguito dei primi due interventi chirurgici. Il giudice di appello non si sarebbe limitato a valutare l’attendibilità dei documenti, ma avrebbe pronunziato sulla tipologia dell’ulteriore intervento chirurgico espletato presso la casa di cura (OMISSIS) per la rimozione del chiodo con il moncone della vite metallica non rimossa nel precedente intervento, qualificandolo come “intervento di completamento”. Con ciò avrebbe travalicato i limiti propri della pronunzia richiesta in appello;

con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 la violazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., l’omessa motivazione o la motivazione apparente o manifestamente incoerente, illogica e contraddittoria riguardo alla decisione di non disporre consulenza medico-legale;

il ricorso è fondato. I primi quattro motivi vanno trattati congiuntamente perchè strettamente connessi. Le questioni sottoposte all’esame della Corte di legittimità con tali censure riguardano il tema della prova del nesso di causalità in materia di responsabilità medica e impongono di effettuare alcune precisazioni;

va richiamato in questa sede l’orientamento espresso da questa Corte secondo cui, sia in tema di responsabilità contrattuale sia in tema di responsabilità extracontrattuale, sussiste un duplice nesso di causalità, materiale (tra condotta ed evento dannoso) e giuridica (tra evento dannoso e danno). In entrambe le ipotesi di responsabilità il danneggiato deve provare il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento dannoso (Cass. nn. 28991 e 28992 del 2019, entrambe pubblicate l’11-11-2019);

ma la prova del nesso causale materiale tra condotta ed evento dannoso può essere fornita dal paziente, quale creditore, anche attraverso presunzioni; siffatto possibile ricorso alla prova presuntiva è in grado di attenuare la condizione di maggiore difficoltà probatoria in cui normalmente versa il creditore della prestazione professionale medica rispetto al creditore di qualunque altra prestazione;

la giurisprudenza di questa Corte ha sempre rilevato siffatta difficoltà, agevolando il ricorso alla prova presuntiva; da ultimo, Cass. 29498/2019 ha affermato che, anche in relazione alla individuazione del nesso eziologico fra la condotta del medico e le conseguenze dannose subite dal paziente, “la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può pregiudicare sul piano probatorio il paziente, cui anzi, in ossequio al principio di vicinanza della prova, è dato ricorrere a presunzioni se sia impossibile la prova diretta a causa del comportamento della parte contro la quale doveva dimostrarsi il fatto invocato” (conf. Cass. 6209/2016);

con specifico riferimento alla questione in oggetto, va ribadito che nelle obbligazioni di “facere professionale”, a differenza che nelle altre obbligazioni, la causalità materiale (e cioè il nesso tra condotta ed evento) non è assorbita dall’inadempimento; l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di nuove malattie, così come la perdita della causa nel caso dell’avvocato, possono non dipendere dalla violazione delle leges artis, ed avere invece una diversa eziologia; è onere, quindi, del creditore (nel caso di specie, il paziente danneggiato) provare, anche attraverso presunzioni, la sussistenza del nesso causale tra inadempimento (condotta del sanitario in violazione delle regole di diligenza) ed evento dannoso (aggravamento della situazione patologica o insorgenza di nuova malattia, cioè lesione della salute); è quindi onere del detto creditore provare il nesso di causalità materiale, in quanto detto nesso (ove venga allegato l’evento dannoso in termini di aggravamento della patologia preesistente o di insorgenza della nuova malattia) è elemento costitutivo della fattispecie dedotta in giudizio;

il creditore cioè deve allegare l’inadempimento (e cioè la negligenza del sanitario), ma deve provare sia l’evento dannoso (e le conseguenze che ne sono derivate; c.d. causalità giuridica) sia il nesso causale tra condotta del sanitario nella sua materialità (e cioè a prescindere dalla negligenza) ed evento dannoso;

una volta che il creditore (paziente) abbia soddisfatto detti oneri, è successivo onere del debitore (sanitario o struttura) provare o di avere esattamente adempiuto o che l’inadempimento sia dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè o di avere svolto l’attività professionale con la diligenza richiesta (tenendo presente che, ai sensi dell’art. 2236 c.c. “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o colpa grave”), oppure che sia intervenuta una causa esterna, imprevedibile o inevitabile (che abbia reso impossibile il rispetto delle leges artis);

di conseguenza, se resta ignota la causa dell’evento dannoso (e cioè se il creditore non riesce a provare, neanche attraverso presunzioni, che l’evento dannoso – l’aggravamento della patologia preesistente o l’insorgenza di una nuova patologia – sia in nesso causale con la condotta del sanitario), le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore medesimo, che ne aveva il relativo onere; se, invece, resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della diligenza professionale (ovvero, come detto, resta indimostrata l’imprevedibilità o l’inevitabilità di tale causa di impossibilità), le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore;

fatta questa premessa deve rilevarsi che la Corte d’appello non ha fatto corretta applicazione di tali principi al caso di specie. Infatti, con riferimento al profilo della prova presuntiva del nesso causale, la stessa Corte territoriale, a pagina 10 della sentenza, rileva che, se è vero che la documentazione prodotta da P. non consente di dimostrare direttamente che l’intervento eseguito presso la Casa di cura (OMISSIS) era diretto a rimuovere una parte di vite metallica rimasta per errore nella gamba, la documentazione esaminata consente di fondare una prova per presunzioni;

infatti, come si legge in sentenza, il “certificato medico a firma del dottor Orsolini del 15 gennaio 2007” (data precedente al terzo intervento, ma successiva al secondo) nel riferirsi al secondo intervento eseguito presso il nosocomio di Salerno, attesta la esistenza di “esiti frattura gamba sinistra trattata in altra sede con chiodo endomidollare”;

nella cartella clinica dell’anestesista e nella descrizione dell’intervento si parla di “rimozione di chiodo endomidollare con il moncone della vite”. Rispetto a tale descrizione di quanto avvenuto in occasione del secondo intervento, eseguito presso l’ospedale di Salerno (esiti di frattura trattata in occasione del primo intervento e rimozione, sia del chiodo, che del moncone della vite), la sentenza fa riferimento all’attestazione della Casa di cura del 5 giugno 2007 (redatta, quindi, in occasione del terzo intervento) ove si parla di “rimozione dei mezzi di sintesi a seguito di frattura di gamba sinistra”;

da tali elementi emerge che la Corte territoriale riferisce che il terzo intervento si è reso necessario per la “rimozione dei mezzi di sintesi”, evidentemente inseriti a seguito della frattura della gamba sinistra, in occasione di un precedente intervento, eseguito presso l’ospedale di Salerno;

pertanto, in occasione della terza operazione, avvenuta presso la struttura privata, si certifica che la finalità della stessa è quella di rimozione dei “mezzi di sintesi”, consentendo di valutare la rilevanza di tale profilo ai fini della prova presuntiva;

la decisione, conseguentemente, deve essere cassata e il giudice del rinvio dovrà verificare la sussistenza dei presupposti concreti della prova per presunzioni e, nel caso di positiva valutazione, esaminare il profilo risarcitorio oggetto dell’ultimo motivo di ricorso;

con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione l’art. 112 c.p.c., per omessa pronunzia sul capo della domanda di risarcimento dei danni subiti, ritenuta generica dalla Corte;

il motivo è fondato. La Corte territoriale ha ritenuto generica la domanda proposta da P., il quale avrebbe richiesto “tutti i danni patiti dall’appellante, nessuno escluso, come indicati in atto di citazione e a cui pienamente ci si riporta”. Sotto tale profilo va rilevato che lo specifico riferimento alla necessità di sottoporsi ad un terzo intervento al fine di rimuovere completamente “i mezzi di sintesi” inseriti in occasione di un precedente intervento di apposizione del chiodo endomidollare, rappresenta già un criterio di individuazione specifica del pregiudizio subito dall’attore;

pertanto sotto tale profilo la decisione della Corte d’Appello è errata e il giudice del rinvio nell’ambito della domanda specificamente formulata in atto di citazione provvederà, nell’ipotesi di fondatezza della pretesa, a valutare il pregiudizio eventualmente subito dal P..

ne consegue che il ricorso per cassazione deve essere accolto; la sentenza va cassata con rinvio, per quanto detto in premessa.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 16 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2020

 

 

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